Cass. civ., Sez. V, ord. 1° luglio 2024, n. 17967


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da:

Dott. PAOLITTO Liberato – Presidente

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 3444/2023 proposto da:

A.A. (C.F.: omissis), nata a N il (omissis) ed ivi residente alla via (omissis) n. (omissis), rappresentata e difesa dall’Avv. … (C.F.: omissis), presso il cui studio in …, elettivamente domicilia (indirizzo di posta elettronica certificata: …), giusta procura ad litem resa su foglio separato, allegato al ricorso;                                                                                                                                                – ricorrente –

contro

COMUNE DI N (P.IVA: omissis; C.F.: omissis), in persona del suo legale rappresentante, il Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di determinazione n. 140 del 15.02.2023, nonché di procura speciale rilasciata su foglio separato, dall’Avv. … (C.F.: omissis; PEC: …; fax: omissis);                                                                                                                                                                       – controricorrente –

avverso la sentenza n. 5058/2022 emessa dalla CTR Campania in data 29/06/2022 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 15 marzo 2024, dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo

  1. A.A. impugnava dinanzi alla CTP di Napoli l’avviso di accertamento n. (omissis) con il quale il Comune di N le aveva chiesto il pagamento di 22.368,00 Euro a titolo di IMU per l’annualità fiscale 2014 relativamente all’immobile sito in quel Comune in Via (omissis) n. (omissis), rappresentando di essere proprietaria del suddetto immobile costruito per l’erogazione di servizi sanitari resi dall’Enpas e di averlo concesso in locazione il 22.8.2001 alla ASL e, pertanto, di non essere destinataria dell’IMU in base agli artt. 7, co. 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992 e 73 e 74 del D.P.R. n. 917/1986, atteso il costante svolgimento dell’attività sanitaria.
  1. La CTP rigettava il ricorso, ritenendo inapplicabile l’esenzione invocata in quanto il soggetto passivo dell’imposta non era l’ente sanitario bensì la A.A. nella qualità di soggetto privato che, avendo stipulato un contratto di locazione, realizzava una finalità economica riscuotendo i relativi canoni, e ribadendo che l’esenzione poteva essere goduta unicamente da un ente pubblico o privato che utilizzava un proprio immobile direttamente per svolgervi attività di assistenza o equiparate, con esclusione quindi di ogni beneficio nel caso in cui l’attività venisse svolta dai locatari o dagli affittuari.
  1. Sull’impugnazione della contribuente, la CTR Campania rigettava il gravame, evidenziando che la A.A., oltre a non svolgere l’attività sanitaria direttamente, ne traeva un reddito consistente nell’incasso del canone che non poteva sfuggire alla tassazione, tanto più che esso non era né minimo né simbolico.
  1. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di due motivi. Il Comune di N ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per averla la CTR condannata al rimborso, in favore del Comune di N, delle spese del secondo grado di giudizio, nonostante quest’ultimo fosse rimasto contumace in quel grado di giudizio.

1.1. Il motivo è fondato.

La condanna alle spese in favore della parte vittoriosa che non si sia difesa e non abbia, quindi, sopportato il corrispondente carico non può essere disposta ed è assimilabile ad una pronuncia resa in mancanza del suddetto potere (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16786 del 26/06/2018). In particolare, la condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 cod. proc. civ., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che abbia dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16174 del 19/06/2018; conf. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7361 del 14/03/2023).

Anche nel processo tributario, come implicitamente confermato dall’art. 15, comma 2-sexies, del D.Lgs. n. 546 del 1992, poiché la condanna alle spese processuali ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale per la parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto, la stessa non può essere pronunciata in favore del contumace vittorioso, il quale, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17432 del 19/08/2011; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12195 del 18/05/2018 e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7361 del 14/03/2023).

Nel giudizio di cassazione è ammissibile il ricorso per la correzione di errore materiale avverso il provvedimento di condanna alle spese della parte intimata che non si sia ivi costituita, in quanto la violazione dell’art. 91 c.p.c., integra un errore, ai sensi dell’art. 287 e 391-bis c.p.c., rilevabile ictu oculi dal testo del provvedimento (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12185 del 22/06/2020).

Orbene, risulta ex actis (e, in particolare, dal relativo verbale d’udienza, nel quale si dà atto proprio che “per il Comune di N nessuno è comparso”) che il Comune di N è rimasto contumace nel giudizio di appello e, quindi, non era presente neanche all’udienza del 20 giugno 2022: ciò che si evince dalla lettura del relativo verbale.

Del resto, è la stessa CTR Campania a dare atto che “Il comune di N non si è costituito nel grado”.

  1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 D.Lgs. n. 504 del 30 dicembre 1992 e ss. modificazioni, per non aver la CTR considerato che l’immobile in relazione al quale il Comune di N aveva lamentato il mancato pagamento dell’IMU era un fabbricato adibito, sin dalla sua costruzione, all’erogazione dei servizi sanitari.

2.1. Il motivo è infondato.

In tema di ICI, invero, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992 compete tendenzialmente solo in caso di utilizzo diretto del bene da parte dell’ente possessore, per lo svolgimento, con modalità non commerciali, delle attività previste dalla norma, potendo essere estesa all’ipotesi di utilizzo indiretto del bene solo qualora la concessione del godimento e dell’uso – a favore di altro ente collegato all’ente possessore, nel perseguimento delle stesse finalità istituzionali – sia del tutto gratuita, senza alcuna forma di remunerazione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 34772 del 25/11/2022).

Trova, infatti, applicazione, nel caso di specie, il principio consolidato secondo cui, in materia di ICI, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, norma agevolatrice e, dunque, di stretta interpretazione, non opera in caso di utilizzo indiretto dell’immobile da parte dell’ente proprietario, ancorché per finalità di pubblico interesse (tra le tante, Sez. 5, n. 12495 del 4/06/2014, la quale, in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l’applicabilità dell’esenzione agli immobili di proprietà di una congregazione religiosa locati ad un comune). Tale principio è attenuato solo in limitatissime ipotesi alla luce dell’orientamento secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), dei D.Lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Sez. 5, n. 25508 del 18/12/2015).

In definitiva, l’esenzione in esame compete tendenzialmente solo in caso di utilizzo diretto del bene, da parte dell’ente possessore, per lo svolgimento, con modalità non commerciali, delle attività previste dalla norma, e può essere estesa all’ipotesi dell’utilizzo indiretto del bene, da parte dell’ente possessore, soltanto qualora ciò non snaturi la natura non commerciale dell’esercizio dell’attività in relazione alla quale è concessa l’esenzione di cui alla lett. i) del citato art. 7.

Pertanto, la concessione del godimento e dell’uso, da parte dell’ente possessore, a favore di altro ente collegato al primo nel perseguimento delle stesse finalità istituzionali, deve essere del tutto gratuita, senza alcuna forma di remunerazione: circostanza che è necessario accertare in modo rigoroso.

Nella fattispecie in esame, quindi, difettano tre presupposti indefettibili perché possa essere riconosciuta l’esenzione di cui alla lett. i), vale a dire 1) la veste pubblica dell’ente possessore, 2) il collegamento strumentale dell’utilizzatore con la concedente (inteso come appartenenza alla stessa struttura della concedente) e 3) la natura gratuita (non già dell’attività espletata dalla utilizzatrice, bensì) della concessione del godimento e dell’uso.

In una fattispecie per certi versi assimilabile a quella in oggetto, questa Corte ha affermato che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione riconosciuta dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992, per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 917 del 1986, richiede la sussistenza della duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dello svolgimento di attività peculiari che non siano produttive di reddito, sicché non spetta con riguardo agli immobili gestititi da aziende per l’edilizia residenziale pubblica e concessi in locazione, sia perché non soggetti ad utilizzazione diretta, sia perché la tenuità e modestia del canone corrisposto non esclude il carattere economico dell’attività svolta, non essendovi equivalenza tra il concetto di corrispettivo tenue o modesto e quello di corrispettivo simbolico, il quale esclude completamente il rapporto sinallagmatico, sussistente invece nel primo caso (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8964 del 14/05/2020).

Da ultimo, è opportuno evidenziare che non sono suscettibili di revocazione (come, invece, sostenuto dal Comune) le sentenze della Corte di Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa – atti che, come tali, essa abbia dovuto necessariamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza – poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5326 del 21/02/2023).

  1. Alla stregua delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va, in accoglimento del primo motivo di gravame, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, nel senso di escludere, per quanto concerne il secondo grado di giudizio, la condanna a carico della contribuente al rimborso delle spese in favore del Comune di N.

L’esito complessivo del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo; cassa, con riferimento al motivo accolto, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le spese del secondo grado di giudizio; compensa per intero le spese del presente giudizio.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 15 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 1 luglio 2024.


MASSIMA: L’esenzione riconosciuta dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992, per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 917 del 1986, richiede la sussistenza della duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dello svolgimento di attività peculiari che non siano produttive di reddito, sicché non spetta con riguardo agli immobili gestiti da aziende per l’edilizia residenziale pubblica e concessi in locazione, sia perché non soggetti ad utilizzazione diretta, sia perché la tenuità e modestia del canone corrisposto non esclude il carattere economico dell’attività svolta, non essendovi equivalenza tra il concetto di corrispettivo tenue o modesto e quello di corrispettivo simbolico, il quale esclude completamente il rapporto sinallagmatico