Consiglio di Stato, sez.VII, sent. 03 giugno 2024 n. 4946
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7086 del 2023, proposto dalla Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Anna Bucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio …;
contro
… S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
…, …, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 302/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di … S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini;
Viste le conclusioni della parte appellante così come da verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
- Con la sentenza appellata è stato accolto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento della Regione Puglia in data 25 ottobre 2022 con cui è stato comminato il pagamento della somma di euro 6.197,52 quale indennità per il danno arrecato al paesaggio pari al profitto conseguito.
La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze.
L’operatore economico ricorrente è concessionario di un’area demaniale insistente in agro di Taranto e censita al N.C.E.U. al foglio di mappa n. (…), p.lle (…), (…), (…), (…), (…), (…), (…), (…) e (…), ove esercita l’attività turistico-ricreativa di stabilimento balneare denominata “Y.C.”.
Al fine di sanare alcune irregolarità presenti nella struttura, la società …., in data 29.12.2015, presentava istanza di accertamento di conformità ex art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001 – pratica n. 203711/2015 -, corredata, a cagione del vincolo paesaggistico gravante sull’area, anche della richiesta di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, compatibilità paesaggistica che il ricorrente acquisiva giusta Det. n. 34 del 2016 del 04.05.2016 dell’Ufficio Paesaggio del Comune di Taranto.
Il procedimento, dunque, si concludeva – una volta acquisiti tutti gli altri atti e pareri richiesti -, con il rilascio da parte del Comune di Taranto in favore della società Y.C. del provvedimento autorizzativo unico prot. n. (…) del 07.07.2016, consegnato in data 08.07.2016.
Nel mese di novembre del 2022, tuttavia, la ricorrente apprendeva che la Regione Puglia, Dipartimento ambiente, paesaggio, qualità urbana, Sezione urbanistica, con l’atto dirigenziale n. 339 del 25.10.2022, aveva determinato in suo danno di “comminare ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 il pagamento della somma di euro 6.197,52 quale indennità per il danno arrecato al paesaggio pari al profitto conseguito.
La società ricorrente, alla quale l’atto impugnato veniva notificato soltanto in data 14.02.2023, veniva a conoscenza del relativo contenuto a seguito della notifica, avvenuta in data 21.11.2022, del suddetto provvedimento ai sigg.ri A. ed A.D.G., obbligati in solido con lo stesso Y.C..
Il Tar ha richiamato l’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 che al comma 5 stabilisce che “il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1”.
Secondo il Tar, muovendo dall’applicabilità della L. n. 689 del 1981, il credito vantato dall’Amministrazione regionale, alla luce di quanto previsto dall’art. 28 L. n. 689 del 1981, si è prescritto.
Infatti, il procedimento di compatibilità paesaggistica si è concluso con il rilascio da parte del Comune di Taranto, in favore dello Y.C., del PAU prot. n. (…) del 07.07.2016.
Secondo il Tar il dies a quo della decorrenza della prescrizione deve ritenersi coincidente con l’atto che fa cessare nel tempo l’illiceità del comportamento edilizio, ossia il rilascio postumo dei titoli abilitativi edilizi o paesaggistici in sanatoria, i quali appunto rimuovono ogni ragione di incompatibilità dell’opera con gli assetti urbanistici e territoriali e fanno venire meno la permanente illiceità che l’accompagnava dall’atto della sua realizzazione.
Ne discende dunque l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 28 della L. n. 689 del 1981, a norma del quale “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”.
Pertanto, secondo il Tar, dal rilascio del titolo è cominciato a decorrere il termine di prescrizione quinquennale per l’irrogazione della misura in commento, comminata (anche) in danno della parte ricorrente solo il 25.10.2022 (nel caso di specie, data di adozione del provvedimento impugnato).
Posto che il dies a quo coincide con la data del 07.07.2016 (data di rilascio del PAU), il termine di prescrizione quinquennale è spirato prima dell’adozione del provvedimento sanzionatorio del 25.10.2022.
- L’appellante Regione Puglia ritiene che, trattandosi -come nel caso di specie- di attività abusiva, che dà luogo ad un illecito permanente, a cui è applicata una misura ripristinatoria dello stato dei luoghi, pur avente formale natura di sanzione amministrativa, quale quella prevista dal richiamato art. 167 D.Lgs. n. 42 del 2004, va richiamato il condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo cui detta misura non assolve ad una funzione sanzionatoria/punitiva e si atteggia, più propriamente, come una misura reale. Essa rappresenta, infatti, una obbligazione propter rem, imposta per ragioni di tutela del territorio, priva di finalità punitive ma avente carattere reale, che produce effetti verso ogni soggetto che sia in rapporto con il bene e vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, indipendentemente dall’essere stato o meno l’autore dell’abuso, ed a prescindere dal momento in cui sia stato commesso l’abuso.
Richiama la giurisprudenza secondo cui la repressione degli abusi edilizi può essere disposta in qualsiasi momento, sia perché trattasi di misure a carattere reale piuttosto che di vere e proprie sanzioni, sia perché trattasi comunque di illeciti permanenti cui si associano misure oggettive, in rapporto alle quali non può nemmeno essere utilmente invocato il principio di estraneità dei proprietari alla effettuazione.
Sostiene pertanto che le misure previste dal citato art.167 (ordini di demolizione e sanzioni pecuniarie) non presuppongono l’accertamento dell’ elemento soggettivo integrante responsabilità a carico del suo destinatario, e non sono provvedimenti diretti a sanzionare un comportamento illegittimo del trasgressore, ma sono atti di tipo ripristinatorio e restitutorio avendo la funzione di eliminare le conseguenze della violazione paesaggistica, attraverso la riduzione in pristino dello stato dei luoghi conseguente alla rimo-zione delle opere abusive, rispetto a cui si pone come alternativo il paga-mento dell’indennità pecuniaria.
Sarebbe dunque errata la tesi per cui l’indennità prevista dall’art.167 D.Lgs. n. 42 del 2004 sarebbe soggetta a prescrizione quinquennale ex art. 28 della L. n. 689 del 1981.
Ritiene che, anche alla luce di quanto innanzi evidenziato, risulta più corretto l’orientamento che propende per l’imprescrittibilità del potere sanzionatorio in materia paesaggistica, o comunque per la permanenza dell’illecito paesaggistico fintanto che non sia operata la rimessione in pristino stato o il pagamento della specifica indennità risarcitoria di cui trattasi.
Ciò in continuità all’indirizzo giurisprudenziale fondato sul rilievo che l’indennità ex art. 15 L. n. 1497 del 1939 è posta a presidio dell’interesse pubblico, di rango costituzionale, alla preservazione del paesaggio.
La situazione di illiceità paesaggistica verrebbe meno solo quando sia stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi ovvero, in alternativa, sia stata corrisposta la sanzione pecuniaria.
L’appellante ritiene che “quanto all’asserita prescrizione del credito, non v’è dubbio che essa si debba riferire alle somme oggetto di ingiunzione, ma non al potere dell’amministrazione di ingiungere l’indennità a fronte dell’abuso, il quale è inesauribile salvo espresse e puntuali previsioni decadenziali.
La Regione ha comminato la sanzione ex art.167 D.Lgs. n. 42 del 2004 nella permanenza ancora a tutt’oggi dell’illecito paesaggistico, dato il mancato pagamento della sanzione, e non è maturato alcun termine di prescrizione quinquennale del credito vantato dall’Amministrazione, ove si consideri che l’ingiunzione di pagamento è stata emessa solo con la DD n. 339 del 25/10/2022.
Sarebbe parimenti errato il richiamo, contenuto nella sentenza appellata, ai “fondamentali principi di matrice penalistica”, specie ove si consideri che – se fosse vero il ragionamento del TAR Lecce – non si potrebbe nemmeno configurare una responsabilità a carico di soggetti diversi da chi abbia commesso l’abuso o dei suoi aventi causa o degli eredi, responsabilità che non è stata mai posta in discussione nell’odierno giudizio.
Diversamente opinando, basterebbe un’alienazione a qualsiasi titolo dell’immobile interessato da opere realizzate abusivamente per “purgare” e rendere legittimi gli abusi paesaggistici.
La Regione appellante evidenzia altresì che non risulta che il titolo edilizio in sanatoria emesso dal Comune di Taranto sia stato trasmesso tempestivamente alla Regione Puglia, odierna appellante, che non è stata messa nelle condizioni di esercitare il potere sanzionatorio, di comminare la sanzione e di far valere il relativo credito nel termine quinquennale decorrente dal rilascio della sanatoria edilizia. Di talché risulta non corretto) il riferimento ad una asserita inerzia dell’Amministrazione regionale.
Per l’effetto, anche in applicazione del principio generale di cui agli artt. 2934 e 2935 c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, in ogni caso tale momento non potrebbe coincidere con il rilascio del titolo edilizio comunale di sanatoria dell’abuso.
- Y.C.P. s.r.l. si è costituita in giudizio per resistere all’appello.
Con memoria depositata in data 26 aprile 2024 parte appellata dichiara di riproporre, mediante richiamo al ricorso di primo grado, il motivo di ricorso proposto in primo grado ai sensi dell’art. 101 del cod. del proc. amm..
Il collegio osserva tuttavia (come peraltro espressamente rilevato ex art. 73 cpa in sede di udienza pubblica e fatto constare nel verbale di udienza) che tale riproposizione è tardiva e pertanto inammissibile in quanto il secondo comma dell’art. 101 del cod. del proc. amm. stabilisce che la riproposizione è soggetta al termine di decadenza del termine per la costituzione in giudizio ossia di 60 giorni dalla notificazione dell’appello, avvenuta in data 25 agosto 2023 (così Consiglio di Stato VI n.1113 dell’1 febbraio 2023).
- L’appello è fondato.
L’art. 167 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 prevede la sanzione pecuniaria come alternativa alla sanzione di carattere reale della rimozione dell’opera realizzata senza autorizzazione paesaggistica, rimettendo la scelta tra le due all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo (così Cons. Stato Sez. IV, 31 agosto 2017, n. 4109; Sez. VI, 8 gennaio 2020, n. 130).
Dunque, la sanzione è delineata non come mera sanzione pecuniaria, ma come sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante; proprio in funzione della sua natura di carattere ripristinatoria alternativa alla demolizione viene ragguagliata “al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione” e, in base all’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, le somme “sono utilizzate per finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori ambientali e di riqualificazione delle aree degradate”.
Pertanto, come in generale per le sanzioni pecuniarie in materia edilizia, tali sanzioni pecuniarie non hanno carattere punitivo, con la conseguenza che sono sottratte al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione, di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689 (Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2018, n. 2155; id., sez. V, 15 aprile 2013, n. 2060).
Tale sanzione, pur se di carattere pecuniario, partecipa della medesima natura di ricomposizione dell’ordine urbanistico della legalità violata e di soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio (così Consiglio di Stato VI n.6381 del 30 giugno 2023).
Il potere di irrogare le sanzioni cui all’art. 167 D.Lgs. n. 42 del 2004, è posto a presidio dell’interesse pubblico di rango costituzionale alla preservazione del paesaggio ed è esercitabile finché perdura l’illecito, che ha natura permanente e cessa soltanto con la rimessione in pristino o con il pagamento della sanzione irrogata.
Quindi, contrariamente alla tesi della parte ricorrente in primo grado, tale illecito, stante il suo carattere permanente, è soggetto all’imprescrittibile potere repressivo sanzionatorio dell’amministrazione preposta alla gestione del vincolo e quindi dotata di un potere autoritativo che nel vigente sistema si considera esercitabile in ogni tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo. Ne consegue che l’illecito amministrativo permanente cesserà solo con il ripristino dei luoghi (ad opera del trasgressore o d’ufficio) oppure nei casi di accertata compatibilità paesistica con l’irrogazione e il pagamento della specifica sanzione risarcitoria, per cui, nel caso concreto il potere sanzionatorio non era prescritto (così Consiglio di Stato VI n.1158 del 2 febbraio 2023, peraltro proprio riguardante un atto emesso dalla Regione Puglia oggi appellante).
Da quanto sopra consegue l’erroneità della sentenza appellata.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, il potere sanzionatorio in materia paesaggistica, essendo l’illecito paesaggistico permanente, non si prescrive e permane fintanto che non sia operata la rimessione in pristino stato o il pagamento della specifica indennità di cui al quinto comma dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
È così errato il richiamo, contenuto nella sentenza appellata, ai “fondamentali principi di matrice penalistica”, anche considerando che se ciò fosse vero, non si potrebbe configurare una responsabilità a carico di soggetti diversi da chi abbia commesso l’abuso o dei suoi aventi causa o degli eredi. Con la conseguenza che basterebbe un’alienazione a qualsiasi titolo dell’immobile interessato da opere realizzate abusivamente per rendere permanente l’abuso paesaggistico.
Con il Provv. del 25 ottobre 2022 la Regione Puglia ha correttamente esercitato il potere di repressione dell’abuso paesaggistico, applicando la sanzione pecuniaria di cui al citato art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
In conclusione l’appello deve essere accolto.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi d’appello.
In riforma della sentenza appellata deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado.
Il lungo tempo di conclusione del procedimento giustifica tuttavia la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado, con salvezza degli atti impugnati.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere
Marco Morgantini, Consigliere, Estensore
Laura Marzano, Consigliere
MASSIMA: Il potere di irrogare le sanzioni cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, è posto a presidio dell’interesse pubblico di rango costituzionale alla preservazione del paesaggio ed è esercitabile finché perdura l’illecito, che ha natura permanente e cessa soltanto con la rimessione in pristino o con il pagamento della sanzione irrogata. Di conseguenza tale illecito, stante il suo carattere permanente, è soggetto all’imprescrittibile potere repressivo sanzionatorio dell’amministrazione preposta alla gestione del vincolo e quindi dotata di un potere autoritativo che nel vigente sistema si considera esercitabile in ogni tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo. L’illecito amministrativo permanente cesserà solo con il ripristino dei luoghi (a opera del trasgressore o d’ufficio) oppure nei casi di accertata compatibilità paesistica con l’irrogazione e il pagamento della specifica sanzione risarcitoria, per cui, nel caso concreto il potere sanzionatorio non era prescritto.