Cass. civ., sez. V, ord., 17 agosto 2021 n. 22971


RITENUTO CHE

  1. De N., avvocato, impugnava, innanzi alla CTP di Campobasso, l’invito al pagamento spontaneo del residuo importo di euro 305,00 dovuto a titolo di Contributo Unificato, relativamente a ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto innanzi al Tribunale di Campobasso, calcolato dall’Amministrazione della Giustizia in ragione del valore della instauranda causa civile di merito, ricomprendente una domanda di risarcimento danni, di valore maggiore rispetto a quello di Euro 1.000.000,00 dichiarato nell’atto processuale.

A sostegno del ricorso deduceva, in particolare, che il contributo unificato è dovuto in ragione del valore della domanda cautelare; la controparte deduceva, invece, la non opponibilità dell’atto impugnato, in ragione della tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992.

L’adita CTP respingeva il ricorso del De N. rilevando, tra l’altro, che il valore della causa, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., è “indeterminabile”.

La CTR del Molise, con la sentenza indicata in epigrafe, rispingeva l’appello principale del contribuente ed accoglieva parzialmente l’appello incidentale del Ministero della Giustizia, affermando che l’atto impugnato, in quanto “rinvia a separato e successivo provvedimento la determinazione di sanzione relativa al ritardato pagamento”, non è autonomamente impugnabile, questione riproposta con il gravame incidentale, e che, in quanto infondata, non meritava accoglimento la doglianza circa il regolamento delle spese processuali adottata dal primo giudice.

Per la cassazione della sentenza il contribuente ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, mentre il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato, in prossimità dell’adunanza, istanza di differimento della decisione.

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 276 c.p.c., violazione dell’ordine logico delle questioni da esaminare, illogicità, contraddittorietà, mancanza di motivazione circa il rigetto dell’appello incidentale, violazione del principio dell’assorbimento, per avere la CTR accolto l’appello incidentale, in relazione alla eccepita inammissibilità dell’impugnazione dell’avviso di pagamento bonario, in quanto atto non opponibile, e ciò non di meno ha respinto l’appello principale del contribuente, afferente a domanda evidentemente inammissibile, peraltro, senza alcuna motivazione.

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 lett. a) e lett. b), per avere la CTR ritenuto l’avviso di pagamento bonario di cui all’art. 248, d.p.r. n. 115 del 2002, atto non autonomamente impugnabile pur essendo incontestabile che esso consiste nell’accertamento e contestazione dell’insufficiente pagamento del contributo unificato.

Con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 24 e 113 Cost., 248, d.p.r. n. 115 del 2002, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR escluso l’autonoma impugnabilità dell’avviso di pagamento bonario, nonostante l’indubbia incidenza di tale atto sui diritti soggettivi del contribuente.

Aggiunge che il valore della proposta domanda di sgombero di un fabbricato in via d’urgenza, contenuto entro l’importo di Euro 1.000.000,00 stimato dalla Regione Molise per trasferimento e smaltimento dei rifiuti radioattivi presenti nel deposito di Castelmauro, non poteva che essere ritenuto, ai fini qui considerati, “indeterminabile”, stante anche l’autonomia del successivo ed eventuale giudizio di merito.

Le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate e meritano accoglimento nei termini di seguito precisati.

Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza di rinvio formulata dalla parte ricorrente al fine di provvedere al deposito della documentazione concernente un procedimento di “definizione bonaria” della controversia genericamente indicato, atteso che il richiesto differimento dell’udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).

L’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001.

Ciò comporta, per quanto d’interesse, la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l’invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (Cass. n. 23532/2020, n. 23469/2017, n. 3315/2016, n. 25297/2014 n. 7344/2012, n. 4513/2009).

L’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (Cass. n.26129/2017).

In quest’ottica, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del più volte citato art. 19 d.ls. n. 546 del 1992, tutti gli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della Commissione Tributaria competente, le quali possono al più dar luogo ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile (Cass. S. U. n. 16293/2007, Cass. n. 14373/2010, n. 12194/2008).

Non può, del resto, dubitarsi sul fatto che sorga in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass. n. 21045/2007).

La sentenza della CTR non si è attenuta ai principi innanzi esposti e per questo va cassata con rinvio, per nuovo esame nel merito della controversia, alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese processuali.

E’, d’altra parte, questa la ragione per la quale si ritiene che il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari vada presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria (Sez. U, Sentenza n. 9840 del 05/05/2011). Invero, la mancata impugnazione dell’invito, se accompagnato dall’omesso pagamento di quanto intimato, comporterebbe l’automatica irrogazione, oltre che degli interessi, della sanzione aggiuntiva del 30%. Da ciò deriva sia la natura compiuta e definita della pretesa tributaria sia il concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto. 

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, Cassazione, il 6 maggio 2021.


COMMENTO– L’ordinanza in commento ribadisce come l’elencazione degli “atti impugnabili” mediante ricorso tributario, contenuta all’art. 19 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, pur dovendosi considerare tassativa, deve tuttavia essere interpretata in senso estensivo, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della Pubblica Amministrazione. 

La giurisdizione del giudice tributario costituisce infatti una giurisdizione di carattere generale ed esclusiva ratione materiae, che si estende sui “tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, con la sola esclusione delle controversie relative all’esecuzione forzata tributaria (art. 2 D.lgs. 546/1992, come sostituito dall’art. 12, comma 2, D.lgs. 28 dicembre 2001 n. 448).

Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore che portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa assuma la forma autoritativa di uno degli atti esplicitamente enumerati dal predetto art. 19 D.lgs. 546/1992.

L’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non espressamente indicato dalla predetta norma rappresenta peraltro una mera facoltà, e non già un onere. Pertanto, qualora il contribuente abbia omesso l’impugnazione dell’atto atipico, ciò non gli preclude comunque la facoltà di impugnazione della pretesa tributaria con il successivo atto tipico (si veda, in tal senso, Cass. civ., sez.VI-5, ord., 02 novembre 2017 n. 26129 che, in applicazione di tale principio, ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado, la quale aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria per crediti tributari, non preceduta dall’impugnazione del preavviso di tale iscrizione: stante il carattere atipico di tale preavviso, non contemplato nell’elenco di cui all’art. 19 D.lgs. 546/1992, la sua impugnazione rappresentava per il contribuente una mera facoltà, e non già un onere preclusivo dell’impugnazione dell’atto tipico successivo, rappresentato dalla comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria).

L’ordinanza in commento ribadisce altresì il principio secondo cui sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ex art. 19 D.lgs. 546/1992, tutti gli atti mediante i quali l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita in tutti i propri elementi essenziali, ancorché tale comunicazione si concluda con un invito bonario a versare quanto dovuto, anziché con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva. 

Non assumono quindi alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della Commissione Tributaria competente a ricevere il ricorso, le quali possono tutt’al più dar luogo ad un vizio dell’atto, tale da renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine di impugnazione o da giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile.

Ciò che rileva è invece come, già al momento della ricezione di un invito bonario al pagamento, sorga immediatamente in capo al contribuente destinatario l’interesse ex art. 100 c.p.c. a chiarire la propria posizione rispetto alla pretesa tributaria azionata nei suoi confronti, mediante una pronuncia idonea ad acquisire la stabilità del giudicato.

Tale conclusione risulta rafforzata dalla considerazione che la mancata impugnazione dell’invito bonario al pagamento del contributo unificato, se accompagnata dall’omesso pagamento di quanto intimato, comporterebbe l’automatica irrogazione degli interessi e della sanzione aggiuntiva del 30%, con conseguente concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto.

Non vi è dubbio infine che la materia relativa al pagamento del contributo unificato appartenga alla giurisdizione del giudice tributario, trattandosi di entrata tributaria rientrante nella previsione di cui all’art. 2 D.lgs. 546/1992. 

Prova ne è il fatto che il ricorso avverso una cartella di pagamento, con la quale l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari, deve essere presentato al giudice tributario (Cass. civ., Sezioni Unite, 05 maggio 2011 n. 9840). 

Parimenti, quindi,  sussiste la giurisdizione tributaria sull’impugnazione dell’invito bonario al pagamento del contributo unificato, che precede la cartella di pagamento.

In applicazione di tali principi, la sentenza di secondo grado viene annullata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano – Roma