Cass. civ., sez. V, ord., 16 aprile 2024 n. 10274


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giulia – Consigliere

Dott. SALEMME Andrea Antonio – Consigliere-Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9769/2017 R.G. proposto da:

Srl, A.A., …..Srl, elettivamente domiciliati in Roma Viale Del Vignola 5, presso lo studio dell’avvocato R. L. (omissis), rappresentati e difesi dall’avvocato Q.L. (omissis)                                                                                                                                                  – ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato (ADS80224030587) che la rappresenta e difende                                                                                      – controricorrente –

nonché contro

Equitalia Servizi di Riscossione Spa, elettivamente domiciliata in Roma Piazza San Bernardo 101, presso lo studio dell’avvocato T. G. (omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato M.L. (omissis)                                                                 – controricorrente –

avverso Sentenza di Comm.Trib.Reg. della Puglia-Bari n. 2507/2016 depositata il 21/10/2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2024 dal Consigliere Andrea Antonio Salemme.

Svolgimento del processo

  1. In data 3.1.2008, veniva notificata a E. Srl una cartella di pagamento, con la quale l’Ufficio recuperava a tassazione la maggiore IVA dovuta dalla contribuente, per l’anno di imposta 2003, in conseguenza del controllo automatizzato della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54-bisD.P.R. n. 633 del 1972
  2. La contribuente proponeva impugnazione dinanzi alla CTP di Bari, che, con sentenza n. 142/9/08, accoglieva il ricorso.
  3. L’agente della riscossione proponeva appello, accolto – con chiamata in causa anche dell’Agenzia delle entrate – dalla CTR della Puglia con sentenza n. 40/15/2009, depositata il 5.5.2009.

3.1. In particolare, la CTR riteneva infondate le doglianze della contribuente di tardività della notifica della cartella di pagamento e di nullità della stessa per violazione degli artt. 140 e 145 cod. proc. civ.

  1. Per la cassazione della suddetta sentenza della CTR proponeva ricorso la contribuente, affidandosi a sei motivi.
  2. Con sentenza n. 4311 del 12/01/2015, depositata il 04/03/2015, la Sez. 5 Civ. della Corte di cassazione così decideva: “Accoglie il secondo, quarto e sesto motivo di ricorso, e rigetta gli altri”.

5.1. Osservava in motivazione:

  1. Con il primo e secondo motivo di ricorso … la E. Srl denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112c.p.c., in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 4, nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.1. La CTR – a parere della ricorrente – avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione, già proposta dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio e riproposta nel giudizio di appello, di illegittimità della cartella impugnata, perché notificata oltre il termine di decadenza del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, previsto dal D.L. n. 106 del 2005art. 1, comma 5 bis, lett. a) convertito nella L. n. 156 del 2005.

1.2. Ad ogni buon conto, anche a voler ritenere – in via di mera ipotesi – sussistente la pronuncia su detta eccezione, la motivazione della CTR sul punto sarebbe, ad avviso della contribuente, del tutto carente….

1.3. Il primo motivo di ricorso … è infondato, mentre va accolto il secondo, avente ad oggetto il denunciato vizio motivazionale…. Nel caso concreto, per quanto concerne la denuncia del vizio di omessa pronuncia operata dalla E. Srl, va rilevato che la CTR – dopo avere dato atto, nello svolgimento del processo (p. 1), che la contribuente aveva eccepito “la tardività della notifica” della cartella impugnata, oltre che la “sua illegittimità ex artt. 140 e 145 c.p.c.”, si è – dipoi – limitata, nella motivazione della decisione, ad affermare: “Si rigettano le eccezioni espresse della società E. Srl considerandole infondate in fatto ed in diritto”….

1.3.2. … Al rigetto di tale eccezione – come dianzi rilevato – il giudice di appello si è determinato sulla base di una motivazione inesistente….

  1. Con il terzo e quarto motivo di ricorso (…I la E. Srl denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112c.p.c., in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 4, nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. La CTR avrebbe, invero, omesso di pronunciarsi sull’eccezione – già proposta dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio e riproposta nel giudizio di appello -di nullità della notifica della cartella impugnata, per violazione del disposto dell’art. 140 c.p.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973art. 60 per essere stata la notifica dell’atto operata in forza di tali disposizioni pure in assenza dei presupposti di irreperibilità e rifiuto del destinatario previsti dalle stesse norme. Siffatta invalidità sarebbe stata, peraltro, sanata solo dopo il decorso del termine legale di decadenza per la notifica della cartella impugnata.

2.2. In ogni caso, anche a voler ritenere sussistente la pronuncia su detta eccezione, la motivazione della CTR sul punto sarebbe, ad avviso della ricorrente, del tutto carente….

2.3. Il terzo motivo di ricorso, concernente l’omessa pronuncia, è infondato, mentre va accolto il quarto….

2.3.1. Anche in relazione a tale eccezione, invero, va rilevato che la CTR … ha … inteso rigettare tutte “le eccezioni espresse della società E. Srl considerandole infondate in fatto ed in diritto”…. Atteso il carattere assolutamente anapodittico dell’affermazione di infondatezza dell’eccezione in parola, operata dalla CTR, è certamente configurabile il denunciato vizio di omessa motivazione….

  1. Con il quinto e sesto motivo di ricorso … la E. Srl denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112c.p.c., in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 4, nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. La CTR avrebbe, invero, omesso di pronunciarsi sull’eccezione – già proposta dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio e riproposta nel giudizio di appello -di nullità della notifica della cartella impugnata per violazione de disposto dell’art. 145 c.p.c., per essere stato l’atto impositivo notificato presso la residenza del legale rappresentante della società, senza che fosse stato, tuttavia, indicato il nome ed il cognome della persona investita della carica.

3.2. Ad ogni buon conto, anche a voler ritenere – in via di mera ipotesi – sussistente la pronuncia su detta eccezione, la motivazione della CTR sul punto sarebbe, a parere della contribuente, del tutto carente….

3.3. il quinto motivo di ricorso, con il quale la E. Srl denuncia l’omessa pronuncia, è infondato, mentre va accolto il sesto….

3.3.1. Anche con riferimento a tale eccezione va, difatti, rilevato che la CTR – dopo avere dato atto, nello svolgimento del processo (p. 1), che la contribuente aveva eccepito, oltre alla “tardività della notifica” della cartella impugnata, la “sua illegittimità ex artt. 140 e 145 del c.p.c”, ha – dipoi – nella motivazione della decisione, rigettato tutte “le eccezioni espresse della società E. Srl considerandole infondate in fatto ed in diritto”…. È da reputarsi sussistente il denunciato vizio di omessa motivazione, non avendo la CTR evidenziato gli elementi fattuali relativi alla notifica della cartella in questione che la avevano indotta a formulare un giudizio – fondato o meno che fosse – in ordine all’infondatezza dell’eccezione di nullità della notifica di tale atto, per violazione dei disposto dell’art. 145 c.p.c.

3.4. Ne discende che il sesto motivo di ricorso deve essere accolto….

  1. “La società E. Srl (nelle more cancellata dal registro delle imprese) in persona del suo ultimo liquidatore, la DEMA CED Srl ed il dott. A.A., quali soci della medesima” riassumevano il giudizio dinanzi alla CTR della Puglia quale giudice di rinvio, “rilevando, ancora, la tardività della notifica della cartella impugnata, l’impossibile sanatoria dell’eccepita tardività della notifica con la proposizione del ricorso, l’illegittimità della notifica ex art. 140c.p.c. richiamato dall’art. 60del D.P.R. 600/73 e l’illegittimità della notifica della cartella di pagamento per violazione dell’art.145 c.p.c.” (p. 17 ric.).

6.1. Si costituiva – oltreché l’Agenzia delle entrate, protestante la propria estraneità alla controversia – l’agente della riscossione, “ribadendo le proprie ragioni e depositando, solo in que(ll)a sede, documentazione … comprovante la legittimità della notifica della cartella di pagamento impugnata” (ivi).

6.2. Con la sentenza n. 2507/2016, deliberata il 16.09.2016 e depositata il 21.10.2016, di cui in epigrafe, la CTR, pronunciando in sede di rinvio, accoglieva l’appello di Equitalia, così motivando:

Con la sentenza di rinvio la Suprema Corte ha cassato l’impugnata sentenza della CTR della Puglia in relazione al secondo, quarto e sesto motivo di ricorso proposto dalla contribuente(;) pertanto questa Commissione deve procedere a nuovo esame dei punti della controversia secondo quanto stabilito nella sentenza di annullamento della Corte di cassazione.

Il secondo motivo di ricorso proposto dalla contribuente attiene alla illegittimità della cartella impugnata perché notificata oltre il termine di decadenza del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione previsto dall’art. 2, co. 5-bis, lett. a) del D.L. n. l 06 del 2005, convertito nella L.n.156 del 2005. La contribuente sostiene infatti che l’atto sarebbe stato notificato in data 03.1.2008 quindi oltre il termine decadenziale del 31.12.2007.

L’eccezione è infondata.

La cartella di pagamento impugnata, relativa alla maggiore IVA dovuta dal contribuente per l’anno di imposta 2003, risulta notificata dall’agente di riscossione, Equitalia Sud Spa, alla E. Srl, ai sensi dell’art.140 c.p.c. come richiamato dall’art. 26 D.P.R. 602/73.

Tutte le formalità venivano osservate e compiute entro il termine ultimo del 31.12.2007, come dedotto e documentato da Equitalia Spa.

E precisamente nel fascicolo di Equitalia Sud Spa risultano i seguenti dati: la notifica della cartella di pagamento veniva effettuata a mezzo posta e, in data 19.11.2007, la società debitrice risultava “sconosciuta” presso la sede della stessa, sicché il messo notificatore di Equitalia Sud, in data 13.12.07(,) si recava presso l’abitazione del legale rappresentante della società, A.A., e poiché questi risultava assente, l’atto da notificare veniva depositato, in data 20.12.2007(,) presso la casa comunale di A (comune dove aveva la sede legale la società E.) e con raccomandata a/r spedita il 31.12. 2007 ne dava avviso al destinatario. L’atto veniva poi ritirato dal portiere il 03.01.2008.

Ne consegue che con la spedizione della raccomandata con cui veniva dato avviso al destinatario del deposito dell’atto da notificare si sono esaurite le formalità da parte del notificante, sicché la notifica della cartella di pagamento deve ritenersi perfezionata in data 31.12. 2007 e quindi è avvenuta tempestivamente entro il termine di decadenza.

In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, a seguito delle pronunzie n.477 del 2002 e n.28 del 2004 della Corte Costituzionale, la notificazione a mezzo posta deve ritenersi tempestiva per il notificante al solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge (vd. Cass. 21409/2004).

Il quarto motivo e il sesto motivo attengono all’omessa motivazione in ordine all’eccezione concernente la nullità della notifica per violazione dell’art.140 c.p.c. e 60 del D.P.R. 600 del 1973 e per violazione dell’art.145 c.p.c.

L’eccezione è infondata come già evidenziato la notifica della cartella di pagamento veniva effettuata a mezzo posta e, in data 19.11.2007, la società debitrice risultava “sconosciuta” presso la sede della stessa, in A alla Via sicché il messo notificatore notificava l’atto presso l’abitazione del legale rappresentante della società, A.A., e poiché questi risultava assente, l’atto veniva depositato presso la casa comunale di A e con raccomandata a/r spedita il 31.12.2007 ne dava avviso al destinatario. L’atto veniva poi ritirato dal portiere il 03.01.2008.

La notifica effettuata ai sensi dell’art.145 c.p.c. è regolare atteso che nell’impossibilità di notificare l’atto presso la società al cui domicilio fiscale è risultata “sconosciuta” la notifica presso il domicilio del suo legale rappresentante nello stesso Comune è da ritenersi valida.

In tal senso si è pronunciata la più recente giurisprudenza della Suprema Corte….

Infine giova rilevare come eventuali irregolarità (nel caso di specie insussistenti) sarebbero sanate ai sensi dell’art. L. 56 secondo comma c.p.c…..

  1. Propone ricorso per cassazione la contribuente con nove motivi.

Resiste Equitalia Servizi di Riscossione Spa con controricorso, ampiamente argomentando per l’inammissibilità e/o infondatezza di tutti i motivi.

Resiste altresì l’Agenzia delle entrate con distinto controricorso, a mezzo del quale, pur ribadita la propria estraneità al giudizio, conclude “sic et simpliciter” per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

  1. I primi tre motivi – per comunanza di censure – possono essere enunciati, illustrati e decisi congiuntamente.
  2. Con il primo motivo si denuncia: “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115140del c.p.c., nonché del combinato disposto di cui agli artt. 58, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546/92 e 345 del c.p.c. Denunzia ai sensi dell’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 546/92 e dell’art. 360, n. 3 c.p.c.”.

2.1. “Nonostante (che) Equitalia non abbia dato prova della tempestività della notifica della cartella di pagamento impugnata, effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., (la CTR) ha statuito per la legittimità della stessa, perché perfezionatasi entro il termine di decadenza del 31.12.2007, ritenendo, a suo dire, “esaurite le formalità da parte del notificante” con la spedizione, in tale data, della raccomandata con cui è stato dato avviso del deposito dell’atto presso la casa comunale. In realtà, il giudice “a quo” ha concluso per la tempestività della notifica in argomento valorizzando, in violazione del combinato disposto di cui agli artt. 58, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546/92 e 345 c.p.c., la documentazione prodotta dall’agente della riscossione solo in sede di giudizio di rinvio, ovvero in una fase processuale in cui alcun documento poteva essere fornito dalle parti (se non dimostrando la sussistenza di una causa di forza maggiore che ne avrebbe impedito la precedente produzione) …”.

  1. Con il secondo motivo si denuncia: “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 156, comma 2, 115 e 140 del c.p.c. nonché del combinato disposto di cui agli artt. 58, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546/92e 345 del c.p.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c. richiamato dall’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 546/92“.

3.1. “Il giudice dell’appello … ha erroneamente ritenuto che … “eventuali irregolarità” della notifica della cartella “sarebbero sanate” per effetto del raggiungimento dello scopo della medesima, avendo, la società, proposto impugnazione avverso l’atto “de quo”. Invero, se il giudice avesse applicato correttamente il combinato disposto di cui agli artt. 58, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546/92 e 345 c.p.c., piuttosto che valorizzare la documentazione prodotta da Equitalia solo in sede di rinvio, avrebbe concluso per la tardività della notifica, alla luce della mancata dimostrazione, da parte dell’agente della riscossione, della spedizione della cartella di pagamento entro il termine del 31.12.2007, dovendo concludere che la stessa fosse avvenuta solo in data 03.01.2008, come evidenziato dalla Srl, e, di fatto, non contestato dall’agente della riscossione, ovvero allorquando l’amministratore unico della Srl è venuto a conoscenza di un atto fiscale depositato presso la casa comunale di A …”.

  1. Con il terzo motivo si denuncia: “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60del D.P.R. n. 602/73, 139, 140, 148 e 156 del c.p.c. nonché del combinato disposto di cui agli artt. 58, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 546/92e 345 c.p.c. Denuncia ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c. richiamato dall’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 546/92“.

4.1. Il Giudice di appello … non ha concluso per l’illegittimità della cartella impugnata alla luce della nullità insanabile della relativa notifica, a fronte dei plurimi vizi del procedimento notificatorio ed in considerazione della mancanza della prova, da parte di Equitalia, della regolarità della medesima. Il giudice dell’appello avrebbe dovuto evincere tale illegittimità dallo stato degli atti formatosi nei primi due gradi di giudizio e dall’esame di ciò che è stato prodotto in tali specifiche fasi, non potendo, come invece avvenuto, valorizzare la documentazione prodotta da Equitalia, inammissibilmente, solo in sede di giudizio di rinvio, dalla cui analisi ha, al contrario, concluso per la legittimità della notifica in parola …”.

  1. A tali motivi oppone Equitalia in controricorso che essi sono inammissibili in quanto proposti solo con il ricorso per cassazione. Più nel dettaglio: “Dopo la costituzione in giudizio di Equitalia – con controdeduzioni depositate in data 15/02/2016 unitamente ai documenti comprovanti la regolarità della notifica della cartella di pagamento e, conseguentemente, la totale pretestuosità delle contestazioni riportate nel ricorso in riassunzione – non risulta essere stata depositata alcuna memoria integrativa da controparte. A fronte del deposito dei predetti documenti e delle difese svolte da Equitalia, pertanto, parte avversa non ha rilevato nulla né sotto il profilo della ritualità del deposito documentale – in tal modo sanando l’eventuale tardività del deposito – né tantomeno ha svolto alcuna contestazione sulle considerazioni relative alla legittimità della notifica della cartella di pagamento impugnata…. Ricostruito sotto quest’aspetto il giudizio di rinvio, occorre preliminarmente considerare che non rientrando tra quelle rilevabili d’ufficio dal giudice, l’eccezione volta a rilevare l’irrituale produzione di un documento deve essere sollevata tempestivamente dalla parte controinteressata, pena la “sanatoria” della irrituale produzione documentale”.
  2. I motivi, non inammissibili, sono fondati.
  3. L’eccezione di inammissibilità è formulata in controricorso in relazione alla non rilevabilità “ex officio” dell'”irritualità” delle nuove prove documentali prodotte da Equitalia (solo) in sede di rinvio. Detta eccezione è infondata e le relative ragioni trovano esplicitazione in quelle per cui invece i motivi sono fondati. Pertanto può procedersi ad un unico sviluppo motivazionale.
  4. Occorre impostare il ragionamento muovendo dall’analisi della disciplina della producibilità di nuovi documenti in appello, onde poi confrontarla con la disciplina della producibilità di nuovi documenti in sede di rinvio.

8.1. Nel rito tributario, la disciplina della producibilità di nuovi documenti in appello deve considerare la peculiarità, che caratterizza solo tale rito giudizio, e non anche quello ordinario, a termini della quale, in forza dell’art. 58 D.Lgs. n. 546 del 1992, è sempre consentita la produzione di nuovi documenti anche in appello.

Ciò marca la differenza tra i due riti.

Invero, “nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Peraltro, nel rito ordinario, risultando il ruolo del giudice nell’impulso del processo meno incisivo che nel rito del lavoro, l’ammissione di nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili non può comunque prescindere dalla richiesta delle parti” (Sez. U, Sentenza n. 8203 del 20/04/2005 (Rv. 580936 – 01))

Invece, “in tema di contenzioso tributario, l’art. 58, secondo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha espressamente previsto e consentito la produzione di nuovi documenti in appello. Ne consegue che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere sempre liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado” (Sez. 5, Sentenza n. 16916 del 16/08/2005 (Rv. 583580 -01)). Ancor più precisamente, “nel processo tributario regolato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, atteggiantesi come tipico procedimento documentale, alla luce del fondamentale principio di specialità fatto salvo dall’art. 1 …, non può trasferirsi “tout court” l’esegesi, in tema di produzione di documenti in appello, dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità dei “nuovi mezzi di prova” e, quindi, anche delle produzioni documentali. L’art. 58 del nuovo processo tributario, infatti, oltre a consentire al giudice d’appello di valutare la possibilità di disporre “nuove prove” (comma 1), fa espressamente “salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” (comma 2) (Sez. 5, Sentenza n. 3611 del 20/02/2006 (Rv. 587923 – 01)).

8.2. Nel rito tributario, la generale ammissibilità di nuovi documenti in appello potrebbe, astrattamente, potrebbe far ritenere che identica regola valga anche per il giudizio in sede di rinvio.

8.3. Opposta conclusione è tuttavia espressa, sul perno dell’art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, dalla costante giurisprudenza, la quale – come ripetuto ancora di recente (Sez. 5, Sentenza n. 28547 del 06/11/2019 (Rv. 655896 – 01); Sez. 6-5, Ordinanza n. 20535 del 29/09/2014 (Rv. 632660 – 01); Sez. 5, Sentenza n. 2739 del 05/02/2009 (Rv. 606703 – 01)) – insegna che, “nel giudizio di appello tributario, riassunto a seguito di rinvio della Corte di cassazione, è inammissibile la produzione di nuovi documenti, fatta eccezione per quelli che non si siano potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore, stante la natura di “giudizio chiuso” riconosciuta al grado di rinvio”.

In effetti, non v’è ragione di revocare in dubbio siffatto insegnamento, sol che si consideri che il giudizio di rinvio è – sia consentito di così dire – un giudizio “a bocce ferme”, o meglio, “a bocce ferme” così come si sono fermate ad esaurimento dei gradi di merito prima della devoluzione alla Corte di cassazione. Suole infatti osservare in dottrina che il giudizio di rinvio è in realtà una sorta di “prolungamento” di quello di cassazione, estendendolo, nell’espletamento da parte del giudice di rinvio del mandato conferitogli dal giudice di legittimità, al fine di attingere quei temi di merito che, preclusi al giudice di legittimità, solo il giudice di merito può scandagliare, ovviamente nei modi e nei limiti indicati dalla pronuncia rescindente (art. 384 cod. proc. civ.).

8.4. Alla stregua di quanto innanzi, il giudizio di rinvio, ai fini che ne occupano, non si differenzia nel rito tributario rispetto al rito ordinario.

Ciò, da un punto di vista sistematico, equivale a dire che la specialità dell’art. 58 D.Lgs. n. 546 del 1992, rispetto all’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., per quel che riguarda l’ammissibilità di nuovi documenti in appello (solo) nel rito tributario, si riassorbe nel giudizio d’appello a seguito di rinvio.

8.4.1. La riprova della ristabilita equiparazione dei due riti si ha in ciò che, anche nel rito tributario, come in quello ordinario, la regola dell’inammissibilità di nuovi documenti in sede di rinvio subisce un temperamento in relazione a quei documenti la cui produzione era in precedenza impossibile ovvero trova causa proprio, ed esclusivamente, nella pronuncia di legittimità.

8.4.2. Infatti, si insegna,

– quanto al rito ordinario, che, “nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, è preclusa l’acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore” (Sez. 6-3, Ordinanza n. 27736 del 22/09/2022 (Rv. 665728 – 01), in un caso in cui “la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nell’ambito di un giudizio di risarcimento del danno da emotrasfusioni, aveva dichiarato inammissibile la produzione, in seno al giudizio di rinvio, della documentazione relativa alla liquidazione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, non avendo la parte neppure allegato la ricorrenza di ragioni idonee a giustificare la deroga al suddetto divieto”);

– quanto al rito tributario, che “l’art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, che fa salva la produzione di nuovi documenti, non si applica nel giudizio riassunto a seguito di cassazione con rinvio della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, trovando applicazione la disciplina specifica del successivo art. 63, comma 4, in base al quale, essendo sostanzialmente chiusa l’istruzione, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore”.

8.5. Fermo quanto precede, nel caso di specie, il fattore di complicazione è rappresentato dal fatto che, a fronte della pacifica produzione di nuovi documenti da parte di Equitalia nel giudizio di rinvio, non risulta, come dalla stessa eccepito in controricorso, che la contribuente abbia opposto alcunché in seno a tale giudizio: ragion per cui ci si deve domandare se sia possibile ritenere che la contribuente abbia accettato (“recte”, godesse della facoltà di accettare) il contraddittorio su tali documenti.

8.6. Al fine di dare una risposta a tale domanda, necessita di essere ulteriormente sottolineata la riacquisita confluenza, quanto al giudizio d’appello in sede di rinvio, del rito tributario nell’ordinario, giacché essa restituisce tale giudizio, anche nell’ambito del rito tributario, ad una regola sostanzialmente equivalente a quella che, come visto, si applica “tout court” all’appello (ed “a fortiori” al giudizio d’appello in sede di rinvio) nel rito ordinario, ai sensi dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ.

8.6.1. Tale regola si trascina appresso la disciplina che riceve nell’interpretazione giurisprudenziale.

8.6.2. Quanto al rito ordinario, il Massimo Consesso di questa Suprema Corte ha già avuto modo di stabilire che “il divieto di proporre domande nuove in appello, previsto dall’art. 345, comma 1, c.p.c., è posto a tutela di un interesse di natura pubblicistica, sicché la relativa violazione è rilevabile in sede di legittimità anche d’ufficio, senza che possa spiegare alcuna influenza l’accettazione del contraddittorio” (Sez. U, Sentenza n. 157 del 09/01/2020 (Rv. 656509 – 03)).

Ora, è ben vero che tale principio è enunciato in riferimento al divieto di proporre domande nuove e non al divieto di introdurre nuovi mezzi di prova, documenti compresi; ma e anche vero -tenuto oltretutto conto dell’affrancamento dell’appello dal modello storico della “revisio prioris instantiae” – che la “ratio” sottesa ai due divieti e identica, mirando ad ancorare la cognizione del giudice appello sia sui fatti primari (fondanti domande ed eccezioni) che sui fatti secondari (integranti il “thema probandum”) alle devoluzioni effettuate in primo grado.

8.7. Deve conclusivamente enunciarsi il seguente principio di diritto:

Nel rito tributario, il divieto di produrre nuovi documenti in sede di rinvio (salvo che la loro produzione fosse impossibile in precedenza ovvero sia scaturita dalla pronuncia di legittimità) è posto a tutela di un interesse di natura pubblicistica, sicché la relativa violazione è rilevabile in sede di legittimità anche d’ufficio, senza che rilevi in senso contrario la mancata eccezione d’inammissibilità o l’accettazione del contraddittorio.

  1. La CTR non ha fatto applicazione di tale principio, poiché ha posto a fondamento della decisione l’intero incartamento documentale figurante nel fascicolo di Equitalia, senza escludere, ma anzi considerando, i documenti da questa prodotti (solo) in sede di rinvio.
  2. Ne consegue che i motivi in disamina vanno accolti, con assorbimento di tutti gli altri: invero, i motivi dal quarto al settimo deducono censure relative alle valutazioni espresse dalla CTR in punto di ritenuta legittimità del procedimento notificatorio all’esito della disamina di siffatto intero incartamento documentale; l’ottavo ed il nono deducono bensì “errores in iudicando” “sub” art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112cod. proc. civ., tuttavia, espressamente (cfr. le prime righe della relativa illustrazione), in via subordinata rispetto alle denunciate, con i precedenti motivi, violazioni degli artt. 140145 cod. proc. civ. (inficianti di nullità la notifica per inoperatività della sanatoria ex art. 156 cod. proc. civ., essendo il piego stato ritirato solo il 03.01.2077, cioè dopo la scadenza del termine di notifica, con conseguente tardività di alcun effetto retroattivo sanante).
  3. La sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio per nuovo esame e per le spese.

P.Q.M.

Accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia per nuovo esame e per le spese.

Così deciso a Roma, lì 11 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2024


COMMENTO – La pronuncia in commento concerne una fattispecie alla quale risulta applicabile, ratione temporis, il disposto dell’art. 58 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera bb) D.lgs. 30 dicembre 223 n. 220.

La predetta norma stabiliva che il giudice di appello non potesse disporre nuove prove, salvo che non le ritenesse necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostrasse di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile (comma 1), mentre consentiva senza alcuna limitazione la produzione di nuovi documenti (comma 2).

La giurisprudenza di legittimità aveva peraltro precisato che le nuove produzioni documentali in appello fossero ammissibili solo se effettuate entro il termine perentorio di venti giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione del merito, in forza del disposto di cui all’art. 32, comma 1, D.lgs. 546/1992, applicabile anche al secondo grado di giudizio in forza del generale rinvio alle disposizioni dettate per il primo grado, in quanto compatibili con il processo di appello e non espressamente derogate (art. 61 D.lgs. 546/1992).

La questione risolta dall’ordinanza in commento concerne l’applicabilità dell’art. 58, comma 2, D.lgs. 546/1992 (nel testo vigente ratione temporis) anche al giudizio di rinvio (art. 63 D.lgs. 546/1992), conseguente ad una pronuncia di legittimità di annullamento con rinvio.

La Suprema Corte esclude tale applicabilità, confermando come il giudizio di rinvio configuri anche nel rito tributario, così come in quello civile, un giudizio ad istruttoria “chiusa”, nel quale è preclusa l’acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento emessa dalla Corte di Cassazione o dall’impossibilità di produrle in precedenza per causa di forza maggiore (art. 63, comma 4, D.lgs. 546/1992).

Non rileva, in senso contrario, neppure l’acquiescenza della controparte. Infatti, anche qualora quest’ultima non eccepisca l’inammissibilità delle produzioni documentali effettuate per la prima volta nel giudizio di rinvio, dimostrando così di voler accettare il contraddittorio sulle stesse, l’inammissibilità può e deve comunque essere rilevata dal giudice anche in via officiosa. 

Viene pertanto affermato il principio di diritto secondo cui, nel rito tributario, il divieto di produrre nuovi documenti in sede di rinvio (salvo che la loro produzione fosse impossibile in precedenza ovvero che la loro necessità sia scaturita dalla pronuncia di legittimità) è posto a tutela di un interesse di natura pubblicistica, sicché la relativa violazione è rilevabile in sede di legittimità anche d’ufficio, senza che rilevi in senso contrario la mancata eccezione d’inammissibilità o l’accettazione del contraddittorio.

Si tratta, peraltro, di un principio di diritto la cui portata applicativa è destinata a ripercuotersi principalmente sulle fattispecie alle quali sia applicabile ratione temporis la formulazione dell’art. 58 D.lgs. 546/1992 (e, in particolare, del comma 2 di tale norma) anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera bb), D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220, che ammetteva senza alcuna limitazione le nuove produzioni documentali in grado di appello.

Quest’ultima disposizione ha infatti interamente “riscritto” la norma di cui all’art. 58 D.lgs. 546/1992, equiparando il regime dei nuovi mezzi di prova e quello delle nuove produzioni documentali, che divengono entrambi di regola inammissibili, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Viene fatta unicamente salva la facoltà di proposizione di motivi aggiunti di appello, qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti impugnati. Il “nuovo” art. 58 D.lgs. 546/1992 dispone infine che non sia in alcun caso ammesso il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado, anche ai sensi dell’art. 14, comma 6-bis, D.lgs. 546/1992.

La predetta modifica normativa, applicabile ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 05 gennaio 2024 (i.e.: giorno successivo a quello di entrata in vigore del D.lgs. 220/2023), è certamente destinata ad avvicinare il grado di appello del rito tributario a quello del rito civile, limitando rispetto al passato l’ammissibilità delle nuove produzioni documentali anche in tale grado (e non più soltanto nell’eventuale e successivo giudizio di rinvio).

A maggior ragione, del tutto analoghi risultano i giudizi di rinvio del rito civile (art. 394 c.p.c.) e di quello tributario (art. 63 D.lgs. 546/1992), entrambi strutturati come giudizi “chiusi”, in cui l’introduzione di nuovi temi d’indagine o di nuovo materiale probatorio, incluso quello documentale, è limitata alle esigenze sorte dalla pronuncia di legittimità, che ha originato il medesimo giudizio di rinvio, alle sopravvenienze fattuali o alla dimostrazione – a carico del richiedente- dell’impossibilità assoluta della loro tempestiva proposizione o produzione.

Dott.ssa Cecilia Domenichini 

Unicusano-Roma