Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado delle Lombardia, sez. I, 06 ottobre 2023, n. 2970


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA LOMBARDIA

PRIMA SEZIONE

riunita in udienza il 11/09/2023 alle ore 15:00 con la seguente composizione collegiale:

PUNZO ROBERTO, – Presidente

CRESPI MONICA GIOVANNA MICA, – Relatore

MONFREDI MARIANTONIETTA, – Giudice

in data 11/09/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 203/2023 depositato il 18/01/2023

proposto da

D.R. – (…)  Difeso da

P. S. A. – (…) ed elettivamente domiciliato presso …………………..@pec.ordineavvocatipesaro.it

contro

Comune di Milano – Piazza Della Scala 2 20100 Milano MI

elettivamente domiciliato presso contenziosotributario@postacert.comune.milano.it

Avente ad oggetto l’impugnazione di:

– pronuncia sentenza n. 1579/2022 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale MILANO sez. 3 e pubblicata il 08/06/2022

Atti impositivi:

– AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2015

– AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2016

– AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2017

– AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2018

a seguito di discussione in pubblica udienza

Richieste delle parti:

Ricorrente/Appellante: (Trascrizione delle eventuali richieste ammesse dal Presidente)

Resistente/Appellato: (Trascrizione delle eventuali richieste ammesse dal Presidente)

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1579/03/2022 depositata in data 08/06/2022 la CTP di Milano respingeva il ricorso, giacché infondato e non meritevole di accoglimento in base alle seguenti motivazioni: ” Il ricorso è infondato. L’eccezione riguardante il difetto di motivazione non può essere accolta atteso che il Comune di Milano, avendo constatato il mancato versamento IMU per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 in relazione all’immobile in possesso del sig. D.R., si è limitato ad accertarlo con i provvedimenti impugnati ove è ben specificato l’immobile oggetto di tassazione, il valore dello stesso, l’aliquota applicata e, di conseguenza, quantificata la relativa imposta. Spettava al contribuente l’onere di giustificare detto mancato versamento ed, infatti, è proprio il ricorrente che, menzionando l’atto del Notaio Mauro Grandi del 20 dicembre 2013, ha precisato che l’appartamento sito in M. al civico 105 di via I. con relativa pertinenza gli è stato assegnato in usufrutto ventennale. Dai documenti allegati si evince che detto immobile, sin dal 2013, è diventato il suo domicilio e la sua dimora. Per tale ragione il contribuente R. ha ritenuto, errando, che il suo immobile godeva dell’esenzione di cui all’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011 sin dal 2014 e, quindi, doveva considerarsi escluso dall’IMU. Il Comune di Milano ha controdedotto sostenendo che il R. ha trasferito la propria residenza nell’appartamento di cui è usufruttuario solo nel 2019, mentre negli anni dal 2014 al 2018 il R. aveva mantenuto la propria residenza anagrafica sempre al civico 105 di via I., ma in altro appartamento che, “a sua volta gode dell’agevolazione fiscale prevista per l’abitazione principale”. La circostanza non è contestata da parte ricorrente. A nulla rileva la specificità della fattispecie esaminata e cioè il fatto che il trasferimento della residenza è avvenuto da una unità immobiliare ad altra ubicata anch’essa nello stesso fabbricato, ma pur sempre diverse. Infatti, l’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011 definisce l’abitazione principale, esclusa dalla tassazione IMU, come “l’immobile … nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”. Detta seconda condizione si è verificata solo dal 2019 e, quindi, solo da tale data il R. può considerare il proprio immobile escluso dalla tassazione IMU. Quanto alla contestata illegittimità delle sanzioni, la Commissione non può accogliere neppure questa eccezione. Infatti, l’art. 7 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 prevede che “Nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali”. La sanzione applicata è pari al 30% dell’imposta non versata. In effetti, però, come segnalato da parte resistente, lo stesso decreto legislativo prevede comportamenti atti a ridurre l’entità delle sanzioni, ivi compreso il comportamento consistente nel ravvedimento operoso, ormai esteso a tutti i tributi. Il contribuente non si è avvalso di nessuna di tali possibilità, anzi avendo ricevuto gli avvisi di accertamento ha preferito impugnarli chiedendone l’annullamento persino in sede di mediazione. Parte ricorrente lamenta, altresì, la violazione dell’art. 12, comma 5, del citato D.Lgs. n. 472 del 1997 in quanto avendo commesso la stessa violazione per più periodi d’imposta andava applicato, a suo dire, il principio della continuazione e del cumulo giuridico. L’accezione va rigettata atteso che nel caso di specie il Comune di Milano ha applicato la sanzione prevista per l’omesso versamento IMU. La Suprema Corte ha ripetutamente precisato che l’istituto del cumulo giuridico non può essere applicato in caso di mancati versamenti ancorché per più periodi d’imposta. Anche nella recentissima Sentenza n. 34868 del 17 novembre 2021 si legge che “sembra coerente a tal rilievo l’autonomia quoad poneam di ciascun tardivo od omesso versamento d’imposta, per il quale la legge, derogando alla generale applicazione degli istituti di favor rei, commina appunto una distinta sanzione proporzionale, nella misura del trenta per cento di ogni importo non versato””.

Avverso la sentenza propone rituale appello il contribuente che, preliminarmente, chiede la riunione con l’appello rubricato a n. 3444/2022 rga ( relativo all’anno di imposta 2014) e formula i seguenti motivi sinteticamente riportati:

1)Nullità della sentenza, e conseguente rimessione alla CTP, ex art. 59, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 per violazione del principio del contraddittorio e della oralità della causa, in violazione degli artt. 32-33 del medesimo decreto, nonché artt. 324101 e 111 della Costituzione; per mancato svolgimento della pubblica udienza.

2) Motivazione inesistente, apparente e comunque carente degli atti impugnati. Infondatezza ed erroneità del relativo capo della sentenza laddove non specifica il motivo reale del disconoscimento dell’esenzione IMU; in proposito ribadisce l’illegittimità per carenza di motivazione degli avvisi di accertamento.

3) Infondatezza nel merito della pretesa creditoria del Comune. Erroneità ed infondatezza della sentenza; ribadisce che era residente anagraficamente, sempre in via I. 105, ma in abitazione diversa da quella dei genitori. Ed è del tutto irrilevante che anche la precedente abitazione in cui viveva il contribuente godesse dell’agevolazione fiscale Imu prevista per l’abitazione principale, in quanto essa non era di proprietà del contribuente bensì dei genitori. L’abitazione di via I. 105, piano terzo, assegnatagli con usufrutto nel 2013, era ed è la prima casa di D.R.. Sostiene, in proposito, che il cambio di residenza avvenuto nel 2019 è dato solo formale e che la residenza effettiva è stata dal 2013 nell’appartamento per cui è causa. A dimostrazione produce le denunce Tari/ Tarsu del 2013, il contratto di assicurazione, le spese condominiali, i contratti di fornitura di energia e gas sin dal 2011. Ricorda che il cambio di residenza non prevede l’indicazione del numero di appartamento o l’individuazione catastale dello stesso.

4) Illegittimità e nullità della sanzione, anche perché non vi era alcuna volontà evasiva e quindi per difetto dell’elemento soggettivo, nonché per mancata applicazione dell’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 472 del 1997, con 37 conseguente riduzione alla metà del minimo delle sanzioni stesse. Infondatezza della sentenza.

5)Illegittimità e nullità dell’atto di irrogazione delle sanzioni di tutti gli avvisi per violazione dell’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 472 del 1997 ed i correlati principi della continuazione e del cumulo giuridico. Mancata applicazione di tale norma anche per la sanzione irrogata per l’anno 2014 e per il 2019.

Conclude per la riforma della sentenza e in via subordinata per l’annullamento delle sanzioni, con vittoria di spese.

Resiste il Comune di Milano che insiste per la conferma del primo deciso e, preliminarmente, ricorda che nel giudizio di primo grado si è costituito nei termini di legge.

Contesta la fondatezza dei motivi di appello: il primo perché, in periodo pandemico, non era prevista la pubblica udienza in presenza, ma vi era necessità di formulare apposita istanza di trattazione da remoto, adempimento non ottemperato da controparte; il secondo e il terzo perché gli atti impositivi sono motivati con indicazione dell’immobile e ragione della pretesa con disconoscimento dell’agevolazione concessa all’abitazione principale che, nel caso in esame, non sussiste perché la residenza è stata trasferita solo nel 2019 ( sul punto cita CGt Lombardia sentenza n. 1110/2023); il quarto e il quinto, perché le sanzioni sono irrogate a norma di legge nella misura del 30% e il cumulo giuridico non è applicabile perché il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale l’art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento.

L’appellante deposita memoria illustrativa con la quale evidenzia che, per controversia analoga relativa all’anno di imposta 2019, la CTR Lombardia con sentenza n. 1503/2023 si è pronunciata in senso favorevole al contribuente, così come nelle vertenze analoghe che hanno interessato il fratello dell’appellante.

La trattazione della controversia è avvenuta come da separato processo verbale in atti.

Motivi della decisione

L’appello è meritevole di accoglimento.

Anzitutto occorre ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il giudice, nel motivare ” concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. cpc, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata. Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono necessariamente essere ritenute come “omesse” per effetto di ” error in procedendo”, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato. Alla luce di quanto appena ricordato, si deve quindi precisare che la trattazione sarà in questa sede limitata all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti ai fini del decidere, ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni.

E ciò in applicazione del principio della cosiddetta ‘ragione più liquida’ desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., ulteriormente valorizzato e confermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008Cass. Civ. n. 26242/2014 e Cass. Civ. n. 9936/2014).

Osserva il Collegio che la pretesa fiscale, le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto devono essere già chiaramente esposti nell’avviso di accertamento ex articolo 1, comma 162, L. n. 296 del 2006. Più in generale, “gli atti dell’amministrazione finanziaria oggetto della giurisdizione tributaria ex art. 2, c.c. 1 e 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, emessi dagli Enti fiscali di cui al successivo art. 10 sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3L. n. 241 del 1990, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato le decisioni dell’amministrazione” (art.7L. n. 212 del 2000 c.d. Statuto dei diritti del Contribuente). “1. (…) 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”. (art. 3, c.1, L. n. 241 del 1990). Secondo Cass. n. 1209 del 4/2/2000, l’avviso di accertamento ha la funzione di “provocatio ad opponendum” e, quindi, l’obbligo di motivazione resta soddisfatto tutte le volte che l’Ente fiscale abbia messo il cittadino-contribuente nelle condizioni di conoscere ex se la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali per poterne contestare consapevolmente “an” e “quantum debeatur”. Invece, solo in sede processuale è emerso che l'”avviso di accertamento ed irrogazione contestuale delle sanzioni (art.1, c.161, L. n. 296 del 2006 e art. 17D.Lgs. n. 472 del 1997)”, anziché accertare una indebita esenzione IMU perché, ad avviso dell’Ente impositore, il contribuente accertato non aveva trasferito la propria residenza anagrafica dall’appartamento occupato insieme al proprio nucleo familiare a quello nuovo esente IMU, si limitava a liquidare un incomprensibile “omesso, insufficiente e/o tardivo versamento” e ad irrogarne -senza i benefici di cui all’art. 12, c.5, D.Lgs. n. 472 del 1997– la sanzione.

Evidentemente era sfuggita all’Ente impositore la differenza ontologica tra avviso di liquidazione (che può essere contestuale o conseguenziale a quello d’accertamento) ed avviso di accertamento (che deve dare compiuta evidenza al contribuente di tutto quanto considerato e ritenuto dall’Ente fiscale in esecuzione della propria attività impositiva). Premesso che secondo l’art. 43 Codice Civile, la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale, per residenza “anagrafica” si intende la residenza fissata con iscrizione presso l’anagrafe di un comune, dove il soggetto decide di dimorare abitualmente. Non può revocarsi in dubbio che la declinazione anagrafica della residenza di cui all’art. 43 c.c. -coincidente con l’indirizzo- si esaurisca in quella toponomastica (via, numero civico, c.a.p. e città) e non possa confondersi con l’identificazione catastale (denominazione e codice comune, foglio, particella e subalterno); il c.d. classamento catastale (categoria, classe, consistenza, superficie e rendita), invece, risponde ad altre logiche che qui non rilevano. Quindi, l'”identificazione catastale” è altro rispetto alla “residenza anagrafica”, che -ove espressamente prevista o richiesta- potrebbe integrare. Comunque, anche perché per il comportamento del ricorrente non è dato ipotizzare alcuna condotta elusiva/evasiva, l’omissione di un adempimento formale aggiuntivo come l’identificazione catastale -peraltro, ratione temporis non prevista neppure dalla modulistica- non può che costituire nulla di più di una irregolarità innocua dell’adempimento dichiarativo di residenza. Inoltre, secondo la Suprema Corte (Cass. 8628/2019, che richiama testualmente Cass. 26985/2009 e 13151/2010) in tema di agevolazioni IMU le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte; in particolare Cass. 11550/2013 ha precisato che “il luogo della effettiva dimora è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le risultanze anagrafiche (Cass. 19132/200411562/2003) assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario dimori di fatto in via abituale (Cass. 12303/2008)”. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale, con sentenza n. 209 del 12.09.2022, depositata il 13 ottobre 2022, con efficacia “ex tunc”, ex art. 30L. 11 marzo 1953, n. 87, affermando che: “i Comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art.2 comma 10 lett. c). punto 2 del D.Lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dei quali si può riscontrate l’esistenza o meno di una dimora abituale”. A tal proposito, il ricorrente ha presentato abbondante documentazione indiziaria, non validamente opposta dall’Ente fiscale: sono state depositate le fatture delle utenze per luce e gas, attivati già nel 2013 e recanti consumi più che compatibili con l’utilizzo effettivo dell’abitazione, il pagamento delle imposte sui rifiuti, l’assicurazione sulla casa, il pagamento delle spese condominiali. L’appellante evidenzia come nel 2013 abbia cessato la convivenza con i genitori e creato un proprio nucleo familiare con dimora/residenza e domicilio effettivi al terzo piano della scala 8 di via I. 105, appartamento diverso da quello occupato dai genitori, al quarto piano della scala 8 della medesima via I. 105. La coerente documentazione prodotta e le attestazioni a corredo costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti in tal senso, con efficacia probatoria ex art. 2729 c.c. senza dimenticare che l’esenzione si applica quando, come nel caso in esame, il soggetto abbia stabilito la “dimora abituale”, la cui effettività prevale su ogni altra diversa e solo formale attestazione.

L’esame della copiosa documentazione versata in atti e la recente giurisprudenza in materia, con particolare riguardo alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 209/2022, giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia di Secondo Grado della Lombardia accoglie l’appello e, in riforma della sentenza di I grado, annulla gli avvisi di accertamento. Spese compensate.

Così deciso in Milano, il 11 settembre 2023.


COMMENTO – La pronuncia in commento ribadisce la differenza ontologica tra avviso di accertamento (che deve dare compiuta evidenza al contribuente di tutto quanto considerato e ritenuto dall’Ente fiscale in esecuzione della propria attività impositiva) ed avviso di liquidazione (che può essere contestuale o consequenziale a quello d’accertamento, e che può legittimamente essere motivato in modo più sintetico).

L’avviso di accertamento ha infatti la funzione di provocatio ad opponendum e, quindi, l’obbligo di motivazione può ritenersi soddisfatto solo a condizione che l’Ente fiscale abbia messo il cittadino-contribuente nelle condizioni di conoscere ex se la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, così da poterne eventualmente contestare in maniera consapevole sia “an” che “quantum debeatur“. 

Nel caso di specie, l’avviso di accertamento ed irrogazione contestuale delle sanzioni si limitava a liquidare un incomprensibile “omesso, insufficiente e/o tardivo versamento” e ad irrogare la relativa sanzione (peraltro senza i benefici di cui all’art. 12, comma 5, D.lgs. 472/1997), anziché accertare un’indebita esenzione IMU, motivata dalla circostanza che il contribuente accertato – secondo la ricostruzione dell’Ente locale- non avesse trasferito la propria residenza anagrafica dall’appartamento precedente, nel quale aveva convissuto con i propri genitori, a quello nuovo, nel quale era andato ad abitare da solo e per il quale veniva invocata l’esenzione IMU.

Il predetto avviso di accertamento risultava quindi insufficientemente motivato.

Sulla necessità che l’avviso di accertamento esprima una motivazione completa, e non integrabile dall’Ente impositore nella successiva fase processuale, si veda anche Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di La Spezia, sez. II, 11 agosto 2023 n. 109 (già commentata su questa Rivista), che si è espressa in tal senso in merito alla contestazione del requisito della “dimora abituale” in base ai consumi asseritamente troppo ridotti.

Nel merito della vicenda, il contribuente appellante aveva dimostrato di aver trasferito la propria residenza dall’appartamento, nel quale viveva in precedenza unitamente ai propri genitori, al nuovo appartamento, nettamente distinto dal primo, ancorché ubicato nel medesimo fabbricato.

Tale trasferimento risultava comprovato da utenze domestiche, spese condominiali e assicurazione sulla casa prodotte in atti, documentazione che i giudici di secondo grado ritengono dotata dell’efficacia probatoria di indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.) per dimostrare il requisito della “dimora abituale”.

Quanto al requisito della “residenza anagrafica”, viene stabilito che l’indicazione richiesta all’atto del trasferimento sia unicamente quella toponomastica (via, numero civico, c.a.p. e città), non essendo necessaria l’identificazione catastale dell’immobile (denominazione e codice comune, foglio, particella e subalterno), dal momento che il cd. “classamento catastale” risponde a finalità completamente diverse.

Nel caso di specie, l’indicazione toponomastica (via, numero civico, c.a.p. e città) della nuova residenza del contribuente veniva a coincidere con la precedente, dal momento che entrambi gli appartamenti (i.e.: quello in cui il contribuente aveva in precedenza convissuto con i propri genitori e quello in cui era successivamente andato a vivere da solo) erano ubicati all’interno del medesimo immobile.

Tale circostanza non viene tuttavia ritenuta ostativa, in quanto nel comportamento del ricorrente non era ravvisabile alcuna condotta evasiva o anche solo elusiva. 

L’omissione di un adempimento formale aggiuntivo, quale l’identificazione catastale dell’immobile in cui era stata trasferita la residenza anagrafica, potrebbe costituire tutt’al più una mera irregolarità innocua dell’adempimento dichiarativo di residenza. Ciò a maggior ragione, considerato che tale adempimento non era neppure richiesto ratione temporis dalla modulistica relativa al trasferimento anagrafico.

A ciò deve aggiungersi che, in tema di agevolazioni IMU, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di prova, quale appunto, nel caso di specie, le utenze domestiche e le spese condominiali prodotte in atti dal contribuente e non specificamente contestati dall’Ente locale.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma