Tribunale di Massa, 31.12.2018 n. 926


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione per opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c. ritualmente notificato F.C., L.C. e C.C. convenivano dinanzi al Tribunale di Massa AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE (già EQUITALIA CENTRO S.p.A.) e L.R., al fine di sentir dichiarare legittima e ad ammissibile la spiegata opposizione; annullare e/o revocare e/o dichiarare nulla e, comunque, priva di efficacia nei confronti degli attori l’impugnata sentenza n. 797/2013 emessa dal Tribunale di Massa nella causa avente R.G. n. 206008/2012 (ex sez. dist. Carrara r.g. 6008/12) passata in giudicato (doc. 1 opponenti), nonché di tutti i successivi e/o, comunque connessi atti posti in essere compresi quelli relativi alla procedura esecutiva posta in essere da EQUITALIA CENTRO S.p.A. contro B.S., nonché di ogni altro provvedimento conseguente e/o da essa dipendente; in via meramente subordinata, nella denegata ipotesi in cui non dovesse essere accolta la richiesta di sospensiva ed Equitalia Centro S.p.a. proceda alla vendita del compendio, condannare la stessa alla refusione di tutti i danni subiti nella misura da quantificare nel corso del presente giudizio salvo risarcimento degli ulteriori danni anche di immagine da liquidarsi in separata sede subiti dagli attori a seguito della messa in esecuzione della sentenza, della vendita del compendio e del comportamento illegittimo tenuto da EQUITALIA CENTRO S.p.A..

Parte opponente lamentava che i beni oggetto di pignoramento mobiliare promosso da EQUITALIA CENTRO S.p.A. nei confronti di B.S., quale parte debitrice, appartenessero invece ai condividenti F.C., L.C., C.C. e L.R.

Lamentavano, pertanto, di non essere stati chiamati quali litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., spiegato da L.R., avverso la procedura esecutiva mobiliare presso il debitore, promossa dall’Agente della riscossione, nei confronti dell’esecutata B.S. (moglie dello stesso terzo opponente L.R.), conclusosi con la sentenza oggetto della presente impugnazione straordinaria, con la quale il Tribunale aveva respinto l’opposizione formulata.

Deducevano, in particolare, a sostegno della domanda, di essere comproprietari e compossessori, unitamente a L.R., dell’immobile sito in (OMISSIS), via (OMISSIS) n. (OMISSIS) e con esso di tutti i beni mobili ivi contenuti per essere gli stessi pervenuti loro in parte  a seguito di successione testamentaria di C.A.M. (nonna di L.C. e C.C.), la quale aveva ricevuto i beni per successione legittima del di lei marito premorto (L.R.); e in parte per successione legittima di M.T.L. (madre di L.C. e C.C., nonché moglie di F.C.), la quale a sua volta aveva ricevuto i beni per successione legittima del di lei padre (L.R.) e per successione testamentaria del di lei zio (L.V.) (docc. da 2 a 4 attori).

Assumevano, pertanto, come i beni di cui al compendio pignorato formassero “da tempo immemorabile l’arredo di alcune stanze del palazzo L.”, come dimostrato dalle fotografie prodotte agli atti di causa, scattate tra il 1968 e il 1978, e quindi “in data antecedente all’ingresso della sig.ra B. nel palazzo” e “alla data in cui è sorto il credito di Equitalia Centro S.p.A. nei confronti della stessa” (cfr. pag. 6 citazione).

Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio EQUITALIA CENTRO S.p.A. (oggi AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE), in persona del Direttore e procuratore speciale pro tempore, domandando il rigetto dell’opposizione di terzo, in quanto infondata in fatto e in diritto, per non avere controparte fornito alcuna prova in grado di superare i limiti probatori imposti dagli artt. 58 e 65 D.P.R. 602/73 e comunque per essere stata promossa dopo l’esperimento del primo incanto, andato deserto, tenutosi in data 07/04/2011 (doc. 5 opposta).

Nonostante la regolarità della notificazione, nessuno si costituiva per L.R. e pertanto ne veniva dichiarata la contumacia con ordinanza del 24/02/2015.

Il giudice disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B.S, in qualità di litisconsorte necessario del presente giudizio, per essere stata parte del giudizio di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., promosso da L.R. e definito con la sentenza qui impugnata.

Nonostante la regolarità della notificazione, nessuno si costituiva per B.S. e pertanto ne deve essere dichiarata la contumacia.

La causa proseguiva con la fase istruttoria, attraverso esclusivamente produzioni documentali.

All’udienza del 14/09/2018 le parti precisavano le conclusioni e il giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando termini ordinari per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

OPPOSIZIONE DI TERZO ORDINARIA EX ART. 404 COMMA 1 C.P.C..

Tra i mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito rientra anche l’opposizione di terzo, mezzo di impugnazione anomalo con riguardo alla legittimazione del soggetto che può esperirlo, poiché previsto a favore di chi è terzo rispetto al precedente giudizio e non di chi ha rivestito la qualità di parte processuale. Requisito essenziale per la proposizione del rimedio in discorso è dato dalla circostanza che l’opponente non deve essere stato parte nel giudizio antecedente e rivesta la condizione di soggetto terzo rispetto al processo (Cass. 23960/2004; Cass. 15168/2004).

L’opposizione di terzo- che si distingue in (art. 404 comma 1 c.p.c.) e revocatoria (art. 404 comma 2 c.p.c.) – è un mezzo di impugnazione straordinario, perché la sua proposizione non è impedita dal passaggio in giudicato della sentenza che si impugna. Essa si inserisce nell’ampio novero degli strumenti che il legislatore attribuisce ai terzi, quali l’intervento nel giudizio di primo grado e in appello, l’opposizione di terzo all’esecuzione prevista dall’art. 619 c.p.c., l’opposizione all’esecuzione proposta dal terzo assoggettato all’esecuzione ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c., oltre all’art. 111 c.p.c. relativo alla posizione dei terzi acquirenti della res litigiosa, all’art. 2909 c.c. che attribuisce ai terzi (che non rivestano la qualità di eredi o aventi causa di una delle parti) l’exceptio rei inter alios iudicatae e infine agli artt. 102, 354, 383 del codice di rito, che fanno riferimento al litisconsorte necessario pretermesso.

Per poter proporre opposizione di terzo, non basta tuttavia non aver assunto la qualità di parte nel processo conclusosi con la sentenza impugnata, ma occorre altresì che l’opponente deduca l’esistenza di un pregiudizio, cagionato dalla sentenza, ai suoi diritti. Dunque, il terzo deve dedurre in giudizio un vero e proprio diritto (Cass. 2145/1988). Non potrà invece far valere con il rimedio in questione la mera nullità della sentenza o la sua erroneità (Cass. 7458/1983), né l’inesistenza del diritto riconosciuto alla parte vittoriosa (Cass. 930/1997).

Inoltre, il diritto tutelato con l’opposizione di terzo deve essere preesistente alla sentenza e da essa leso in modo attuale e concreto, dovendosi escludere, al contrario, che del giudizio in opposizione si possa avvalere un qualunque terzo, non direttamente inciso dal giudicato, al fine di tutelare, mediante il ricorso in opposizione, una situazione di titolarità successiva (Cass. 7702/2005; Cass. 9500/2003).

Legittimati ad opporsi di terzo sono sia i titolari di diritti autonomi, incompatibili e prevalenti; sia i litisconsorti necessari pretermessi.

In particolare, il litisconsorte necessario pretermesso, con l’opposizione, non fa valere un proprio diritto sostanziale, ma lamenta la violazione di un proprio diritto processuale, e cioè del diritto di difesa. Conseguentemente, non ha bisogno di allegare l’ingiustizia della pronuncia opposta, né di formulare richieste di merito, essendo sufficiente constatare la violazione delle norme sull’integrità del contraddittorio, perché ne consegua la dichiarazione di nullità della pronuncia impugnata.

Orbene, parte attrice ha allegato di essere un litisconsorte necessario pretermesso dal giudizio di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. promossa da L.R. (marito dell’esecutata), conclusosi con una sentenza passata in giudicato, con la quale sono state respinte le doglianze dell’opponente, deducendo di essere parte comproprietaria dei beni oggetto di pignoramento, unitamente al terzo che ha spiegato l’opposizione (ovvero lo stesso L.).

Ciò posto, si ritiene che, in linea astratta, sia ammissibile l’opposizione di terzo proposta da F.C., L.C., C.C., avendo, in particolare, questi ultimi dedotto di essere stati pregiudicati dalla sentenza opposta, per vantare loro un diritto di proprietà, unitamente a L.R.- per acquisto a titolo derivativo per successione ereditaria- dei beni colpiti da pignoramento mobiliare promosso da AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, essendo, invece, erroneamente stata riconosciuta dalla predetta pronuncia l’esecutata B.S., quale legittima proprietaria di tale compendio, con conseguente incompatibilità dei diritti di proprietà vantati dalle due parti, opponente e debitrice.

Sotto tale profilo, ovvero terzo pregiudicato dalla sentenza opposta in quanto litisconsorte necessario pretermesso, pertanto, si ritiene l’ammissibilità dello strumento di cui all’art. 404 comma 1 c.p.c..

Appare, quindi, necessario procedere, statuendo nel merito della controversia.

In primis, non appare superfluo ricordare che l’opposizione di terzo si svolge secondo le regole previste per il processo innanzi al giudice competente.

OPPOSIZIONE DI TERZO AVVERSO L’ESECUZIONE MOBILIARE DELL’ESATTORE DELLE IMPOSTE  EX ART. 58 D.P.R. 602/1973.

Il processo di opposizione di terzo è configurabile quale ordinario giudizio di cognizione, avendo ad oggetto la dimostrazione della proprietà del bene pignorato, per cui culmina con una pronuncia di meri accertamento, che accerterà la legittimità dell’esecuzione oppure la proprietà del terzo e, quindi, l’illegittimità dell’esecuzione.

L’esame dell’opposizione  è relativa alla questione dei limiti oggettivi entro cui un soggetto terzo, estraneo alla procedura di cui agli artt. 49 e ss. D.P.R. n. 602 del 1973, può provare il proprio titolo di proprietà, tenuto conto anche dei presupposti di legittimazione e dei limiti probatori stabiliti dalla disciplina generale di cui agli artt. 619 e ss. c.p.c..

TERMINE PER PROPORRE L’OPPOSIZIONE DI TERZO.

In materia di esecuzione esattoriale, l’individuazione della data fissata per il primo incanto come limite temporale dell’opposizione di terzo di cui all’art. 619 c.p.c.- sia ai sensi dell’art. 52, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sia ai sensi dell’art. 58 introdotto dall’art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46- si applica tanto all’espropriazione mobiliare, quanto a quella immobiliare, in ragione della ampiezza della previsione normativa, in quanto connotata da un carattere di omnicomprensività che non riceve smentita dalla presenza di più specifiche previsioni limitative, rispondenti ad un’esigenza analoga a quella sottesa a disposizioni dello stesso genere presenti nel codice di rito, concernenti l’opposizione nell’espropriazione relativa a beni mobili, suscettibili di essere più agevolmente fatti oggetto di fraudolenta sottrazione all’esecuzione. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24271 del 30/11/2010 (Rv. 614884-01)).

Orbene, nella fattispecie in esame, risulta che l’opposizione di terzo (il cui giudizio si è concluso con la sentenza oggetto della odierna impugnazione) è stata spiegata da L.R. nel 2012 (cfr. motivazioni sentenza impugnata e anno di iscrizione della causa a ruolo- doc. 1 attori), mentre l’esperimento del primo incanto, poi andato deserto, si è tenuto in data 07/04/2011 (doc. 5 opposta).

Pertanto, l’opposizione di terzo deve essere dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, poiché, anche collocando temporalmente l’odierna opposizione dei terzi C. al momento della proposta dell’altro asserito titolare del diritto di proprietà sui beni colpiti dal vincolo del pignoramento, L.R., l’opposizione risulta proposta dopo la data fissata per il primo incanto del bene.

PROVA DELL’APPARTENENZA DEI BENI A TERZI.

Nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’Agente della riscossione, la prova dell’appartenenza dei beni è soggetta a precise e stringenti limitazioni.

Ai fini dell’accoglimento dell’opposizione di terzo all’esecuzione, il terzo opponente è chiamato a fornire la prova circa la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Infatti, la domanda di opposizione ex art. 619 c.p.c. dà vita ad un ordinario giudizio di cognizione, autonomo rispetto all’esecuzione nella quale si inserisce, in cui l’onere di provare la titolarità del diritto del terzo opponente di sottrarre il bene pignorato all’esecuzione attiene al fatto costitutivo della pretesa, ed è quindi a carico dell’attore (Cass. 13.10.2003 n. 15278).

In particolare, nel caso di esecuzione esattoriale, la prova che il terzo è chiamato a fornire circa il proprio diritto di proprietà sui beni pignorati deve possedere i requisiti di prova contraria ricavabili dall’art. 63 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in forza del quale “L’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo, dai coobbligati o dai soggetti indicati dall’articolo 58, comma 3, in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo. Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno” (Trib. Monza Sez. III, Sent., 31/05/2016).

Ciò posto, è necessario affermare che le suddette limitazioni trovano applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui il pignoramento venga effettuato in luogo di appartenenza del debitore. Infatti, la presunzione di appartenenza delle cose pignorate al debitore e le conseguenti restrizioni speciali di prova poste dalla legge a carico del terzo opponente hanno quale presupposto a monte il dato fattuale, indicato dalla legge stessa, che il luogo del pignoramento sia l’abitazione o l’azienda del debitore.

L’appartenenza del luogo fa sorgere la presunzione riguardo la proprietà dei beni ivi contenuti. Per questo motivo, prima che possa parlarsi di  presunzione di appartenenza dei beni al debitore è necessario verificare che i beni pignorati si trovino presso l’abitazione  o la sede aziendale del debitore, dovendo trovare, altrimenti, applicazione le disposizioni in tema di espropriazione presso terzi.

Va ricordato come l’originaria previsione di cui all’art. 65 D.P.R n. 602 del 1973, nella formulazione letterale modificata dall’art. 5 D.L. n. 669 del 1996 conv. in L. n. 30 del 1997, per effetto della novella legislativa approvata con il D.Lgs. 46 del 1999 risulta trasfusa, nel relativo contenuto precettivo, nell’art. 63 del D.P.R. n. 602 del 1973; inoltre, nel precedente art. 58 D.P.R. n. 602 del 1973 citato sono dettate regole peculiari riferibili proprio all’opposizione di terzo esattoriale.

Il contenuto normativo dell’art. 63 D.P.R. n. 602 del 1973 così riscritto prevede, in linea di continuità con l’art. 58 cit., che “l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo, dai coobbligati o dai soggetti indicati dall’articolo 58, comma 3, in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo. Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno”.

Sicché, la previsione normativa evidenzia, anche nella nuova formulazione testuale, l’intento del legislatore di confermare l’operatività, in materia, di precisi limiti oggettivi alle modalità attraverso le quali il terzo opponente alla procedura di esecuzione esattoriale mobiliare promossa illegittimamente nei suoi confronti può offrire la prova del proprio diritto di proprietà sui beni ed avvalersi, dunque, dell’inopponibilità relativa degli effetti del pignoramento. Tali limitazioni, che operano in rapporto di specialità rispetto all’art. 621 c.p.c., non possono quindi dirsi affatto caducati per effetto della novella di cui al D.Lgs. 46 del 1999. In altri termini, si escludono soluzioni di continuità  tra la prescrizione originaria contenuta nell’art. 65 D.P.R n. 602 del 1973 e il nuovo testo prescrittivo dell’art. 63 D.P.R. n. 602 el 1973 evidenziandosi una differenziazione che, ratione temporis, si rivela meramente numerica.

Il continuum normativo, d’altronde, è stato anche, in motivazione, riconosciuto dalla Corte Costituzionale che, con la pronuncia n. 158/2008, richiamando propri precedenti interpretativi (cfr. Corte Costituzionale n. 351/1998; n. 445/2000) pur elaborati sulla scorta del precedente art. 65 D.P.R. n. 602 del 1973, ha escluso profili di incostituzionalità di quest’ultima disposizione applicando esattamente gli stessi percorsi interpretativi già condivisi con riguardo alla vigenza della precedente previsione legislativa. In particolare,  stato escluso il contrasto con l’art. 3 Cost., (ed al tertium comparationis costituito dall’art. 621 c.p.c.) e si è ribadito come la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponda all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale, attuata con un procedura improntata a criteri di semplicità e di speditezza, che possono comportare non solo presunzioni in ordine all’appartenenza dei beni e preclusioni nelle opposizioni (Corte Cost. sent. N. 415 del 1396, n. 444 del 1995 e n. 358 del 1994), ma anche limiti probatori; sicché può comprendersi come una disciplina, di tali limiti, diversa e differenziata  rispetto a quella prevista per la comune esecuzione forzata, non è di per sé irragionevole o lesiva del principio di eguaglianza, potendo trovare giustificazione nelle specifiche finalità del procedimento di esecuzione esattoriale e nella diversità di condizione del credito fiscale e di posizione dei soggetti coinvolti nella riscossione coattiva delle imposte (Corte Cost. sent. n. 351 del 1998) (Trib. Bari Sez. II, Sent., 13/04/2016).

Nella medesima occasione ermeneutica, si è, altresì, avuto modo di chiarire come alcuna specifica violazione dell’art. 24 Cost. si riscontri nella fattispecie astratta e concreta (per quel che interessa il caso in esame), atteso che la disciplina dell’ammissibilità e del regime delle prove è rimessa, sempre nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore, il quale può, per determinati rapporti, ammettere solo la prova documentale ed escludere quella testimoniale, ponendo limitazioni che non incidono sul diritto di azione, ma disciplinano il regime delle prove quando l’azione sia esercitata o esprimono profili della disciplina sostanziale (cfr. già citata Corte Cost. n. 351 del 1998; nello stesso senso, ordinanza n. 455 del 2000). Anche la giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa in senso favorevole a ritenere che la scelta in ordine all’ammissibilità e ai limiti dei singoli mezzi di prova è rimessa esclusivamente alla discrezionalità del legislatore (Cass. S.U. 4464/2009; nonché Cass. 27140/2007; 5895/2007; 18190/2006) (Trib. Bari Sez. II, Sent., 13/04/2016).

La Suprema Corte, inoltre, nella vigenza dell’art. 65 D.P.R. n. 602 del 1973, con orientamento costante, ha precisato come, in fattispecie analoghe a quelle sub iudice (ossia, in ipotesi di opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’esattore delle imposte), la prova dell’appartenenza del bene è soggetta alle limitazioni di cui all’art. 65 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, il quale- nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46- esige l’atto pubblico, la sentenza passata in giudicato o la scrittura privata autenticata (di data certa anteriore a quella di consegna del ruolo. Detta limitazione probatoria assolve, infatti, ad una chiara finalità di contrasto di possibili collusioni tra il terzo e il debitore in danno del Fisco, la quale ha una valenza assoluta che non viene meno se il pignoramento sia avvenuto persino in luogo diverso dalla casa di abitazione del debitore o dalla sede o azienda presso cui opera professionalmente (cfr. Cass. n. 10961/2010; n. 2882/2003; nonché n. 4231/1998).

Tale orientamento giurisprudenziale merita di essere confermato.

La bontà della interpretazione dell’art. 65, già data dalla Suprema Corte con le sentenze richiamate, alla quale questo giudice intende, come detto, dare adesione, trova autorevole conferma nella sentenza della Corte Costituzionale n. 358 del 27 luglio 1994, in cui si afferma che l’art. 65 del D.P.R. n. 602 del 1973 pone ragionevoli limitazioni alla prova contraria ed all’opposizione di terzi, che affermino di essere proprietari dei beni pignorati. Difatti il terzo che si oppone all’esecuzione mobiliare dell’esattore può dimostrare l’appartenenza del bene solo mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata di data certa, anteriore a quella di consegna del ruolo (Cass. civ., Sez. I, 10/05/1996, n. 4417).

Il citato art. 65 non ammette, per accertare che il diritto di proprietà del bene pignorato è sorto in capo al terzo opponente prima della consegna dei ruoli all’esattore, mezzi diversi da quelli previsti (atti pubblici, scritture private autenticate, sentenze passate in giudicato).

Si ritiene che l’art. 621 c.p.c. – nella parte in cui dispone che il terzo opponente possa provare con testimoni il suo diritto di proprietà sui beni pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, qualora l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore- non sia applicabile nell’opposizione di terzi all’esecuzione esattoriale. Infatti, l’applicabilità di detta disposizione è esclusa dal secondo comma dell’art. 65 del D.P.R. n. 602 del 1973, là ove dispone che l’appartenenza dei beni a persone diverse dal debitore può essere dimostrata soltanto mediante esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate di data certa anteriore a quella di consegna del ruolo all’esattore ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente alla data stessa.

L’espressione “soltanto” esclude senza ombra di dubbio che sia ammissibile la utilizzazione di mezzi di prova diversi da quelli previsti dalla norma anzi citata (Cass. civ. Sez. I, 10/05/1996, n. 4417).

Orbene, l’art. 58 D.P.R. 602/1973 ammette la possibilità che un terzo, colpito dalla esecuzione contro altri proposta, possa insorgere per far dichiarare la nullità della stessa poiché diretta su beni di sua proprietà.

Tale disposizione definisce in modo rigoroso i limiti probatori cui soggiacciono il coniuge o i prossimi congiunti del debitore iscritto a ruolo nel caso in cui propongano opposizione avente ad oggetto i beni mobili pignorati nella casa di abitazione, nell’azienda o negli altri luoghi appartenenti all’esecutato, prevedendo in deroga a quanto stabilito dall’art. 621 c.p.c., che il coniuge, i parenti e gli affini al terzo grado del debitore iscritto possono dimostrare la proprietà dei beni pignorati nella casa di abitazione o nell’azienda del debitore o del coobbligato, o in altri luoghi a loro appartenenti, “esclusivamente con atti pubblici o scritture private di data certa anteriore: a) alla presentazione della dichiarazione, se prevista e se presentata; b) al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo, se non è prevista la presentazione della dichiarazione o se la dichiarazione non è comunque stata presentata; c) al momento in cui si è verificato il presupposto dell’iscrizione a ruolo, nei casi non rientranti nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b)” (art. 58 comma 3 cit.).

Di contro, l’art. 58 citato non prevede alcunché per ciò che concerne la posizione dei terzi che non siano legati con il debitore da rapporti di parentela o coniugio. La lacuna normativa della legge speciale su questo punto tuttavia è solo apparente poiché soccorre la previsione dell’art. 63 D.P.R. 602 che nel disciplinare le ipotesi in cui l’ufficiale della riscossione deve astenersi dall’eseguire il pignoramento mobiliare, definisce il regime probatorio della opposizione nel caso in cui venga proposta da un terzo che non sia legato all’esecutato da relazione parentale o da coniugio, ma rivendichi la titolarità di un diritto reale sui beni pignorati nei luoghi appartenenti a quest’ultimo.

A norma del predetto art. 63 cit. il terzo ha l’onere di provare il suo diritto mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, avente data certa anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero mediante sentenza passata in giudicato ove pronunciata su domande proposte anteriormente alla stessa data (Cass. Sez. 3, Sentenza n.  3256 del 06/03/2001 (rv. 544473-01)) e non può trovare applicazione l’art. 621 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 539 del 18/01/2002 (Rv. 551665-01)).

Inconferente è il richiamo fatto da parte attrice (cfr. pag. 7 citazione) alla sentenza pronunciata dalla Suprema Corte (Cass. Sez. 3, Sentenza n.  3999 del 23/02/2006 (Rv. 587628-01)), secondo cui in tema di opposizione di terzo all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., la dimostrazione della proprietà da parte del terzo rivendicante può essere fornita anche con le fatture relative all’acquisto dei beni successivamente pignorati, purché, a termini degli artt. 2702 e 2704 cod. civ., esse risultino sottoscritte dal venditore, accettate dall’acquirente, ed abbiano data certa anteriore al pignoramento. A tal fine è compito del giudice di merito stabilire a quali fatti possa legittimamente attribuirsi efficacia probatoria analoga a quella riservata, dalla norma di cui all’art. 2704, primo comma, cod. civ., ai fatti ivi espressamente elencati, la enunciazione dei quali non ha carattere tassativo, e il relativo accertamento, se adeguatamente motivato sotto il profilo dell’assenza di vizi logico-giuridici, si sottrae al controllo di legittimità della corte di cassazione”, con l’intento di ritenere che i documenti offerti in produzione, quali in particolare le fotografie, potessero ritenere positivamente soddisfatto l’onere della prova. Invero, la questione posta all’attenzione della Corte aveva ad oggetto una opposizione di terzo in seno ad una procedura esecutiva ordinaria, promossa da un privato e non all’interno di una esecuzione mobiliare promossa dall’Agente della riscossione.

Applicando i suesposti  principi alla fattispecie portata all’attenzione di questo Tribunale, risulta chiaramente dai documenti prodotti che il luogo dove AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE (già EQUITALIA CENTRO S.p.A.) ha effettuato il pignoramento dei beni costituisce l’abitazione della esecutata, abitandovi la stessa fin dal 1984 (cfr. certificato storico di residenza di B. allegato alla relata di notificazione dell’atto di chiamata per integrazione del contraddittorio), insieme al di lei marito L.R.

Invero, sull’interpretazione del concetto di “casa di abitazione” contenuta nell’art. 52 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, va richiamata l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte, secondo cui tale  luogo si identifica con quello ove il debitore dimori abitualmente, in modo sostanzialmente stabile, a prescindere da un accertamento sulla natura della relazione giuridica che lega il debitore al bene. Tale espressione va, dunque, intesa nel senso della sussistenza di un semplice rapporto di fatto che non sia di temporanea ospitalità in casa altrui, ma abbia una certa stabilità, con la conseguenza che se più persone convivano nella stessa casa questa va considerata per tutte come casa di abitazione.

Sussistendo, quindi, il requisito di appartenenza al debitore B. del luogo in cui si è provveduto al pignoramento (anche in applicazione del principio cristallizzato nell’art. 115 c.p.c. (cfr. Cass. civ., Sez. I, 15-10-2014, n. 21847 (rv. 632499)), per non avere parte attrice specificamente contestato tale circostanza), può trovare applicazione la normativa esattoriale sul pignoramento presso il debitore ed inoltre possono operare gli stringenti limiti probatori in capo al terzo ricavabili dagli artt. 58 e 63 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

In particolare, a C.C. e L.C., in quanto affini di terzo grado della debitrice B.S., dovrà applicarsi il dettato normativo di cui all’art. 58, comma 3, DPR 602/1973; mentre a F.C., in quanto non legato con la debitrice da rapporti di parentela o coniugio, dovrà farsi applicazione dell’art. 63 DPR 602/1973.

Orbene, nessuno degli attori ha assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, tenuto conto dei limiti probatori previsti, per i motivi evidenziati. Non è stato prodotto agli atti di causa alcun atto pubblico o alcuna scrittura privata autenticata avente ad oggetto il trasferimento di proprietà sui beni mobili oggetto del pignoramento compiuto da AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo ovvero la sentenza passata in giudicato pronunciata su domande proposte anteriormente allo stesso anno (per la posizione di F.C.); e non è stato prodotto agli atti di causa alcun atto pubblico o alcuna scrittura privata autenticata avente ad oggetto il trasferimento della proprietà sui beni mobili oggetto del pignoramento avente data certa anteriore: a) alla presentazione della dichiarazione, se prevista e se presentata; b) al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo, se non è prevista la presentazione della dichiarazione  o se la dichiarazione non è comunque stata presentata; c) al momento in cui si è verificato il presupposto dell’iscrizione a ruolo, nei casi non rientranti nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) (per le posizioni di C.C. e L.C.).

Nessun documento prodotto agli atti (quali le denunce di successione e i verbali di pubblicazione di testamento olografo e le fotografie) risulta soddisfare lo standard probatorio richiesto dall’art. 63 del D.P.R. n. 602 del 1973, non potendosi qualificare quelli prodotti in causa, quale atto pubblico ex art. 2699 c.c., in quanto non redatto da un notaio secondo le formalità stabilite dall’art. 51 della l. notarile n. 89 del 1913; né alla stregua di scrittura privata autenticata, difettando dell’autenticazione, intesa come “attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza” (art. 2703, comma 2, c.c.).

Il difetto di prova in ordine all’appartenenza dei beni al terzo opponente consente di pervenire al rigetto dell’opposizione de qua, per infondatezza.

LE SPESE DI LITE.

Le spese processuali seguono la soccombenza e devono essere liquidate come da dispositivo, tenuto conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate (art. 1 d.m. 13 marzo 2014 n. 55, pubblicato sulla G.U. n. 77 del 2.4.2014, applicabile ex art. 28 alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore).

CONVENUTO CONTUMACE.

La condanna alle spese, avendo il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte vittoriosa che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere la tutela giudiziaria di un proprio diritto ovvero per contrastare in giudizio un’altrui pretesa, se va emessa nei confronti del convenuto contumace soccombente, non può essere pronunciata in favore del contumace vittorioso che, con tutta evidenza, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass. 17432/11), né può essere pronunciata riguardo al grado del giudizio  in cui la parte vincitrice sia rimasta contumace (Cass. 904/04). In tale ipotesi, la Suprema Corte ha precisato che la corretta statuizione da adottarsi è quella “nulla a disporre sulle spese” (Cass. 10445/11).

Dunque, nel presente giudizio, considerata la contumacia della convenuta vittoriosa B.S., nulla dovrà essere disposto in punto di condanna alle spese di lite  contro parte attrice opponente rimasta soccombente a favore di tale convenuta.

Parimenti nulla dovrà essere disposto tra la parte attrice opponente e il convenuto contumace L.R., anche tenuto conto della medesima posizione assunta, nel giudizio di opposizione.

P.Q.M.

Il TRIBUNALE DI MASSA,

SEZIONE CIVILE,

in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio civile n. 2280 dell’anno 2014, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, sulla domanda proposta da F.C., L.C., C.C. nei confronti di  AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Direttore e procuratore speciale pro tempore, e L.R., e con la chiamata in causa di B.S., così decide:

  1. DICHIARA la contumacia di B.S.;
  2. RIGETTA l’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 comma 1 c.p.c.;
  3. CONDANNA F.C., L.C., C.C., in solido tra loro, a rifondere a favore di AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del direttore e procuratore speciale, le spese processuali che liquida in complessivi € 9.894,60, di cui € 2.531,25 per la fase di studio della controversia, € 1.670,25 per la fase introduttiva del giudizio, € 4.402,50 per la fase decisionale, € 1.290,60 per spese generali ex art. 2 d.m. 55/14, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. in favore dell’AVV. B.C. quale procuratore dichiaratosi antistatario;
  4. NULLA a disporre sulle spese di lite tra F.C., L.C., C.C., da una parte, e L.R., dall’altro;
  5. NULLA a disporre sulle spese di lite tra F.C., L.C., C.C., da una parte, e B.S., dall’altro.

Così deciso in Massa,in data 24/12/2018.

Il Giudice

dott.ssa Elisa Pinna


 

COMMENTO

La pronuncia in commento concerne un’opposizione di terzo ordinaria (art. 404, comma 1, c.p.c.) promossa avverso una sentenza passata in giudicato, che aveva respinto l’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) del marito della debitrice esecutata contro il pignoramento mobiliare eseguito dall’Agente della riscossione presso l’abitazione familiare.

L’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c., promossa da tre familiari dell’originario opponente, viene ritenuta in astratto ammissibile, stante la deduzione di questi ultimi di rivestire la qualità di litisconsorti necessari pretermessi nell’originario giudizio oppositivo, conclusosi con la pronuncia impugnata.

L’opposizione di terzo è infatti un mezzo di impugnazione straordinario, esperibile anche contro la sentenza già dotata della stabilità del giudicato. Essa di distingue in opposizione di terzo ordinaria (art. 404, comma 1, c.p.c.) ed opposizione di terzo revocatoria (art. 404, comma 2, c.p.c.).

Quest’ultima è esperibile dagli aventi causa e dai creditori di una delle parti del processo originario, i quali deducano che la sentenza opposta sia stata effetto di dolo o collusione in loro danno: per tale motivo, essa deve essere proposta nel termine perentorio di decadenza di trenta giorni dalla scoperta di tale dolo o collusione (artt. 325 e 326 c.p.c.).

L’opposizione di terzo ordinaria, ricorrente nella fattispecie in esame, è invece esperibile, senza alcuna limitazione temporale, da parte di qualsiasi soggetto che non abbia assunto la qualità di parte nel processo conclusosi con la sentenza impugnata e che deduca l’esistenza di un pregiudizio ai propri diritti, cagionato dalla sentenza (Cass. civ., sez. III, 01.03.1988 n. 2145; Cass. civ., sez. III, 26.08.2013 n. 19530).

Il diritto tutelato con l’opposizione di terzo deve essere preesistente rispetto alla sentenza impugnata (Cass. civ., sez. I, 13.04.2005 n. 7702) e da essa pregiudicato in modo attuale e concreto.

Legittimati a proporre opposizione di terzo ordinaria sono sia i titolari di diritti autonomi, incompatibili e prevalenti rispetto a quelli affermati in sentenza, sia i litisconsorti necessari pretermessi.

Mentre i primi, lamentando la violazione di un proprio diritto sostanziale, devono necessariamente formulare richieste di merito, i secondi possono limitarsi a rilevare la violazione di un proprio diritto processuale (i.e.: diritto di difesa), conseguente alla mancata integrazione del contraddittorio nei loro confronti.

Nella specie, poiché gli opponenti avevano dedotto di essere stati litisconsorti necessari pretermessi nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, la loro opposizione viene ritenuta per ciò stesso ammissibile in rito.

Nel merito, tuttavia, la stessa viene ritenuta inammissibile per tardività ed in ogni caso respinta, sul presupposto che l’opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c. si svolge secondo le regole previste per il processo innanzi al giudice competente.

In particolare, poiché la sentenza opposta aveva deciso un’opposizione di terzo ad esecuzione esattoriale (art. 619 c.p.c.), le limitazioni temporali e probatorie previste per quest’ultima dagli artt. 58 e 63 DPR 602/1973 sono applicabili anche alla fase di impugnazione straordinaria, attivata con l’opposizione ex art. 404, comma 1, c.p.c.

Per tale motivo, l’opposizione risulta in concreto inammissibile per tardività, in quanto anche il procedimento conclusosi con la sentenza impugnata, rispetto alla quale gli opponenti avevano dedotto di essere stati litisconsorti necessari pretermessi, era stato instaurato oltre la data fissata per il primo incanto. Conseguentemente, anche laddove gli opponenti fossero stati evocati nell’ambito del primo giudizio di opposizione ex art. 619 c.p.c., lo stesso sarebbe comunque  risultato inammissibile per tardività, in quanto instaurato oltre il termine di cui all’art. 58, comma 1, DPR 602/1973, ossia oltre la data fissata per il primo incanto. Irrilevante risultava la circostanza che quest’ultimo fosse andato deserto.

Anche in materia di prova della proprietà dei beni in capo al terzo opponente, vengono ritenute applicabili anche nella fase di impugnazione straordinaria, che consegue all’opposizione ex art. 404, comma 1, c.p.c., le limitazioni probatorie prescritte per l’opposizione di terzo ad esecuzione forzata esattoriale mobiliare dagli artt. 58 e 63 DPR 602/1973.

In particolare, per due degli opponenti, affini in terzo grado della debitrice esecutata, vengono ritenute applicabili le limitazioni probatorie di cui all’art. 58, comma 3, DPR 602/1973, secondo cui “il coniuge, i parenti e gli affini al terzo grado del debitore iscritto a ruolo e dei coobbligati, per quanto riguarda i beni mobili pignorati nella casa di abitazione o nell’azienda del debitore o del coobbligato, o in altri luoghi a loro appartenenti, possono dimostrare la proprietà del bene esclusivamente con atti pubblici o scritture private di data certa anteriore: a) alla presentazione della dichiarazione, se prevista e se presentata;  b) al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo, se non è prevista la presentazione della dichiarazione o se la dichiarazione non è comunque stata presentata; c) al momento in cui si è verificato il presupposto dell’iscrizione a ruolo, nei casi non rientranti nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b)”.

Per un altro opponente, pur non essendo applicabile la predetta norma (stante l’assenza di qualsiasi vincolo di coniugio, parentela o affinità con la debitrice esecutata), viene invece applicata la disposizione di cui all’art. 63 DPR 602/1973, secondo la quale  L’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo, dai coobbligati o dai soggetti indicati dall’articolo 58, comma 3, in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo. Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno”.

La pronuncia in commento aderisce all’indirizzo secondo cui l’art. 63 DPR 602/1973 non si limita a disciplinare il comportamento che l’Ufficiale di riscossione deve tenere durante la fase di esecuzione del pignoramento mobiliare, ma regola altresì la successiva ed eventuale fase di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., colmando l’apparente lacuna normativa dell’art. 58 del citato Decreto rispetto alla posizione di terzi che non siano legati al debitore da rapporti familiari (i.e.: di coniugio, parentela o affinità).

Il predetto art. 63 DPR 602/1973 si caratterizza per la propria specialità rispetto all’omologa previsione nell’ambito dell’opposizione di terzo ad esecuzione ordinaria (art. 621 c.p.c.). Infatti, mentre quest’ultima ammette (seppure entro limiti specificamente circoscritti) la prova testimoniale, l’art. 63 D.P.R. 602/1973 la esclude  del tutto, richiedendo in via esclusiva una prova documentale qualificata della proprietà dei cespiti pignorati in capo al terzo opponente- i.e.: atto pubblico o scrittura privata autenticata, aventi data certa anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo, o ancora sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno.

La Corte Costituzionale ha ritenuto più volte tale differenziazione di disciplina non contrastante né con i principi di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Costituzione, né con il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Costituzione (in tal senso Corte Costituzionale 16.05.2008 n. 158, nonché, con riferimento al previgente art. 65 DPR 602/1973, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 16 D.lgs. 46/1999- del tutto analogo a quello dell’attuale art. 63 DPR 602/1973- Corte Costituzionale 09.10.1998 n. 351 e Corte Costituzionale, ord., 02.11.2000 n. 455).

Infatti, la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale, attuata con un procedura improntata a criteri di semplicità e speditezza: tale peculiare esigenza giustifica non solo presunzioni in ordine all’appartenenza dei beni, ma anche particolari limiti probatori a carico del terzo opponente, e non risulta pertanto contrastante con il principio di eguaglianza. Sotto il profilo del diritto di difesa, la disciplina dell’ammissibilità e del regime delle prove è rimessa, seppure nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore, il quale può legittimamente, per determinati rapporti, ammettere solo la prova documentale ed escludere quella testimoniale, ponendo limitazioni che non incidono sul diritto di azione, ma si limitano a disciplinare il regime delle prove quando l’azione sia già stata esercitata o esprimono profili della disciplina sostanziale.

Per tale motivo, la pronuncia in commento ritiene non ammissibile la prova testimoniale articolata da parte attrice opponente, né ritiene idonea a fornire la prova richiesta dagli artt. 58 e 63 DPR 602/1973 la documentazione da essa prodotta (i.e.: denunce di successione, verbali di pubblicazione del testamento olografo, fotografie).

L’opposizione viene così respinta, non avendo i terzi opponenti fornito prova della titolarità in capo a sé dei cespiti pignorati nella casa di abitazione della debitrice esecutata.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

(Unicusano-Roma)