Cass. Civ., sez. V, ord., 06 giugno 2024 n. 15881
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta da:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere – Rel.
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4042/2022 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ENRICO TAZZOLI, 6, presso lo studio dell’avvocato E. G. (omissis) che lo rappresenta e difende; – ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende ex lege; – controricorrente –
avverso SENTENZA di COMM. TRIB. REG. LAZIO n. 3334/2021 depositata il 01/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI.
Svolgimento del processo
- La Commissione Tributaria Regionale Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello del Notaio A.A.; la Commissione Tributaria Provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di liquidazione per una procura a vendere, con imposta proporzionale di registro al 9 %;
- ricorre in cassazione A.A. con quattro motivi di ricorso, integrati da successiva memoria di replica (1- violazione e falsa applicazione degli art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, 3, legge n. 241 del 1990, 54, D.P.R. n. 131 del 1986, 52 e 53 D.P.R. 131 del 1986, 24, Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. e 62, D.Lgs. n. 546 del 1992; 2 – violazione e falsa applicazione degli art. 20, primo comma, 33, d.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, 6 e 11 della tariffa allegata, art. 14, disp. sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e 62, D.Lgs. n. 546 del 1992; 3 – violazione e falsa applicazione degli art. 20, 33, D.P.R. 131 del 1986, 1375 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e 62, D.Lgs. n. 546 del 1992; 4 – nullità della sentenza per violazione degli art. 53e 57, D.Lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 62, D.Lgs. n. 546 del 1992);
- l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso ed ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso del contribuente.
Motivi della decisione
- I primi tre motivi di ricorso risultano infondati.
1.1. Il primo motivo riguarda la motivazione dell’avviso di liquidazione (trascritto e fotoriprodotto in ricorso) che per il ricorrente sarebbe non motivato relativamente alla base imponibile.
I giudici di merito, in doppia conforme, hanno valutato la motivazione dell’avviso di liquidazione, ritenendola sufficiente. Nell’avviso di liquidazione, infatti, per le sentenze di merito, erano contenuti tutti gli elementi per la comprensione della questione, la tassazione della procura redatta dallo stesso Notaio con imposta proporzionale.
Altra considerazione deve ricevere la valutazione della fondatezza della richiesta del fisco, che deve ritenersi distinta dalla motivazione dell’avviso, fatto salvo quanto si dirà, sull’ammontare della tassazione, nella disamina del quarto motivo del ricorso. I due piani non possono essere confusi, come prospettato nel ricorso in cassazione. L’avviso di liquidazione non deve contenere anche le prove della pretesa tributaria: “Nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per relationem, è comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova” (Sez. 5 – , Ordinanza n. 8016 del 25/03/2024, Rv. 670858 – 01).
- Il secondo ed il terzo motivo, che si trattano congiuntamente in considerazione della loro prospettazione unitaria, sono infondati.
Il ricorrente sostiene che l’atto sottoposto a tassazione sia una semplice procura speciale a vendere senza un mandato (secondo motivo); inoltre, con atto successivo di rettifica del 26 luglio 2017 (la procura a vendere irrevocabile è del 6 luglio 2017), da valere ex tunc, B.B. ha specificato che “per mero errore materiale la procura era stata prevista senza obbligo di rendiconto e che, al contrario, è interesse delle parti prevedere l’obbligo di rendiconto” (terzo motivo di ricorso); mancherebbe, in conseguenza, uno dei presupposti per l’applicazione dell’art. 33, D.P.R. 131 del 1986.
Il ricorrente sostiene che la procura non contenga un mandato in quanto l’atto è stato firmato dal (solo) B.B., che ha unilateralmente nominato suo procuratore speciale C.C.
I giudici di merito, con valutazione interpretativa del negozio, come tale insindacabile – per costante giurisprudenza – in sede di legittimità, invece, hanno interpretato la procura ritenendo che la stessa recasse un mandato sottostante.
La procura è il negozio unilaterale mediante il quale si conferisce il potere di rappresentanza; la procura si perfeziona con la manifestazione di volontà del suo autore, senza necessità del consenso del destinatario. Sebbene sia teoricamente possibile che il soggetto si limiti ad attribuire il potere rappresentativo, è normale che la procura si accompagni ad un rapporto di mandato od altro rapporto gestorio in base al quale il rappresentante è obbligato a compiere un’attività di gestione per conto del rappresentato. Tipico contratto di gestione che si accompagna alla procura è, proprio, il mandato.
L’assenza di firma del mandatario (nell’atto di conferimento della procura) non esclude la sussistenza del mandato, come ritiene il ricorrente. Infatti, il mandato a vendere, con rappresentanza, non richiede (diversamente dalla procura) la forma scritta: “Ferma la distinzione tra procura e mandato – risolvendosi, la prima, nel conferimento ad un terzo del potere di compiere un atto giuridico in nome di un altro soggetto e, il secondo, in un contratto in forza del quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell’interesse di un’altra – il mandato con rappresentanza a vendere beni immobili non è soggetto all’onere della forma scritta stabilito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1392 e 1350 n.1) cod. civ. per l’atto di procura, atteso che gli effetti del contratto di compravendita si producono in capo al rappresentato in forza del solo rapporto di rappresentanza, mentre il mandato spiega i suoi effetti nel rapporto tra rappresentante e rappresentato” (Sez. 2, Sentenza n. 12848 del 30/05/2006, Rv. 589655 – 01; vedi anche Sez. 3 – , Sentenza n. 21805 del 28/10/2016, Rv. 642964 – 01 e Sez. 3, Sentenza n. 20051 del 02/09/2013, Rv. 627719 – 01).
La sentenza impugnata evidenzia l’assenza di rendicontazione nell’originario atto di conferimento della procura, per valutare la sussistenza, certa, di un mandato a vendere (“presunzione di trasferimento del bene”).
Si tratta di una evidente valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità.
- Il ricorrente, per superare la valutazione dell’esistenza del mandato, rappresenta che con atto successivo di rettifica del 26 luglio 2017 è stato inserito l’obbligo di rendiconto, connaturale alla procura. Su quest’aspetto correttamente la sentenza ha evidenziato che gli atti di rettifica o di integrazione costituiscono, fiscalmente ex art. 20, D.P.R. 131 del 1986, nuovi atti separatamente tassabili, che non modificano l’originario atto (“In tema d’imposta di registro, l’art. 20del D.P.R. n. 131 del 1986, secondo cui “l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione”, prescrive di tener conto della natura e degli effetti del singolo atto da registrare, sicché le successive rettifiche, ove comportino una diversa destinazione di beni, vengono ad integrare e completare l’atto originario, mentre, sul piano negoziale, costituiscono nuovi atti, separatamente tassabili, in quanto modificativi degli effetti giuridici del primo atto, che conserva piena autonomia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto non soggetta all’imposta di registro la rettifica notarile di una precedente compravendita, in cui erano stati indicati “per mero errore di scritturazione” due acquirenti in luogo di uno)” (Sez. 5, Sentenza n. 16019 del 29/07/2015, Rv. 636100 – 01; vedi anche Sez. 5 – , Ordinanza n. 15131 del 31/05/2021, Rv. 661527 – 01).
Conseguentemente, in applicazione della norma di cui all’art. 33, primo comma, D.P.R. 131 del 1986 il mandato irrevocabile con dispensa dall’obbligo di rendiconto è soggetto all’imposta stabilita per l’atto per il quale è stato conferito.
La successiva rettifica non può comportare la riconsiderazione del trattamento fiscale, non trattandosi (come logicamente motivato dalle sentenze di merito) di un errore materiale ma di una disposizione diversa.
- Risulta, invece, fondato il quarto motivo del ricorso (violazione degli art. 53e 57, D.Lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 62, D.Lgs. n. 546 del 1992). La sentenza impugnata, con motivazione apodittica, ha ritenuto una domanda ‘nuova’ quella contenuta nella memoria illustrativa “e relativa alla determinazione della base imponibile (…) proposta per la prima volta in questo grado di giudizio”.
Invece il ricorrente, sin dal ricorso introduttivo (atto trascritto) aveva prospettato un motivo di impugnazione dell’avviso di liquidazione relativo alla omessa indicazione dei criteri di determinazione della base impositiva, anche in relazione all’oggetto della procura (tre distinti locali). In appello, con il secondo motivo di gravame, il contribuente riproponeva il motivo attinente alla carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione e alla determinazione della base imponibile. Si tratta di doglianze evidentemente comprensive, perché direttamente incidenti sulla base imponibile, anche dello stato di comproprietà al 50 % dei beni da alienare.
Conseguentemente, la domanda non poteva essere considerata nuova e come tale inammissibile.
Si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (“Nel giudizio tributario è configurabile una domanda nuova, inammissibile in appello, quando il contribuente introduce una diversa causa petendi, deducendo un differente tema di indagine e di decisione idoneo ad alterare l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, mentre il contribuente – che, nel primo grado, abbia comunque contestato in toto l’an debeatur – è legittimato a sollevare col gravame una diversa prospettazione giuridica del medesimo petitum sulla non debenza del tributo” (Sez. 5 – , Sentenza n. 2058 del 19/01/2024, Rv. 670206 – 01; vedi anche Sez. U., Sentenza n. 15408 del 15/10/2003, Rv. 567461 – 01).
Nel caso in giudizio – come detto – il ricorrente sin dal ricorso introduttivo aveva contestato la determinazione della base impositiva ed il calcolo delle imposte.
Conseguentemente, su quest’aspetto la sentenza deve cassarsi con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo giudizio; cui si demanda anche la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Il ricorso deve rigettarsi nel resto.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso, respinti gli altri;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2024.
COMMENTO REDAZIONALE – Viene ribadito il principio secondo cui si ha domanda nuova per modificazione della causa petendi, come tale inammissibile in appello ai sensi dell’art. 57 D.lg. 546/1992, quando il diverso titolo giuridico della pretesa, che viene dedotto innanzi al giudice di secondo grado, sia impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio.
Il contribuente, che nel primo grado di giudizio abbia comunque contestato integralmente l’an debeatur, è invece legittimato a sollevare con il gravame una diversa prospettazione giuridica del medesimo petitum sulla non debenza del tributo.
In applicazione di tali principi, recentemente ribaditi anche da Cass. civ., sez. V, 19 gennaio 2024 n. 2058 (richiamata in motivazione), viene accolto il motivo di ricorso per Cassazione del contribuente volto a contestare la sentenza di secondo grado, nella parte in cui, con motivazione apodittica, aveva ritenuto una domanda “nuova”, come tale inammissibile, quella contenuta nella memoria illustrativa “e relativa alla determinazione della base imponibile (…) proposta per la prima volta in questo grado di giudizio“.
In realtà, il ricorrente sin dal ricorso introduttivo aveva contestato il calcolo delle imposte e la determinazione della base impositiva, anche in relazione all’oggetto della procura a vendere (i.e.: tre distinti locali).
In appello aveva riproposto il motivo attinente alla carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione e alla determinazione della base imponibile, senza che ciò potesse prospettare una domanda nuova, inammissibile in appello ex art. 57 D.lgs. 546/1992.
La sentenza di secondo grado impugnata viene quindi annullata con rinvio al giudice di merito per un nuovo accertamento di fatto.