Cass. civ., sez. V, ord., 29 novembre 2023 n. 33292


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. CRIVELLI Alberto – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1220/2022 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;                                                                                                                             – ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. C. R, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo Pec: ……………..                                     controricorrente –

avverso la sentenza n. 5165/5/2021 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, seziona staccata di Catania, depositata il 27 maggio 2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26 settembre 2023 dal Consigliere Dott. ESPOSITO Antonio Francesco.

Svolgimento del processo

Che:

A.A. proponeva dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, seziona staccata di Catania, ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 4147/5/2016, passata in giudicato, con la quale la medesima commissione tributaria aveva riconosciuto in favore del contribuente, residente in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, il rimborso della quota pari al 90% dell’IRPEF versata negli anni 1990, 1991 e 1992, ai sensi della L. n. 289 del 2002art. 9, comma 17.

Il giudice dell’ottemperanza, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso e nominava un commissario ad acta.

Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso il contribuente.

In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Che:

  1. Con unico mezzo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, la violazione e falsa applicazione della L. n. 190 del 2014art. 1, comma 665, come modificato dal D.L. n. 91 del 2017art. 16-octies, convertito dalla L. n. 123 del 2017, e successivamente dal D.L. n. 162 del 2019art. 29, convertito dalla L. n. 8 del 2020, del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 26 settembre 2017, nonchè dell’art. 111Cost., per non avere la CTR considerato in sede di ottemperanza i limiti quantitativi al rimborso imposti dalla normativa in materia.
  2. Va preliminarmente rilevato che il controricorrente, con la memoria depositata, ha rappresentato e documentato che l’Agenzia delle entrate ha dato completa esecuzione nelle more del giudizio alla sentenza oggetto di ottemperanza corrispondendo al contribuente la complessiva somma riconosciuta in sentenza. Ha chiesto, quindi, il rigetto del ricorso, essendo sufficiente correggere la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384c.p.c., comma 4.
  3. Secondo questa Corte “Il versamento in favore del contribuente, ad opera dell’Amministrazione finanziaria, di quanto ordinato dal giudice tributario in sede di giudizio di ottemperanza non integra i caratteri della pura e semplice acquiescenza tacita alla sentenza, come tale preclusiva del diritto di impugnazione, rappresentando esso un adempimento non spontaneo, posto in essere in osservanza di un ordine di giustizia ed ispirato, potenzialmente, anche ad altre finalità, tra le quali quella di evitare ulteriori spese giudiziali e la esecuzione forzata” (Cass. n. 18526 del 2005).

Esclusa quindi la rilevanza processuale del pagamento in questione in termini di inammissibilità del ricorso per acquiescenza, la sua rilevanza sul piano sostanziale deve essere vagliata nel contesto del merito della questione controversa. Infatti, il pagamento integrale dell’importo oggetto della sentenza da ottemperare deve presumersi conseguente ad una legittima azione amministrativa, che abbia assicurato il reperimento dei fondi necessari, ricorrendo allo stanziamento in senso proprio, o al conto sospeso o comunque ad altro strumento contabile.

Non è quindi necessario, in accoglimento del ricorso, cassare la sentenza impugnata e rinviare al giudice a quo affinchè adotti, specificando le modalità di attuazione, i provvedimenti indispensabili all’ottemperanza in luogo dell’Ufficio, il quale ha comunque già provveduto.

  1. Il ricorso va allora rigettato, essendo necessario e sufficiente correggere la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384c.p.c., comma 4, (cfr. Cass. n. 11871 del 2023).

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.875,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2023


COMMENTO REDAZIONALE- Il versamento, eseguito dall’Amministrazione finanziaria in favore del contribuente, di quanto ordinato dal giudice tributario in sede di giudizio di ottemperanza non integra i caratteri della pura e semplice acquiescenza tacita alla sentenza.

Pertanto, esso non preclude il diritto di impugnazione della sentenza, rappresentando un adempimento non spontaneo, bensì posto in essere in osservanza di un ordine di giustizia ed ispirato, potenzialmente, anche ad altre finalità, tra le quali quella di evitare ulteriori spese giudiziali e l’esecuzione forzata.

La pronuncia in commento conferma quindi la generale tendenza della giurisprudenza di legittimità ad interpretare in senso restrittivo le fattispecie di acquiescenza tacita ad una sentenza, preclusiva del diritto di impugnazione. La stessa può infatti ravvisarsi solo qualora il comportamento della parte totalmente o parzialmente soccombente dimostri in modo inequivocabile la volontà di accettare gli effetti della sentenza, rinunciando a contrastarla mediante l’impugnazione.

Al contrario, qualora tale comportamento possa giustificarsi anche in base ad ulteriori finalità (quali quella di evitare l’esecuzione forzata in proprio danno, con il conseguente aggravio di spese processuali), esso non dà luogo ad acquiescenza tacita rilevante ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (richiamato, nel rito tributario, dall’art. 49 D.lgs. 546/1992).

Conseguentemente, l’impugnazione proposta da tale parte deve ritenersi pienamente ammissibile.