Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana, sez. II, 23 gennaio 2024 n. 113


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla competente commissione tributaria provinciale la contribuente S. D. S.r.l. impugnava la cartella di pagamento n. 0X 2019 XX 000 relativa ad imposta IVA e IRAP per gli anni 2016-2017, notificata a mezzo p.e.c. in data 25.11.2019, per un importo complessivo (comprensivo di interessi e sanzioni) di E. 152.900,71, adducendo a sostegno del ricorso sei motivi.

Costituito il contraddittorio, la commissione tributaria di prime cure respingeva il ricorso con condanna alle spese processuali della contribuente.

La società S. D. srl propone appello avverso la decisione, reiterando le proprie doglianze.

Si costituisce l’Ufficio appellato che contesta tutto quanto ex adverso affermato, allegato e dedotto, con richiesta di conferma della sentenza impugnata ed istanza di condanna della controparte per lite temeraria.

La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado per la Toscana, all’esito della camera di consiglio delibera come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato.

Quanto alla prima censura proposta, in ordine alla omessa sottoscrizione della cartella di pagamento inviata via PEC, correttamente il giudice di prime cure ha ravvisato che la cartella di pagamento notificata a mezzo PEC non deve essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso.

Ciò in quanto la cartella di pagamento non deve essere necessariamente sottoscritta da parte del funzionario competente, posto che l’esistenza dell’atto non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che l’atto sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice.

La commissione tributaria provinciale ha fatto buon governo di un insegnamento consolidato della Suprema Corte che in questa sede s’intende condividere e confermare.

Ancora più recentemente, infatti, con sentenza Cass. n. 28852/2023, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che: «la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)», ossia, appunto, un file in formato PDF (portable document format), con l’ulteriore precisazione, che «nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale».

Il motivo di appello va pertanto respinto in quanto privo di fondamento giuridico.

Con il secondo motivo d’appello la contribuente si duole dell’asserita inesistenza della notifica della cartella di pagamento, in quanto la cartella sarebbe stata notificata a mezzo PEC con relata di notifica in bianco. Anche in tal caso si ritiene corretta la decisione impugnata, che ha evidenziato come “L’art. 26, secondo comma, d.p.r. n. 602/73 stabilisce che la notifica della cartella può essere eseguita a mezzo PEC all’indirizzo del destinatario “risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata UNI-PEC”, disponendo che, in tal caso, si applicano le disposizioni dell’art. 60 del d.p.r. n. 600/73. Le norme appena richiamate non contemplano la compilazione di una relata di notifica da parte dell’esecutore. Tanto si giustifica in ragione della specificità di questa modalità di notifica che non richiede la presenza di un ufficiale notificatore”.

Il principio di diritto enunciato ed applicato dai giudici di prime cure appare ineccepibile e, in ogni caso, va ricordato l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicché il rinvio operato dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., conseguito chiaramente nel caso di specie.

Anche il secondo motivo d’appello è pertanto destituito di fondamento.

Col terzo motivo d’impugnazione la contribuente denuncia l’inesistenza della notifica dell’atto impugnato per carenza di sottoscrizione della relata di notifica.

È evidente che l’infondatezza di tale censura si evince da quanto già motivato precedentemente anche alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte. Comunque, è noto che per la notificazione a mezzo PEC la prova di avvenuta notifica è data con il deposito delle ricevute di accettazione e consegna (file .eml), quest’ultima contenente l’atto allegato in formato digitale nativo. Dette ricevute equivalgono in tutto e per tutto all’avviso di ricevimento della raccomandata cartacea e del resto il valore legale della PEC poggia proprio sul valore di prova certa di ricezione del messaggio costituita da tali ricevute elettroniche. D’altro canto, le forme digitali, nella loro violazione, non integrano una causa di “inesistenza” della notifica, figura che, soltanto, non ammette la sanatoria per il principio del raggiungimento dello scopo (vd. Cass. SU n. 7665 del 18/04/2016Cass. n. 20625 del 31/08/2017Cass. SU n. 23620 del 28/09/2018Cass. n. 6417 del 05/03/2019), conseguito chiaramente nel caso di specie.

Anche il terzo motivo d’appello è pertanto infondato.

Il quarto motivo d’appello, in ordine all’omessa motivazione della cartella di pagamento è anch’esso destituito di fondamento.

Ed invero anche in questo caso la sentenza di prime cure fa buon governo del cristallizzato insegnamento giurisprudenziale secondo cui la cartella emessa a fronte di autoliquidazione effettuata in base alle dichiarazioni fiscali rese dal contribuente assolve l’obbligo di motivazione della cartella mediante il richiamo a tali dichiarazioni.

Correttamente, quindi, la sentenza di primo grado afferma che “poiché nel caso di specie la cartella di pagamento si è semplicemente basata sulle dichiarazioni della società contribuente, limitandosi a liquidare l’imposta sui dati forniti dalla stessa società, senza avanzare pretese ulteriori, l’obbligo di motivazione della cartella ben poteva essere assolto mediante il mero richiamo alle dichiarazioni”.

Trattasi della corretta applicazione del pronunciato della Suprema Corte a SS.UU. secondo cui la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per quanto, di conseguenza, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (Cass. SS. UU. Sentenza n. 22281 del 14/07/2022 -Rv. 665273 – 01).

In particolare, poi la Suprema Corte ha ulteriormente specificato che in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento ex art. 36-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 è congruamente motivata, anche quanto al calcolo degli interessi, mediante il richiamo alla dichiarazione dalla quale deriva il debito di imposta ed al conseguente periodo di competenza, essendo il criterio di liquidazione degli stessi predeterminato “ex lege” (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 8508 del 27/03/2019 (Rv. 653345 – 01).

Alla luce dell’infondatezza anche dell’ultimo motivo d’appello l’impugnazione va rigettata integralmente.

La statuizione sulle spese di lite segue la regola della soccombenza e la relativa determinazione è enunciata in dispositivo.

Non appare fondata la richiesta dell’Ufficio di condannare l’appellante per lite temeraria alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità ex art. 96, comma 3, c.p.c., presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli infondata, dovendosi attribuire a tale figura carattere eccezionale e/o residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi dell’art. 24 Cost. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19948 del 12/07/2023 (Rv. 668146)). Nel caso in esame l’infondatezza delle doglianze dell’appellante attiene comunque al formarsi progressivo nel tempo di una giurisprudenza che, soprattutto nelle sedi di merito, ha conosciuto ampio dibattito e soluzioni contrastate (si veda ad esempio la copiosa giurisprudenza richiamata dall’appellante in relazione al tema dell’inesistenza della notifica della cartella di pagamento), per cui nel caso in esame non appare configurarsi un atteggiamento di malafede dell’appellante né un abuso del diritto.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado per la Toscana:
 Rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali che liquida in E. 1.000,00 oltre accessori, se dovuti, come per legge.


COMMENTO REDAZIONALE– In assenza di previsioni normative di segno diverso, la cartella di pagamento notificata a mezzo PEC non necessita di firma digitale da parte del funzionario competente.

A norma dell’art. 25 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, la cartella di pagamento, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con Decreto ministeriale, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice.

Il principio sopra affermato trova ulteriore conferma nella circostanza che l’esistenza dell’atto non dipenda tanto dall’apposizione di un sigillo, di un timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che l’atto stesso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo.

In senso conforme Cass. civ., sez. V, ord., 27 novembre 2019 n. 30948, secondo cui la notifica a mezzo posta elettronica certificata di una cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento che sia duplicato informatico dell’atto originario “nativo digitale”, sia mediante una copia informatica per immagine, anche non sottoscritta con firma digitale, del documento formato in originale cartaceo.

Pertanto, in caso di notificazione di una cartella di pagamento a mezzo PEC, la prova di avvenuta notifica è data con il deposito delle ricevute di accettazione e consegna (file .eml), quest’ultima contenente l’atto allegato in formato digitale nativo.