Cass. civ., Sez. VI-5, Ord. 9 marzo 2021, n. 6509


Svolgimento del processo

CHE:

Il contribuente D.A. ha impugnato una intimazione di pagamento per IRPEF, IRAP e IVA relativa al periodo di imposta dell’anno 2007, deducendo omessa notifica dell’atto presupposto, costituito da un avviso di accertamento, in quanto atto notificato in data 20 ottobre 2012 in luogo dove il contribuente non risiedeva più da tempo, nonchè decadenza dell’amministrazione dal potere di accertamento in relazione all’atto presupposto.

La CTP di Salerno ha accolto il ricorso in relazione alla preliminare eccezione di nullità della notificazione dell’atto presupposto e la CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, con sentenza in data 4 febbraio 2019, ha accolto l’appello dell’Ufficio.

Ha osservato il giudice di appello che la notificazione dell’atto impositivo, avvenuta a termini dell’art.140 c.p.c., è stata eseguita presso il domicilio fiscale eletto dal contribuente e che deve, in ogni caso, ritenersi valida la notificazione dell’atto impositivo eseguita al precedente indirizzo prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla variazione anagrafica non resa nota all’Ufficio. Ha ritenuto, inoltre, il giudice di appello che il luogo in cui è stata eseguita la notificazione, oltre a costituire domicilio fiscale del contribuente, presenta elementi di collegamento con il contribuente stesso, stante il fatto che è stato possibile lasciare l’avviso nella cassetta postale.

Propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a due motivi; resistono con controricorso l’Ente impositore e il Concessionario della Riscossione.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. 

Motivi della decisione

CHE:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che in caso di residenza anagrafica differente da quella indicata nella dichiarazione dei redditi (domicilio fiscale) è valida la notificazione perfezionatasi in tale ultimo luogo. Deduce il ricorrente di avere mutato la propria residenza anagrafica, ancorché nell’ambito dello stesso comune, la cui variazione spiegherebbe efficacia immediata nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, senza alcun onere di comunicazione all’Ufficio.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso la pronuncia in ordine al termine di decadenza dell’atto impositivo a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25.

2 – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della censura, non formalmente articolata ma di cui vi è traccia nel ricorso, relativa al mancato perfezionamento del procedimento di notifica ex art. 140 c.p.c. Il ricorrente non formula, difatti, alcun motivo specifico (privo di numerazione), né indica il parametro normativo censurato, né (in ogni caso) offre elementi per ritenere che la questione sia stata trattata in primo e in secondo grado, trascrivendo i relativi atti del procedimento di merito.

3 – Il primo motivo è infondato.

La sentenza ha accertato che la notifica dell’atto impositivo presupposto è stata “effettuata al domicilio fiscale indicato dallo stesso contribuente”. Nel qual caso trova applicazione il principio, del tutto consolidato, secondo cui in caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto (Cass., Sez. V, 14 dicembre 2016, n. 25680).

L’orientamento, del tutto consolidato (Cass., Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 9567; Cass., Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 4675; Cass., Sez. VI, 10 ottobre 2019, n. 25450; Cass., Sez. VI 26 giugno 2019, n. 17198; Cass., Sez. VI, 21 luglio 2015, n. 15258), riposa sul principio secondo cui all’onere del contribuente di indicare all’ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto ufficio costantemente informato delle eventuali variazioni (come, in caso di fallimento, prevede la L. Fall., art. 49), legittima l’Ufficio, in caso di mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere ad eseguire le notifiche comunque nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, lett. e), non potendosi addossare all’Amministrazione l’onere di ricercare il contribuente fuori dall’ultimo domicilio noto (Cass., Sez. V, 11 maggio 2018, n. 11504). Parallelamente, al dovere del contribuente di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art.58, di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto (Cass., Sez. V, 29 novembre 2013, n. 26715), sicchè è stata (contrariamente a quanto ritenuto dal contribuente) ritenuta invalida la notificazione dell’avviso effettuata presso la residenza anagrafica invece che presso il diverso indirizzo indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, proprio a causa del significato che l’indicazione del domicilio assume in termini di elezione di domicilio ai sensi del combinato disposto del D.P.R. cit., artt. 58 e 60 (Cass., Sez. V, 11 novembre 2015, n. 23024).

La sentenza impugnata, ove ha ritenuto valida la notificazione avvenuta presso il domicilio fiscale indicato dal contribuente ancorché difforme dalla residenza anagrafica, ha fatto buon governo di tali principi.

4 – Il secondo motivo è inammissibile sotto il profilo censurato, come dedotto da parte controricorrente.

4.1 – A seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).

4.2 – Nè può procedersi alla conversione del suddetto motivo in motivo di nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per omessa pronuncia, posto che il ricorrente, vittorioso in prime cure, non ha provato di avere riproposto tali questioni in grado di appello a termini del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 (Cass., Sez. V, 6 giugno 2018, n. 14534; Cass., Sez. VI, 18 maggio 2018, n. 12191), essendo rimasta assorbita la questione in primo grado come risulta dalla trascrizione della medesima sentenza (“si rende superfluo l’esame di ogni ulteriore eccezione”), onere di riproposizione che va indicato specificamente in relazione agli specifici motivi del ricorso di primo grado (Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 30444).

4.3 – Al riguardo il ricorrente, che pure ha dichiarato di avere riproposto le questioni in appello rimaste assorbite, non ha trascritto, nè allegato gli atti processuali in cui tali questioni sarebbero state riproposte, così venendo meno all’onere di specificità richiesto alla parte, che non ha – in tal modo – messo questa Corte in condizione di verificare, sulla base del ricorso, l’effettiva riproposizione delle questioni.

5 – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021


COMMENTO: In caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del Comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto.