Tribunale di Treviso, sez. I, 05 maggio 2025 n. 656


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TREVISO

I^ SEZIONE CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott.ssa Daniela Ronzani, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile d’appello iscritta al n. 1099/2024 di ruolo generale dell’anno 2024 del Tribunale di Treviso e promossa

DA

S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti F.F. e F. F., ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi a Torino come da procura rilasciata in primo grado e da considerarsi in calce all’atto di citazione in appello;                        – ATTORE/APPELLANTE –

CONTRO

S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. C.G. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Saluzzo, come da procura rilasciata in primo grado e da considerarsi in calce all’atto di citazione in appello;- CONVENUTO/APPELLATO-

COMUNE DI SAN BIAGIO DI CALLALTA, in persona del sindaco pro tempore V.P., rappresentato e difeso dall’Avv. P. m. e domiciliato  presso il suo studio in Treviso come da mandato allegato;                                                                           -CONVENUTO/APPELLATO

nonché APPELLANTE INCIDENTALE condizionato-

OGGETTO: appello sentenza del Giudice di Pace di Treviso. Conclusioni per l’attrice appellante:

In via principale: – dichiarare la nullità e/o illegittimità dell’atto opposto, con riferimento agli impianti pubblicitari indicati in narrativa;

– annullare l’atto opposto, con riferimento agli impianti pubblicitari indicati in narrativa;

In subordine: nella denegata e non creduta ipotesi in cui si ritenga ammissibile ai sensi della L. n. 160 del 2019 l’assoggettamento degli impianti de quibus al Canone Unico sia da parte del Comune sia da parte della V.S. S.p.A. rimettersi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi dal 816 al 828 L. n. 160 del 2019 in relazione all’articolo 53 della Costituzione.

Per l’effetto:

– dichiarare la nullità e/o illegittimità dell’atto opposto, con riferimento agli impianti pubblicitari indicati in narrativa;

– annullare l’atto opposto, con riferimento agli impianti pubblicitari indicati in narrativa;

In via ulteriormente subordinata: nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento della domanda attorea, contenere la sanzione nel minimo edittale;

In ogni caso: con vittoria di spese, onorari e rimborso forfettario ex art. 15 t.f.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

ex art.132 c.p.c. così come modificato dalla L. n. 69 del 18 giugno 2009

Con atto di citazione datato 27.02.2024, A. S.r.l. proponeva appello avverso la sentenza n.1027/2023 pronunciata dal Giudice di Pace di Treviso in data 26.08.2023 e pubblicata il successivo 31.08.2023, che rigettava l’opposizione avverso l’avviso di accertamento n. (omissis) emesso a suo carico dalla S. S.r.l. (doc. 1 parte attrice del fascicolo di primo grado), in qualità di concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, per conto del Comune di San Biagio di Callalta.

Con l’avviso impugnato, S. S.r.l. chiedeva il pagamento del predetto canone relativo all’anno 2022, quantificato nella somma di Euro 2.126,50 e relativo ad una serie di impianti pubblicitari presenti lungo una strada regionale fuori dal centro abitato (SR 53 “Postumia”).

Ritenendo che il canone fosse dovuto a V.S. S.p.A., ex art. 1, c. 835 L. n. 160 del 2019, in quanto ente che aveva autorizzato l’installazione dei predetti impianti pubblicitari (doc. 2 parte attrice fascicolo di primo grado), A. impugnava l’avviso di pagamento innanzi al Giudice di Pace di Treviso per essere i cartelli pubblicitari posti su strada non comunale, fuori dal centro abitato, dunque ai sensi del comma 818 non di pertinenza del Comune.

Con sentenza datata 26.08.2023, il Giudice di Pace respingeva la domanda di parte ricorrente.

Avverso tale decisione proponeva impugnazione A. S.r.l. adducendo i seguenti motivi di appello:

  1. Violazione art. 12 disposizioni sulla legge in generale.

Sosteneva la deducente come, sulla base di quanto previsto dalla L. n. 160 del 2019, il Comune non fosse legittimato a chiedere il pagamento per impianti-mezzi pubblicitari posti su strada non comunale, fuori dal centro abitato.

  1. Violazione art. 1, comma 816 e 818 della L. n. 160 del 2019

L’appellante rilevava altresì, in virtù del principio di riserva di legge ex art. 23 Cost., come una determinata entrata possa spettare all’Ente solo qualora vi sia una legge che riconosca all’ente medesimo la titolarità a quella determinata prestazione patrimoniale, osservando come non si potesse ricorrere a circolari, neppure a pareri di parti quali Anci, Api o altre associazioni delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, precisava come nel caso de quo mancasse una legge che riconoscesse all’ente impositore la titolarità di una patrimoniale.

  1. Violazione art. 1, comma 817, della L. n. 160 del 2019 e dell’art. 23 della Costituzione

La deducente sosteneva poi come il Giudice di prime cure avesse errato nell’interpretare il principio di parità di gettito espresso dal predetto articolo; dallo stesso, infatti, non era possibile desumere, pena la violazione dell’art. 23 della Costituzione, che la titolarità del canone spettasse sempre al Comune.

Il Giudice di Pace, pertanto, avrebbe dovuto limitarsi a esaminare l’art. 1, comma 816 e 818, e dunque a concludere per la carente titolarità del Comune a ricevere il pagamento del CUP su strada non comunale fuori dal centro abitato.

  1. Violazione dell’art. 1, comma 835, della L. n. 160 del 2019

Infine, osservava come la natura di corrispettivo imponeva che il canone (ossia il diritto a percepirne il pagamento) avesse una connessione con il soggetto titolato a riceverne il versamento.

Infatti, l’ente chiamato a beneficare della somma di denaro doveva essere il soggetto che rilascia la concessione per l’occupazione del suolo pubblico o l’ente che rilascia l’autorizzazione, ex art. 23 del Cds, alla diffusione dei mezzi pubblicitari. Su strada statale, fuori dal centro abitato, il Comune non era né il soggetto che autorizza l’installazione dell’impianto (dunque non rilascia la concessione), né il soggetto che autorizza la diffusione del messaggio pubblicitario ex art. 23 Codice della strada, quindi non poteva pretendere ex art. 1, comma 835, L. n. 160 del 2019, l’entrata.

Si costituiva in causa S. S.r.l. chiedendo che venisse respinto l’appello proposto e che conseguentemente venisse confermata la sentenza n. 1027/2023 pronunciata dal Giudice di Pace.

Riteneva, infatti, la convenuta come la sentenza di primo grado avesse correttamente statuito in ordine all’applicazione della L. n. 160 del 2019 art. 1 co. 816 e ss., rilevando la correttezza dell’avviso di accertamento impugnato.

Evidenziava, altresì, come l’entrata in vigore della normativa (L. n. 160 del 2019) non avesse previsto uno spostamento di titolarità delle entrate pubbliche e pertanto con il nuovo canone il Legislatore non avesse di fatto modificato i presupposti impositivi chiarendo che lo stesso aveva sostituito: “la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province.”

Si costituiva in giudizio, altresì, il Comune di San Biagio di Callalta chiedendo che venisse rigettato l’appello di A. S.r.l. e quale appello incidentale condizionato, chiedeva che venisse riformata la parte della sentenza di primo grado in cui veniva rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal Comune.

All’udienza del 21.03.2025, la causa veniva trattenuta in decisione con modalità cartolari sulle conclusioni ut supra rassegnate dalle parti.

Diritto

L’appello principale è fondato e va quindi accolto per le ragioni di cui appresso.

La questione concerne la titolarità in capo al Comune di San Biagio di Callalta del Canone Unico Patrimoniale (CUP) con riferimento agli impianti pubblicitari posti su strade extraurbane di competenza della Regione Veneto; la giurisprudenza si è espressa sul punto (cfr. tra tutte Tribunale di Padova sentenza n. 2074/2023 del 25.10.2023 e Tribunale di Treviso sentenza n. 426/2025 del 24.03.2025), giungendo alla conclusione di ritenere che il pagamento da parte del Comune del CUP non possa essere richiesto alla luce della interpretazione della normativa istitutiva del citato Canone Unico, di cui all’art. 1, comma da 816 a 847 della L. n. 160 del 2019, in ossequio a quanto impone l’art. 12 disp. gen. sulla legge.

Va rilevato che il canone per cui la concessionaria ha emesso l’avviso di accertamento opposto, si riferisce agli impianti installati sulla SR 53 “Postumia”. È circostanza pacifica, in quanto non contestata tra le parti, che trattasi di strada extraurbana di appartenenza alla Regione Veneto come risulta anche dalla documentazione prodotta in primo grado dall’odierna appellante (cfr. doc. 2 di parte attrice fascicolo di primo grado).

La disciplina in materia, in origine regolata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, è stata organicamente ridisegnata dalla L. 27 dicembre 2019, n. 160.

L’art. 1, co. 816, prevede un “canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria” (CUP) istituito dagli “enti”, (comuni, dalle province e dalle città metropolitane) che sostituisce, unificandole, la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari ed il canone di cui all’art. 27, comma 7 e 8 del Codice della Strada, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province (comma 816); il canone è istituito “dai comuni, dalle provincie e dalle città metropolitane, di seguito denominate, enti”, secondo una tariffa standard annua, sulla base di quanto stabilito dall’Ente proprietario in relazione al periodo di occupazione o diffusione di messaggi pubblicitari.

Il successivo comma 818 precisa che nelle aree comunali vanno ricompresi i tratti di strada situati all’interno di centri abitati (di comuni) con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’art. 2, comma 7, del Codice della Strada: di conseguenza, i tratti di strada che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a 10.000 abitanti non possono considerarsi facenti parte del territorio comunale.

Dalla lettura del combinato disposto delle due norme, si deve necessariamente concludere che solo nel caso in cui si controverta sulla proprietà di strade situate all’interno dei centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, ex art. 2 co. 7 del CdS, si avrà la legittimazione alla pretesa del canone da parte del Comune trattandosi di aree di proprietà comunale.

I creditori del canone, infatti, sono gli Enti proprietari della strada, per cui il Comune non può esigere il canone pubblicitario quando l’area occupata appartenga a soggetto terzo, come nel caso di specie, dato che gli impianti oggetto della presente controversia sono stati installati sulla SP 53 (Postumia) di proprietà della Regione Veneto.

Il comma 819, lett. b, del resto, non indica i Comuni come unici destinatari del CUP, quando si tratti de “la diffusione di messaggi pubblicitari.”

Srl ed il Comune di San Biagio di Callalta non possono pertanto pretendere la riscossione del Canone Unico Patrimoniale, trattandosi di strada appartenente alla Regione Veneto.

L’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale impone, infatti, che, nell’applicare la legge non si possa ad essa attribuire “altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Secondo S. Srl il canone avrebbe una natura “bicefala” in quanto costituito da due diverse componenti: quella relativa all’occupazione di suolo da un lato e quella relativa alla diffusione di messaggi pubblicitari dall’altro: nel caso de quo, le due componenti sarebbero entrambe dovute e il proprietario del cartello sarebbe tenuto a pagare la quota di canone “ramo suolo” alla regione, proprietaria della strada, sul presupposto dell’occupazione di quest’ultima, ma anche il canone “ramo pubblicità” al Comune cui quel centro abitato appartiene, sul presupposto dell’esposizione di un messaggio pubblicitario all’interno del territorio comunale.

Tale interpretazione, che deriva dalla precedente impostazione del sistema, tuttavia, si pone in aperto contrasto con la lettera e la ratio della legge.

Dalla sistematica lettura dell’art. 1 L. n. 160 del 2019, emerge, infatti, con tutta evidenza come il CUP sia una nuova e diversa forma di concessione ed occupazione del suolo pubblico, anche a scopo pubblicitario (lettera b del comma 819). Il canone previsto è unico e i due presupposti sub lett. a) e lett. b) di cui al comma n. 819 sono sempre alternativi, riferendosi a due fattispecie differenti.

In questo senso, si è espresso anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze che, nel corso di “Telefisco 2024”, ha affermato che: “Non si condivide l’interpretazione avanzata, proprio sulla base della semplice lettura della disposizione recata dall’articolo 1, comma 819, della L. n. 160 del 2019, la quale stabilisce espressamente alla lettera a) che il presupposto del canone unico patrimoniale (Cup) è “l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico”. Il presupposto, ovviamente, necessita di una correlazione con la richiesta di autorizzazione o di concessione a carico del soggetto passivo, ai sensi del successivo comma 823, fermo restando che, in mancanza di tale richiesta, gli enti locali sono legittimati a colpire i responsabili dell’occupazione o della diffusione di messaggi pubblicitari effettuate abusivamente. Pertanto, occorre avere riguardo, per individuare il soggetto attivo del Cup, all’ente proprietario dell’area interessata dall’occupazione. La previsione del comma 818 dell’articolo 1 della L. n. 160 del 2019, dopo le modifiche introdotte dal comma 838 dell’articolo 1 della L. n. 197 del 2022, chiarisce definitivamente il dubbio interpretativo relativo al soggetto competente ad applicare il Cup per i tratti di strada che attraversano centri abitati con popolazione superiore a 10mila abitanti che sono considerati comunali, anche nel caso in cui l’ente proprietario è la Provincia. La norma, in definitiva, costituisce un allineamento con quanto già previsto dal successivo comma 837, per il canone di concessione per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate. La lettura sistematica delle norme, quindi, comporta che il Cup è applicato dall’ente titolare dell’area pubblica, con la sola eccezione dei tratti di strada che attraversano i centri abitati con popolazione superiore ai 10mila abitanti.”

Il combinato disposto dell’art. 1, co. 816 e co. 818, consente pertanto ai comuni di istituire il CUP solo riguardo a impianti pubblicitari su strade comunali o considerate tali (ossia non comunali ma poste all’interno del centro abitato, con popolazione superiore a 10.000 abitanti), senza possibilità di deroga, stante la riserva di legge portata dall’art. 23 Costituzione, secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Nel caso di specie trattasi di strada fuori dal centro abitato, pertanto il Comune non ha, ai sensi dei commi 816 e 818 alcuna competenza.

Né può legittimare una diversa interpretazione “bifasica” del canone, come vorrebbe sostenere S. Srl. Il comma 817, infatti, tenendo in considerazione la diversità del nuovo canone, prevede a favore degli enti la mera facoltà “di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe”: non è, quindi, la legge istitutiva a garantire la parità di gettito, ma è la successiva regolamentazione da parte degli Enti coinvolti che deve provvedervi, disciplinando non solo il gettito relativo all’esposizione pubblicitaria ma l’insieme delle entrate di occupazione.

Nessuna doppia imposizione potrà pertanto essere prevista nel caso di strade regionali, come nel caso de quo, non potendo il Comune riscuotere alcuna imposta per la pubblicità.

Tali rilievi risultano dirimenti ed assorbono tutte le altre argomentazioni svolte dall’appellante.

La domanda di parte appellante va, pertanto, accolta e l’avviso di accertamento impugnato, dichiarato illegittimo, va annullato.

Relativamente all’appello incidentale condizionato proposto dal Comune di San consolidato orientamento di questa Corte, qualora il Comune, in applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, che regola la potestà regolamentare generale, affidi (ritenendo ciò “più conveniente sotto il profilo economico o funzionale”) il servizio non solo di riscossione delle imposte locali ma anche di accertamento, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nella norma suddetta, quest’ultimo potere spetta al soggetto concessionario e non al Comune ed all’attribuzione di tali poteri consegue, quale ineludibile conseguenza, non solo la legittimazione sostanziale, ma anche la legittimazione processuale per le controversie che involgano tali materie (Cass. n. 1937 del 18.01.2024)”.

Pertanto, la legittimazione processuale del concessionario per la gestione dell’opposizione all’avviso di accertamento esclude la legittimazione passiva del titolare del credito, nel caso de quo, del Comune di San Biagio di Callalta.

Quanto alle spese di lite, vista la novità e particolarità della questione trattata, vanno compensate ex art. 92 c.p.c. per entrambi i gradi di giudizio, riferite a tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale in composizione monocratica nella causa in grado di appello proposta con atto di citazione tra le parti in premessa indicate, definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e conclusione,

1) in accoglimento, per quanto di ragione dell’appello proposto in via principale da A. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, riforma la sentenza del Giudice di Pace di Treviso n. 1027/2023 pubblicata in data 31.08.2023, annullando l’avviso di accertamento n. (…) emesso a suo carico da S. S.r.l. in qualità di concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del CUP per conto del Comune di San Biagio di Callalta.

2) In accoglimento per quanto di ragione, dell’appello proposto in via incidentale, in parziale riforma della suddetta sentenza, accoglie l’eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dal Comune di San Biagio di Callalta.

3) Spese di lite compensate riferite ad entrambi i gradi di giudizio e con riguardo a tutte le parti in causa.

Così deciso in Treviso, il 29 aprile 2025.

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2025.


COMMENTO REDAZIONALE- Il Comune non può esigere il canone pubblicitario quando l’area occupata appartenga ad un soggetto terzo.

Il combinato disposto tra i commi 816 e 818 dell’art. 1 Legge 27 dicembre 2019 n. 160 consente infatti ai Comuni di istituire il CUP solo riguardo ad impianti pubblicitari posti su strade comunali o considerate tali (ossia non comunali, ma poste all’interno del centro abitato, con popolazione superiore a 10.000 abitanti), senza possibilità di deroga, stante la riserva di legge di cui all’art. 23 Costituzione, secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Nel caso di specie, gli impianti pubblicitari si trovavano collocati su una Strada regionale posta al di fuori del centro abitato, con conseguente esclusione della competenza comunale ad imporre il CUP.