Cass. civ. Sez. V, Ord.,  12-10-2021, n. 27865


ORDINANZA

sul ricorso 14603/2018 proposto da:

C.B.B.O. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’avvocato C. R., rappresentata e difesa dall’avvocato G.C.;

– ricorrente –

contro

AUTODEMOLIZIONE BPM Di P.G. & C Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’avvocato M.G., rappresentato e difeso dall’avvocato M.S.M.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4831/2017 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 23/09/2021 dal consigliere Dott. RUSSO RITA.

Svolgimento del processo

che:

La società contribuente ha presentato ricorso avverso sei avvisi di accertamento emessi dalla C.B.B.O., società concessionaria della riscossione per conto del Comune di Montichiari, relativamente alla TIA per gli anni dal 2008 al 2012 e TARES per il 2013, per omessa dichiarazione ai fini della imposta di un immobile accatastato in categoria D/8 e mancato versamento del relativo tributo.

La contribuente ha dedotto che l’immobile censito nella categoria D/8 è adibito ad attività di autodemolizioni nel quale vengono prodotti esclusivamente rifiuti speciali smaltiti direttamente dalla società. Ha dedotto altresì che non è applicabile l’IVA. Il ricorso della società contribuente è stato respinto in primo grado; la società ha proposto appello, al quale la società concessionaria ha resistito rilevando che è già stata riconosciuta una riduzione forfettaria del 40% per l’esistenza di rifiuti speciali, ritenuto l’uso promiscuo e, quanto all’IVA, rilevando che per le altre annualità la parte ha prestato acquiescenza e versato l’imposta.

La CTR della Lombardia ha accolto l’appello della contribuente, rilevando che non si tratta dei locali destinati a ufficio o negozio ma solo della unità adibita all’attività tipica della società e cioè l’autodemolizione; che la circostanza che in questo immobile siano prodotti solo rifiuti speciali è insita nella natura stessa dell’attività di autodemolizione della società e che ciò è stato anche documentato, producendo l’attestazione di iscrizione nel registro delle imprese e le autorizzazioni rilasciate della Provincia al fine di procedere direttamente allo smaltimento dei rifiuti prodotti nonchè la iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali. Il giudice d’appello conclude pertanto nel senso che la sentenza di primo grado è erronea nella parte in cui ha ritenuto non provata la natura speciale dei rifiuti prodotti dalla società contribuente ed è erronea laddove “subordina l’esclusione dal tributo alla presentazione di apposita denuncia, mancante nel caso in esame”. Infine, sulla questione dell’IVA afferma che la questione è assorbita ed evidenzia comunque che sul punto la sentenza di primo grado era da riformare poichè il giudice di primo grado non ha accertato se il l’IVA sia stata detratta dalla parte.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società di riscossione affidandosi a tre motivi. Ha resistito con controricorso la società contribuente. La causa è stata trattata l’udienza camerale non partecipata del 23 settembre 2021.

Motivi della decisione

che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 2 e 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La ricorrente deduce che in ordine alla pretesa non tassabilità dei locali non è stata offerta alcuna prova nè in sede di denuncia originaria nè – sebbene tardivamente – nel giudizio; osserva che la riduzione forfettaria del 40% è esattamente la riduzione che spetta al contribuente avendo egli prodotto alla società di riscossione la documentazione comprovante la produzione di rifiuti speciali non assimilabili, mentre è erroneo invece escludere la intera superficie. Rileva infine che sono stati violati i principi in tema di assolvimento dell’onere della prova, perchè il contribuente produce solo in giudizio la prova di smaltimento dei rifiuti speciali mentre non c’è una dichiarazione relativa alla delimitazione dell’area ove si produrrebbero questi rifiuti e che ha errato il giudice di primo grado ad escludere l’onere dichiarativo.

Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la illegittimità della sentenza per violazione del principio in tema di distribuzione dell’onere probatorio per le agevolazioni tributarie, deducendo che l’onere probatorio è posto a carico del contribuente e che lo stesso non ha mai assolto ad alcun onere dichiarativo.

1.2.- I due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati. E’ infatti pacifico che, nella fattispecie, non è stata presentata denuncia. In tal senso si esprime il giudice di secondo grado il quale ritiene di riformare la sentenza di primo grado laddove subordina l’esclusione dal tributo alla presentazione di un’apposita denuncia, mancante nel caso in esame. In tal senso anche la difesa della società contribuente che (pagina 16 del controricorso) rileva che ai fini della esclusione dalla tassazione è necessario sufficiente fornire la prova che suddette superfici vengano prodotti rifiuti speciali; non rileva -secondo la difesa- nè una dichiarazione nè in alcun modo la prova dell’assenza dell’uomo o della oggettiva inaccessibilità dell’area.

Queste affermazioni sono in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicchè, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dal citato art. 62, comma 2, per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. n. 19469 del 15/09/2014; Cass. n. 10634 del 16/04/2019) E’ stato altresì affermato che nella predetta materia spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. n. 21250 del 13/09/2017; Cass. n. 21011 del 22/07/2021).

Ha pertanto errato il giudice di secondo grado a ritenere irrilevante l’omessa denuncia e la documentazione (in uno alla denuncia) delle eventuali ragioni di una causa idonea a comportare la esenzione o la riduzione della tariffa, ai sensi dell’art. 62 cit., quest’ultima peraltro – come deduce la società ricorrente – già applicata.

2.- Con il terzo motivo del riscorso si deduce violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, al D.L. n. 557 del 1993, art. 4 e al T.U. n. 152 del 2006, art. 238, deducendo che il contribuente ha sempre prestato acquiescenza alla richiesta di pagamento dell’IVA. Il motivo è inammissibile.

Il giudice di secondo grado, accogliendo l’appello per la ragione sopra evidenziata, e dichiarando “infondati” gli avvisi di accertamento, ha espressamente affermato in parte motiva che la questione è assorbita. L’ulteriore affermazione, resa dalla CTR, che la sentenza di primo grado sarebbe erronea anche per quanto riguarda il pagamento dell’IVA, costituisce una motivazione ad abundantiam e non ratio decidendi della sentenza. Non spiegando alcuna influenza sul dispositivo della stessa, ed essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8755/2018). Si osserva inoltre che la società controricorrente non ha proposto ricorso incidentale.

Ne consegue in accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, inammissibile il terzo, a cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito rigettando l’originario ricorso della società contribuente.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, compensando le spese del doppio grado di merito.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso dichiara inammissibile in terzo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della società contribuente. Condanna parte controricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000.00 per compensi, Euro 200,00 per spese non documentabili oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge. Compensa le spese del doppio grado di merito.

Così deciso in Roma, Camera di Consiglio da remoto, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021


COMMENTO: la vicenda trae origine dal ricorso proposto dalla società contribuente avverso sei avvisi di accertamento relativi alla TIA per gli anni dal 2008 al 2012 e per la TARES 2013, per omessa dichiarazione di un immobile accatastato come D/8 (Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni) e del mancato versamento del relativo tributo. Nel ricorso introduttivo del giudizio in CTP la ricorrente deduce che l’immobile censito nella categoria D/8  è adibito ad attività di autodemolizioni nel quale vengono prodotti esclusivamente rifiuti speciali smaltiti direttamente dalla società.

Il ricorso della società contribuente è stato respinto in primo grado, ma accolto in appello. 

La CTR della Lombardia ha evidenziato, nella parte motiva della sentenza, che non si trattava dei locali destinati a ufficio o negozio ma solo della unità adibita all’attività tipica della società e cioè l’autodemolizione; che la circostanza che in questo immobile fossero prodotti solo rifiuti speciali è insita nella natura stessa dell’attività di autodemolizione della società e che ciò è stato anche documentato, producendo l’attestazione di iscrizione nel registro delle imprese e le autorizzazioni rilasciate della Provincia al fine di procedere direttamente allo smaltimento dei rifiuti prodotti nonchè l’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali. 

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società di riscossione, e  la società contribuente ha resistito con controricorso.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicchè, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dal citato art. 62, comma 2, per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. n. 19469 del 15/09/2014; Cass. n. 10634 del 16/04/2019).

In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale. 

Conformi: Cass. 13 settembre 2017  n. 21250; Cass. 22 luglio 2021 n. 21011 (commento in questa rivista del 23/11/2021).