Il termine “silenzio” della Pubblica amministrazione fa riferimento ad un comportamento di per sé neutro, che tuttavia il Legislatore ha di volta in volta provveduto a qualificare in maniera diversa.

In relazione alle singole fattispecie, il silenzio potrà qualificarsi come significativo, in particolare come diniego– laddove la domanda del cittadino si intenda respinta- o come assenso– nel caso di accoglimento della domanda medesima.

Accanto a tali due figure di silenzio significativo, nell’ordinamento vi è anche la figura del silenzio-inadempimento, che ricorre quando l’inerzia della Pubblica Amministrazione non assume valore di provvedimento.

Il problema del silenzio è a sua volta strettamente correlato a quello delle tempistiche di conclusione del procedimento amministrativo, stante l’obbligo di conclusione di quest’ultimo mediante un provvedimento espresso (art. 2 Legge 241/1990). Tale provvedimento deve necessariamente essere adottato entro un termine certo e ragionevole, non essendo consentito che l’azione amministrativa si protragga sine die. Il rispetto del principio di certezza del diritto spiega quindi l’importanza fondamentale della questione della tempistica procedimentale.

L’esatta determinazione del termine di conclusione del procedimento rileva soprattutto in quanto, da un lato, scandisce l’azione amministrativa e, dall’altro, rappresenta il momento a partire dal quale assume rilevanza un’eventuale inerzia della Pubblica Amministrazione, laddove si configura la fattispecie del silenzio-inadempimento.

A partire dalla scadenza del termine prestabilito dall’art. 2 Legge 241/1990 si delineano, per il destinatario dell’attività amministrativa, diverse possibilità di tutela. Il Legislatore ha infatti previsto un sistema di rimedi, sia amministrativi che giurisdizionali, esperibili in presenza dell’inerzia della Pubblica Amministrazione rispetto a tale termine. Il predetto sistema di rimedi risulta ampliato ed arricchito negli ultimi anni, sulla scia delle politiche di semplificazione e snellimento dell’attività amministrativa e della valorizzazione del fattore-tempo come componente determinante per la vita dei cittadini e delle imprese.

Nello specifico, particolare rilievo assumono le novità introdotte dal Codice del processo amministrativo (D.lgs. 02 luglio 2010 n. 104), dal D.L. 09 febbraio 2012 n. 5, convertito in Legge 04 aprile 2012 n. 35 (che ha profondamente modificato il testo dell’art. 2 Legge 07 agosto 1990 n. 241) e dal D.L. 21 giugno 2013 n. 69, convertito in Legge 09 agosto 2013 n. 98.

Un primo profilo di tutela contro il silenzio inadempimento è quello apprestato dalle norme  penali, ed in particolare dall’art. 328, comma 2, c.p., che incrimina la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.

Sotto il profilo strettamente amministrativo, l’art. 2, commi 8 e ss., Legge 241/1990 statuisce che:

  • la tutela in materia di silenzio dell’amministrazione viene disciplinata dal Codice del processo amministrativo (D.lgs. 02 luglio 2010 n. 104); in particolare, le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse in via telematica alla Corte dei Conti;
  • la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente. Si tratta di un profilo innovativo, che espressamente sancisce la responsabilizzazione del pubblico dipendente in merito alla conclusione del procedimento.

E’ inoltre previsto un potere sostitutivo in caso di inerzia: secondo quanto statuito dall’art. 2, comma 9-bis, Legge 241/1990, esso è attribuito dall’organo di governo ad un soggetto individuato nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione. In mancanza di espressa attribuzione da parte dell’organo di governo, il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o, in mancanza anche di quest’ultimo, al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione. 

Per ciascun procedimento, sul sito internet istituzionale dell’amministrazione è pubblicata, in formato tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage, l’indicazione del soggetto a cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l’interessato può rivolgersi. Tale soggetto, in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza alle disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità, oltre a quella propria.

Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento (o quello superiore di cui all’art. 2, comma 7, Legge 241/1990, in caso di sospensione dei termini), il privato può rivolgersi al responsabile del rispetto della tempistica perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario (art. 2, comma 9-ter, Legge 241/1990).

Per disciplinare le conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento è inoltre stato inserito, da parte dell’art. 7, comma 1,lettera c) Legge 18 giugno 2009 n. 69, l’art. 2-bis Legge 241/1990.

In base al primo comma della predetta norma, le pubbliche amministrazioni ed i soggetti ad esse equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Ai sensi dell’art. 30, comma 4, Codice del processo amministrativo, tale azione risarcitoria deve essere proposta nel termine di centoventi giorni, il quale non inizia a decorrere fintanto che dura l’inadempimento. Esso inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

Per tale azione sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133 Codice del processo amministrativo).

Il D.L. 69/2013, convertito con modificazioni in Legge 98/2013, ha inoltre aggiunto all’art. 2-bis Legge 241/1990 un comma 1-bis, in base al quale, fatto salvo quanto disposto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato (silenzio assenso e silenzio diniego) e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, Legge 23 agosto 1988 n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.

Scaduto il termine per l’adozione del provvedimento, i cittadini potranno ricevere 30 euro per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di 2.000 euro. Se tale somma non viene liquidata, essa potrà essere richiesta al Giudice amministrativo mediante una procedura semplificata.

In materia di impugnazione del silenzio inadempimento, la difficoltà di inquadrare esattamente il suo oggetto è sempre stata legata alla natura impugnatoria del processo amministrativo.

La giurisprudenza più risalente aveva quindi concluso per l’inammissibilità di azioni di accertamento o di azioni costitutive contro la Pubblica Amministrazione.

Una prima “rottura” rispetto a tale impostazione si è avuta con la sentenza Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 10 marzo 1978 n. 10, che per la prima volta ha ammesso, seppure con riferimento ai soli atti vincolati, la facoltà per il Giudice amministrativo di andare oltre il mero accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento, pronunciando anche sulla fondatezza della domanda avanzata dal ricorrente.

Nel medesimo senso si sono mosse le successive modifiche normative, quali l’art. 2 Legge 205/2000, la Legge 80/2005 e la Legge 69/2009: tali norme hanno affermato il potere del giudice amministrativo di conoscere la fondatezza dell’istanza presentata dal ricorrente, senza peraltro specificare il modo e l’ambito di tale valutazione sulla pretesa sostanziale.

Nel silenzio della legge, in ambito giurisprudenziale si è quindi sviluppato un dibattito tra un orientamento minoritario, favorevole ad una generale giurisdizione di merito del Giudice amministrativo in materia di silenzio inadempimento, ed un indirizzo maggioritario, che limitava invece tale tipologia di giurisdizione alle sole fattispecie nelle quali venisse in rilievo un’attività vincolata della Pubblica Amministrazione.

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario è stato oggi definitivamente fatto proprio dall’art. 31, comma 3, Codice del processo amministrativo, secondo cui il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione.