La discrezionalità tecnica si concreta nell’esame di fatti o situazioni sulla base di cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico (es.: discipline mediche, biologiche, ingegneristiche, ecc.).

La peculiarità che distingue la discrezionalità tecnica da quella amministrativa è dunque la presenza di una fase di giudizio (e, dunque, di una fase istruttoria) alla quale, tuttavia, non si affianca il momento della volontà, ossia la scelta della soluzione più opportuna attraverso una valutazione degli interessi prioritari (momento che è invece tipico della discrezionalità amministrativa).

Nel caso della discrezionalità tecnica, la scelta degli interessi prioritari risulta infatti già effettuata “a monte”.

Secondo autorevole dottrina, la discrezionalità tecnica si configura dunque come più vicina la potere giurisdizionale che alla discrezionalità amministrativa: analogamente a quanto avviene per l’assunzione della decisione relativa all’applicazione o meno di una pena,  ciò che serve appurare è la situazione di fatto concretamente  verificatasi, risultando già stabilito dalla legge il contenuto del provvedimento conseguente.

Secondo l’impostazione tradizionale, la discrezionalità tecnica, così come quella amministrativa, atterrebbe al merito e risulterebbe quindi di regola insindacabile da parte del Giudice amministrativo.

Malgrado tale impostazione risulti ad oggi ancora prevalente in giurisprudenza, non manca un diverso indirizzo dottrinario che mette in dubbio la stessa nozione di “discrezionalità tecnica”, intesa come attività che si sostanzia in un mero apprezzamento informato a parametri tecnici e che nulla ha a che vedere con la discrezionalità propriamente detta (o discrezionalità amministrativa), rispetto alla quale difetta del momento volitivo della selezione dell’interesse primario, a seguito di una ponderazione comparativa di interessi.

Una volta escluso che la discrezionalità tecnica possa essere considerata una vera e propria discrezionalità, e differenziato quindi il momento del giudizio tecnico da quello della ponderazione comparativa e della conseguente scelta degli interessi, si perviene di conseguenza all’ulteriore conclusione secondo cui non è possibile ricondurre la discrezionalità tecnica nell’ambito del merito amministrativo.

Ulteriore conseguenza di tale impostazione è il ridimensionamento dei problemi tradizionalmente frapposti alla possibilità di un suo sindacato non solo da parte del Giudice amministrativo, ma anche, laddove occorra, del Giudice ordinario, visto che entrambe le predette giurisdizioni devono sempre avere il potere, attraverso i mezzi di rispettiva pertinenza, di verificare la correttezza delle valutazioni di carattere tecnico-scientifico della Pubblica Amministrazione.

Seguendo tale impostazione, il problema si sposta dunque sul piano probatorio, nella misura in cui si tratta di verificare l’esistenza, nel nostro ordinamento processuale, di strumenti che consentano la verifica di errori commessi dall’Amministrazione.

Nella sostanza, quindi, il sindacato sulla discrezionalità tecnica da parte del Giudice amministrativo è stato reso difficile dalla mancata previsione del ricorso allo strumento della consulenza tecnica, nell’ambito del processo amministrativo.

L’art. 35 D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 ha per la prima volta introdotto la facoltà, per il Giudice amministrativo, di disporre la consulenza tecnica d’ufficio in alcune materie, tassativamente individuate ed attribuite alla sua giurisdizione esclusiva.

L’utilizzo di tale strumento è stato poi “generalizzato” ed esteso anche alla giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo, ad opera dell’art. 16 Legge 205/2000 (che ha così interpretato l’art. 44, comma 1, R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, cd. “Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato”).

Infine, con l’approvazione del Codice del processo amministrativo, contenuto nel D.lgs. 02.07.2010 n. 104, è stata ridefinita la fase istruttoria del processo amministrativo, con la previsione espressa, tra i mezzi di prova, della consulenza tecnica d’ufficio (art. 67 D.lgs. 104/2010, in combinato disposto con l’art. 19 del medesimo Decreto).

Tale evoluzione normativa ha reso senza dubbio più agevole, anche sotto il profilo probatorio, il sindacato del Giudice amministrativo sugli atti che costituiscano espressione della discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione.

L’esercizio della discrezionalità tecnica comporta ancora l’ulteriore problematica della capacità degli atti, emanati nel suo esercizio, di incidere sulle situazioni di diritto soggettivo, comportandone l’affievolimento.

La dottrina tradizionale ha sempre dato per scontato che l’esercizio della discrezionalità tecnica dovesse comportare un effetto di affievolimento, muovendo dall’assunto dell’equiparazione tra discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa.

Di diverso avviso una parte della giurisprudenza ordinaria, secondo cui la discrezionalità tecnica, a dispetto del nomen, non potrebbe essere considerata una vera e propria discrezionalità. Essa, estrinsecandosi attraverso indagini ed apprezzamenti compiuti sulla base di criteri unicamente tecnici e scientifici, il cui esercizio non è espressione di un potere di supremazia della Pubblica Amministrazione, non sarebbe idonea a determinare l’affievolimento del diritto soggettivo  (Cass. civ., SS.UU., 23 aprile 2001 n. 169; 10 maggio 2001 n. 194; 08 agosto 2001 n. 10963 e 08 agosto 2001 n. 10964).

In senso decisamente contrario appare invece orientata la giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’esercizio della discrezionalità tecnica è sindacabile da parte del Giudice amministrativo, in particolare sotto il profilo dell’eccesso di potere, al pari della discrezionalità amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27 novembre 1989 n. 16; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 05 luglio 1999 n. 18 e successive conformi).

Con l’espressione discrezionalità mista si fa infine riferimento a quelle fattispecie nelle quali la Pubblica Amministrazione risulti disporre al contempo di discrezionalità amministrativa e di discrezionalità tecnica (es.: si pensi al caso dello scoppio di un’epidemia bovina, alla quale consegua un ordine di abbattimento degli animali infetti).

L’orientamento tradizionale riconduce la discrezionalità mista, al pari di quella tecnica, nell’ambito del merito amministrativo, con la conseguenza di affermarne l’insindacabilità da parte del Giudice amministrativo.

Parte della dottrina ha tuttavia rilevato come, a prescindere dal riconoscimento dell’autonomia della figura, la compresenza di una scelta pienamente discrezionale necessariamente incida sul tipo di tutela azionabile contro un atto di tal genere.

Allo stesso modo, la negazione della natura “realmente discrezionale” della discrezionalità tecnica consente di concludere nel senso dell’illegittimità derivata dell’atto amministrativo basato su una valutazione tecnica errata (es.: si pensi all’ordine di demolizione di un edificio, conseguente ad un erroneo accertamento della sua instabilità).