Si ha contratto a favore di un terzo quando una parte (detta “stipulante”) designa un terzo quale avente diritto alle prestazioni dovute dalla controparte (detta “promittente”).

L’art. 1411 c.c. ammette la validità di tale contratto, a condizione che lo stipulante vi abbia interesse. Può trattarsi anche di un interesse morale, ma comunque meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. Se questo manca o è illecito, la disposizione è nulla, nel senso che il contratto rimane fermo, ma la prestazione è dovuta allo stipulante.

Il beneficio per il terzo non può invece risolversi in un mero vantaggio economico e di fatto, ma deve consistere nell’attribuzione della titolarità di un diritto ad esigere dall’obbligato l’esecuzione della prestazione promessa.

La modificazione della sfera giuridica del terzo, determinata dall’attribuzione del diritto, può assumere la natura più varia (acquisto di un diritto reale, acquisto di un diritto di credito, liberazione da un debito).

Esempio 1: Un  genitore decide di stipulare un’assicurazione sulla vita a favore di suo figlio. Si rivolge quindi ad un’impresa assicuratrice, che assume l’impegno di versare l’importo dell’assicurazione al figlio, in caso di morte del genitore.

Il genitore è lo stipulante, l’impresa assicuratrice è il promittente, il figlio è il terzo beneficiario del diritto di credito stipulato a suo vantaggio con il contratto di assicurazione in favore di un terzo (artt. 1920-1922 c.c.).

Esempio 2:  Un soggetto affida ad un corriere la spedizione di un certo quantitativo di copie di un libro all’autore.

Tra il mittente ed il corriere (o vettore) è stipulato un contratto di trasporto di cose (artt. 1683 e ss. c.c.), il cui beneficiario è il terzo, che acquista nei confronti del vettore il diritto di credito alla consegna delle copie del libro.

Il mittente è lo stipulante, il corriere o vettore è il promittente, l’autore dell’opera è il terzo beneficiario del contratto di trasporto di cose a favore di terzo (art. 1689 c.c.).

Esempio 3: Un soggetto, volendo assicurare un vitalizio ad un nipote, decide di alienare un immobile al proprio fratello e, anziché pattuire un corrispettivo per l’alienazione, si accorda affinché la controparte versi una rendita vitalizia al nipote.

In tal caso, colui che aliena l’immobile è lo stipulante, colui che lo acquista e si obbliga a versare la rendita vitalizia è il promittente, il nipote è il beneficiario del contratto di rendita vitalizia a favore di terzo (art. 1875 c.c.). Essa, quantunque comporti una liberalità per il beneficiario, non richiede le forme prescritte per la donazione.

Esempio 4: Un soggetto, nell’acquistare un appartamento per un corrispettivo di 500.000 euro, disponendo unicamente della somma di 450.000 euro, si accorda con l’alienante, nel senso di assumersi il debito, di euro 50.000, che l’alienante ha nei confronti di un Istituto di credito (il quale gli aveva erogato un mutuo per l’acquisto del predetto immobile). In tal modo, l’acquirente diviene immediatamente proprietario, versando la cifra di euro 450.000 di cui dispone immediatamente; per “coprire” la differenza, si accolla il debito che l’alienante aveva contratto con la banca per acquistare il medesimo appartamento.

L’alienante è lo stipulante, l’acquirente è il promittente, la banca è il terzo beneficiario  dell’accollo (art. 1273 c.c.) del mutuo.

Lo schema del contratto a favore di un terzo risulta peraltro compatibile non solo con contratti tipici, quali quelli menzionati negli esempi precedenti, ma anche con contratti atipici, dal momento che l’art. 1411 c.c. richiede, quale unica condizione, un “interesse” – anche di natura non patrimoniale – dello stipulante.

Partendo dalla considerazione che il contratto a favore di un terzo non può in alcun caso imporre obblighi a carico di quest’ultimo, parte della dottrina (BIANCA) ritiene preferibile escludere dal suo ambito di applicazione l’attribuzione della proprietà o dell’usufrutto, che per loro natura comportano oneri a carico del loro titolare, e dunque un suo potenziale pregiudizio.

Altro indirizzo dottrinario (GAZZONI) obietta che il terzo è comunque sempre libero di scegliere se adempiere oppure no l’onere, subendo in quest’ultimo caso la perdita del diritto attribuito. Pertanto, secondo tale Autore, il contratto a favore di un terzo risulterebbe compatibile con l’attribuzione della proprietà o dell’usufrutto, dovendosi escludere dal suo ambito applicativo solo l’imposizione diretta di obblighi.

Perciò che concerne la sua disciplina, il contratto a favore di terzo comporta che, salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente automaticamente per effetto della stipulazione, pur non diventando mai parte del contratto (art. 1411, comma 2, c.c.).

Trattandosi di un beneficio, è infatti legittimo attribuirlo al terzo automaticamente e senza la necessità dell’espressione di un consenso, nella supposizione che egli voglia profittarne.

Poiché, in ogni caso, neppure un beneficio può essere “imposto” al suo destinatario, il terzo può sempre rifiutarsi di profittare del diritto (art. 1411, comma 3, c.c.).

Il terzo ha l’onere di dichiarare, anche nei confronti del promittente, se intende profittare del beneficio. Finché non emette tale dichiarazione, egli rischia infatti di perdere o vedere modificato il proprio diritto, perché l’ordinamento prevede che lo stipulante possa revocare o modificare la stipulazione solo finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare (art. 1411, comma 2, c.c.).

In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto (art. 1411, comma 3, c.c.).

La dichiarazione del terzo di voler profittare della stipulazione esclude di regola la possibilità che lo stipulante revochi il beneficio.

Tale regola trova un’eccezione “se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante”: in tal caso, infatti, quest’ultimo “può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest’ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca” (art. 1412, comma 1, c.c.).

La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato e lo stipulante non abbia disposto diversamente (art. 1412, comma 2, c.c.).

Al’interno del contratto a favore di un terzo è dunque possibile distinguere un rapporto di valuta, che intercorre tra stipulante e terzo, ed un rapporto di provvista, che intercorre tra stipulante e promittente.

Il promittente può opporre al terzo solo le eccezioni derivanti dal cd. “rapporto di provvista” (ossia dal rapporto intercorso tra stipulante e promittente), dal quale il terzo deriva il proprio diritto, mentre non può opporgli le eccezioni derivanti da altri eventuali rapporti tra il promittente e lo stipulante (art. 1413 c.c.).

Ad esempio, il promittente può eccepire al terzo che il contratto intercorso tra il promittente stesso e lo stipulante è nullo, annullabile, rescindibile, risolubile, mentre non può opporgli in compensazione un proprio credito verso lo stipulante, derivante da un diverso contratto.

Il promittente può inoltre opporre al terzo le eccezioni derivanti dal “rapporto di valuta” intercorso tra stipulante e terzo, ad esempio qualora sia illecito o irrealizzabile, e dunque non più tutelato dall’ordinamento, il fondamento pratico di tale rapporto (es.: per inesistenza del debito di cui lo stipulante vorrebbe liberarsi, per illiceità del motivo determinante l’attribuzione gratuita, ecc.), cosicché venga meno quell’“interesse dello stipulante”, al quale l’art. 1411, comma 1, c.c. subordina la validità del contratto a favore di un terzo.