1.Nozione di “contratto preliminare”.

Nella prassi, può sovente accadere che le parti abbiano interesse a vincolarsi l’una verso l’altra, per garantirsi la sicurezza che un determinato affare andrà in porto, senza tuttavia ancora arrivare alla conclusione del contratto definitivo.

In tali casi esse possono stipulare un contratto preliminare, che costituisce appunto l’accordo con cui le parti si obbligano a stipulare, entro un determinato termine, un successivo contratto, detto definitivo.

Il contratto preliminare si differenzia pertanto dal contratto normativo, il quale non obbliga le parti a contrattare, ma solo ad inserire determinate clausole negli eventuali futuri contratti, che liberamente sceglieranno di stipulare (si pensi, ad esempio, al contratto collettivo di lavoro).

Pertanto, mentre con il contratto preliminare viene vincolata la libertà di contrattare, con il contratto normativo viene vincolato unicamente il contenuto del successivo ed eventuale contratto (mentre la libertà di contrattare resta immutata).

Il Codice civile non detta una disciplina organica del contratto preliminare, limitandosi a dedicare ad esso tre norme isolate, ossia gli artt. 1351, 2645-bis e 2932 c.c.

 

  1. La forma del contratto preliminare.

L’art. 1351 c.c. stabilisce che il contratto preliminare è nullo, se non è stipulato nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo.

Si tratta, pertanto, di un obbligo di forma stabilito per relationem: poiché con il contratto preliminare sorge l’obbligo a concludere il contratto definitivo, la forma scritta ad substantiam, allorché costituisce elemento essenziale di quest’ultimo (art. 1325 n. 4 c.c.), deve essere già presente nel contratto preliminare.

 

  1. La trascrizione del contratto preliminare.

L’art. 2645-bis c.c. (introdotto dal D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito con modificazioni in Legge 28 febbraio 1997 n. 30) prescrive l’onere di trascrizione del contratto preliminare, che abbia ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui all’art. 2643 nn. 1), 2), 3) e 4) c.c., a fini di “prenotazione” degli effetti della trascrizione del contratto definitivo.

L’innovazione normativa ha avuto il dichiarato scopo di conferire certezza al sistema pubblicitario e di garantire tutela alle parti contraenti: infatti, la trascrizione del contratto definitivo, che costituisce esecuzione del preliminare, o della sentenza, che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dello stesso contratto preliminare, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del preliminare (art. 2645-bis, comma 2, c.c.).

I contratti preliminari devono essere trascritti, anche se sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva.

Per poter dare corso alla trascrizione, è necessario che il contratto preliminare risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.

Vanno inoltre trascritti i contratti preliminari che abbiano ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione: in tal caso, l’art. 2645-bis, comma 4, c.c. prescrive l’indicazione della superficie utile della porzione di edificio e della quota spettante al promissario acquirente.

In caso di disparità della superficie enunciata e della quota dichiarata con la porzione materiale di edificio per un valore superiore al ventesimo, vengono meno gli effetti della trascrizione; restano invece prive di effetti le disparità inferiori a tale soglia.

Si intende “esistente” l’edificio del quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura (art. 2645-bis, comma 6, c.c.).

Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano in ogni caso se, entro un anno dalla data convenuta per la stipula del contratto definitivo, e comunque entro tre anni dalla trascrizione del preliminare, non sia seguita la trascrizione del contratto definitivo, o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, o della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2645-bis, comma 3, c.c.).

Nel nostro ordinamento, il contratto preliminare (in senso proprio) produce di regola effetti obbligatori, in quanto vincola unicamente le parti alla conclusione del successivo contratto definitivo.

Con la norma di cui all’art. 2645-bis c.c. tale principio sembra trovare una parziale deroga, almeno per i contratti preliminari che abbiano ad oggetto il futuro trasferimento della proprietà su beni immobili o la futura costituzione di diritti reali su beni immobili, ossia per i contratti di cui all’art. 2643 n. 1), 2), 3) e 4).

Si supponga, infatti, che A (promittente alienante) e B (promissario acquirente) stipulino un contratto preliminare, nel quale si obbligano a concludere un successivo atto di vendita dell’immobile X, e trascrivano detto contratto preliminare in data 10 aprile 2018.

Successivamente, A (promittente alienante) aliena a C (terzo) l’immobile X, con atto definitivo di compravendita trascritto il 10 maggio 2018.

B (promissario acquirente), una volta ottenuta la stipula del contratto definitivo o una sentenza ex art. 2932 c.c. che tenga luogo di quest’ultimo, e provveda a trascriverli, ancorché successivamente al 10 maggio 2018 (data di trascrizione della vendita tra A e C), vedrà il proprio acquisto prevalere su quello di C, perché potrà giovarsi dell’effetto di “prenotazione” ottenuto mediante la trascrizione del suo preliminare di acquisto (trascrizione avvenuta in data 10 aprile 2018, e quindi anteriormente alla trascrizione dell’acquisto definitivo di C, in data 10 maggio 2018).

Per tale motivo, sembra doversi concludere che un contratto preliminare, il quale abbia ad oggetto uno dei contratti previsti dall’art. 2643 nn. 1), 2), 3) e 4) c.c. (ossia abbia ad oggetto un futuro trasferimento della proprietà su beni immobili o una futura costituzione di diritti reali su beni immobili), produca non solo un effetto obbligatorio tra le parti (i.e.: obbligo a concludere il contratto definitivo), ma anche un vincolo reale sul bene.

Ciò comporta che il promittente alienante (nell’esempio di cui sopra: A), pur rimanendo titolare (o pieno titolare) del bene fino al contratto definitivo o alla data cui risalgono gli effetti della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., non può produrre a favore di altri acquirenti (nell’esempio di cui sopra: in favore di C) un effetto traslativo (o traslativo- costitutivo) che risulti opponibile alla parte, la quale ha trascritto in proprio favore il contratto preliminare (nell’esempio di cui sopra: B).

 

  1. L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a concludere un contratto.

Al contratto preliminare è infine applicabile la norma di cui all’art. 2932 c.c. sull’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a concludere un contratto definitivo.

In base ad essa, se il soggetto, che si è obbligato con il preliminare a concludere un contratto definitivo, non adempie la propria obbligazione, l’altra parte può ottenere, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, una sentenza costitutiva che produca i medesimi effetti del contratto definitivo non concluso.

Tale rimedio è esperibile in alternativa alla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con condanna della parte inadempiente al risarcimento del danno (qualora la parte adempiente abbia perso interesse alla stipula del contratto definitivo, per esempio a causa del tempo trascorso).

Peraltro, mentre il rimedio della risoluzione per inadempimento è sempre esperibile, l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a concludere il contratto definitivo  ex art. 2932 c.c. è subordinata al duplice requisito della possibilità e della non esclusione da parte del titolo.

Per tali ragioni, tale rimedio è del tutto incompatibile con i contratti reali (es.: mutuo, deposito, contratto estimatorio, comodato, ecc.), nei quali la sentenza costitutiva non è in grado di surrogare il necessario requisito della consegna materiale (cd. “traditio”) della cosa.

 

  1. Figure affini al contratto preliminare: analogie e differenze.

Dal contratto preliminare vero e proprio deve essere tenuto distinto il cd. “compromesso” o “contratto preliminare improprio”: quest’ultimo è un contratto definitivo, immediatamente efficace, ma che contiene l’obbligo di riprodurre il consenso in una forma determinata.

Esso è particolarmente diffuso nell’ambito delle vendite immobiliari, allo scopo di non manifestare il reale contenuto del contratto in un atto pubblico, per ragioni fiscali.

E, infatti, la distinzione tra contratto preliminare “proprio” ed “improprio” rileva soprattutto in materia fiscale, in quanto la giurisprudenza ritiene che a quest’ultimo si applichi l’intera imposta proporzionale di registro sui trasferimenti di proprietà, mentre al primo trovi applicazione la più modesta imposta fissa.

Inoltre, al compromesso non è in alcun caso applicabile il rimedio dell’esecuzione in forma specifica di cui all’art. 2932 c.c., trattandosi già di un contratto definitivo.

Altresì, dal contratto preliminare va tenuta distinta la cd. “minuta” o “puntualizzazione”, che si ha quando le parti, senza voler assumere l’obbligo a contrarre, vogliono però “fermare” per iscritto l’accordo che hanno raggiunto su determinati punti, continuando poi la trattativa su altri aspetti del contratto.

Con la “minuta” o “puntualizzazione”, quindi, a differenza che con il contratto preliminare, non sorge alcun obbligo di concludere il contratto definitivo.

Essa è comunque rilevante sotto il profilo giuridico, per ciò che riguarda:

  • l’interpretazione del contratto che sia successivamente concluso (potendo rilevare come comportamento delle parti anteriore alla conclusione del contratto, significativo per determinare la loro “comune intenzioneex 1362 c.c.);
  • la valutazione della buona fede nella prosecuzione delle trattative (e, in particolare, della “giustificazione” di un eventuale recesso) ai fini della responsabilità precontrattuale.

In passato, ci si era interrogati sull’ammissibilità del cd. “preliminare di preliminare”.

Recentemente, il contrasto sul punto è stato composto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno affermato il principio per cui “deve ritenersi produttivo di effetti l’accordo, denominato come preliminare, con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare” (Cass. civ., Sezioni Unite, 06 marzo 2015 n. 4628).

Infine, ulteriore problematica controversa è stata quella dell’ammissibilità del cd. “preliminare ad effetti anticipati”, di frequente utilizzazione nell’ambito delle contrattazioni immobiliari.

Esso si realizza quando le parti, contestualmente all’assunzione dell’obbligo di stipula del contratto definitivo, convengono l’anticipata esecuzione di alcune delle obbligazioni che nasceranno da quest’ultimo (quale, ad esempio, l’immediata consegna della cosa venduta al promissario acquirente, con o senza corrispettivo).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito in proposito che il promissario acquirente, anticipatamente immesso nel godimento dell’immobile, ne consegue la mera detenzione, e non già il possesso utile ad usucapionem, non sussistendo nel promissario acquirente l’animus possidendi (Cass. civ., Sezioni Unite, 27 marzo 2008 n. 7930).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti qualificato i contratti accessori al preliminare come comodato (quanto alla concessione dell’utilizzazione del bene da parte del promittente venditore al promissario acquirente) e come mutuo gratuito (quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al promittente venditore). Conseguentemente, con riferimento al primo, la materiale disponibilità del bene ha natura di detenzione qualificata, esercitata dal promissario acquirente nel proprio interesse, ma alieno nomine, e non di possesso utile all’usucapione.