La cessione del credito opera una modificazione soggettiva dell’obbligazione nel lato attivo, mediante un atto di disposizione del credito (a titolo gratuito o oneroso), anche senza il consenso del debitore.

Essa è disciplinata dall’art. 1260 c.c.: la cessione del credito si verifica quando un soggetto creditore, detto cedente, cede ad un terzo, detto cessionario, il proprio credito nei confronti del debitore, detto debitore ceduto.

Quest’ultimo, in conseguenza della cessione, non dovrà più adempiere la prestazione dovuta al creditore cedente, ma al cessionario.

La cessione del credito ha una struttura bilaterale, poiché è posta in essere dal cedente e dal cessionario, mentre prescinde dal consenso o dalla volontà del debitore, per il quale risulta del tutto indifferente dover adempiere la propria prestazione ad un creditore, anziché all’altro.

Non tutti i crediti, peraltro, possono formare oggetto di cessione.

Non sono cedibili i crediti di natura strettamente personale (es.: il diritto agli alimenti) o quelli il cui trasferimento è espressamente vietato dalla legge (es.: i magistrati, i cancellieri, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori, ecc. non possono mai essere cessionari di diritti che sono inerenti alle cause per le quali loro hanno prestato servizio opatrocinio).

Non sono inoltre cedibili i crediti per i quali le parti originarie (debitore e creditore) abbiano stipulato un pactum de non cedendo: tale patto può essere contenuto nel titolo che ha originato l’obbligazione oppure può essere stipulato successivamente al sorgere di quest’ultima.

In ogni caso, il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.

Se il cedente viola il patto, il cessionario che non sia a conoscenza della violazione, e che sia quindi in una condizione di buona fede soggettiva (intesa come ignoranza, non conoscenza della violazione altrui), può esigere la prestazione dal debitore ceduto, mentre quest’ultimo può agire contro il cedente per ottenere da parte sua il risarcimento del danno (a titolo di responsabilità contrattuale) per la violazione del pactum de non cedendo.

La cessione è quindi un contratto bilaterale, mediante il quale il creditore (cedente) trasferisce ad un altro soggetto (cessionario) il proprio diritto di credito, realizzando così una successione a titolo particolare nel credito.

Quest’ultima può avvenire indifferentemente a titolo oneroso o a titolo gratuito; in ogni caso, insieme al diritto di credito si trasferiscono anche le garanzie ad esso correlate (art. 1263 c.c.).

Pur non essendo necessario il consenso del debitore alla cessione, è tuttavia necessario che la stessa sia portata a conoscenza del debitore ceduto.

Infatti, la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata (art. 1264, comma 1, c.c.).

Se, nonostante l’accettazione o la notifica, il debitore adempie al cedente anziché al cessionario, egli non verrà liberato, e dovrà adempiere nuovamente al cessionario.

Se, invece, il debitore ceduto paga al cedente prima della notifica o accettazione, egli è liberato, perché per lui la cessione è ancora priva di effetto, salvo che il cessionario non riesca a dimostrare la mala fede del debitore ceduto, ossia non riesca a dimostrare che egli era a conoscenza dell’avvenuta cessione (art. 1264, comma 2, c.c.).

L’ordinamento disciplina inoltre la fattispecie del  conflitto tra più cessionari dello stesso credito, che si verifica allorché il medesimo credito venga ceduto dal cedente a due o più cessionari. In tal caso, il conflitto viene risolto attribuendo la prevalenza alla cessione che per prima è stata notificata al debitore o che è stata da costui accettata con atto di data certa, ancorché stipulata tra cedente e cessionario in data posteriore. La stessa norma si applica quando il credito ha formato oggetto di usufrutto o di pegno (art. 1265 c.c.).

La cessione può essere:

  • pro soluto: con questa cessione il cedente garantisce solo l’esistenza del credito, e non anche l’adempimento da parte del debitore ceduto. Se il debitore non adempie, il cessionario dovrà sopportare il danno e non potrà in alcun modo rivolgersi al cedente. La cessione pro soluto costituisce la “regola” e trova quindi applicazione tutte le volte che le parti non abbiano pattuito diversamente;
  • pro solvendo: con questa cessione il cedente garantisce non solo l’esistenza del credito, ma anche la solvenza del debitore.

Perciò, se il debitore ceduto non adempie, il cessionario può agire  nei confronti del cedente.

La cessione pro solvendo deve essere espressamente pattuita dalle parti e, in ogni caso, si applica solo nelle cessioni a titolo oneroso.

La garanzia viene meno se la mancata realizzazione del credito è dipesa da colpa o negligenza del cessionario.