L’art. 1936 c.c. stabilisce che è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui.
Fonte dell’obbligo del fideiussore può essere sia la legge che la volontà privata.
Solitamente, essa si costituisce in forza di contratto tra il creditore ed il terzo, che si rende garante dell’obbligazione altrui.
La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza (art. 1936, comma 2, c.c.).
Il contratto di fideiussione non richiede una particolare forma, ma la volontà del fideiussore deve essere espressa (art. 1937 c.c.).
Stante la gravità dell’impegno assunto, l’ordinamento non ritiene infatti sufficiente un mero comportamento concludente.
Trattandosi di un contratto normalmente gratuito, esso rientra nello schema del negozio con obbligazioni a carico del solo proponente. Trova quindi applicazione l’art. 1333 c.c., secondo cui la proposta diretta a concludere un contratto, da cui derivino obbligazioni solo a carico del proponente, diviene irrevocabile non appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata; il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi; in mancanza di tale rifiuto, il contratto è concluso.
Si ritiene che la fideiussione possa essere validamente costituita anche mediante promessa unilaterale, testamento o contratto (concluso tra debitore garantito e fideiussore) a favore del terzo creditore.
Oggetto della fideiussione è l’obbligo del debitore principale, rispetto al quale l’obbligazione del fideiussore si pone in rapporto di accessorietà.
La fideiussione può avere ad oggetto anche l’obbligazione di un altro fideiussore: in tal caso, si determina una garanzia di secondo grado, in quanto “il fideiussore del fideiussore non è obbligato verso il creditore, se non nel caso in cui il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano insolventi, o siano liberati perché incapaci” (art. 1948 c.c.).
Dalla natura accessoria della fideiussione derivano diverse rilevanti conseguenze.
In primo luogo, la fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale, salvo che sia prestata per un’obbligazione assunta da un incapace (art. 1939 c.c.).
Essa, inoltre, non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose; può invece essere prestata per una parte soltanto del debito o a condizioni meno onerose. La fideiussione eccedente il debito o contratta a condizioni più onerose è valida solo nei limiti dell’obbligazione principale (art. 1941 c.c.).
Salvo patto contrario, la fideiussione si estende a tutti gli accessori del debito principale, nonché alle spese per la denunzia al fideiussore della causa promossa contro il debitore principale e alle spese successive (art. 1942 c.c.).
Infine, il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità (art. 1945 c.c.).
Ai sensi dell’art. 1944 c.c., il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale al pagamento del debito.
Le parti possono però convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore principale (cd. beneficium excussionis).
In tal caso, il fideiussore, che sia convenuto dal creditore e che intenda valersi del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, ha l’onere di indicare i beni di quest’ultimo da sottoporre ad esecuzione.
Si distinguono pertanto la fideiussione semplice dalla fideiussione solidale.
La prima ricorre nel caso in cui le parti abbiano pattuito il beneficio di preventiva escussione del debitore principale; la seconda, che costituisce “la regola” operante in mancanza di diversa pattuizione, consente invece al creditore di rivolgersi per il pagamento, indifferentemente e a sua scelta, al debitore principale o al fideiussore.
Il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il debitore (art. 1949 c.c.). Si tratta di una fattispecie di surrogazione “per volontà della legge” (art. 1203 n. 3 c.c.).
Il fideiussore ha regresso contro il debitore principale, benché questi non fosse consapevole della prestata fideiussione (art. 1950 c.c.).
Il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese che il fideiussore ha fatto dopo che ha denunciato al debitore principale le istanze proposte contro di lui; comprende inoltre gli interessi legali sulle somme pagate dal giorno del pagamento. Se il debito principale produceva interessi in misura superiore al saggio legale, il fideiussore ha diritto agli interessi convenzionali fino al rimborso del capitale.
Se il debitore principale è incapace, il regresso del fideiussore è ammesso solo nei limiti di ciò che è stato rivolto a suo vantaggio.
Se vi sono più debitori principali obbligati in solido, il fideiussore che ha garantito per tutti ha regresso contro ciascuno per ripetere integralmente ciò che ha pagato (art. 1951 c.c.).
Il fideiussore che paga ha l’onere di avvisare il debitore principale.
In caso di mancato avviso, il fideiussore perde il diritto di regresso, se il debitore, non avvisato del pagamento, ha a sua volta pagato al creditore (art. 1952, comma 1, c.c.). Inoltre, il debitore può opporre al fideiussore, che agisca in regresso, le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore principale all’atto del pagamento (art. 1952, comma 2, c.c.).
In entrambi i casi è fatta salva per il fideiussore l’azione per la ripetizione contro il creditore (art. 1952, comma 3, c.c.).
Può inoltre accadere che più soggetti abbiano prestato fideiussione per un medesimo debitore e a garanzia di un medesimo debito.
In tal caso, ciascuno di essi è di regola obbligato per l’intero debito, tranne che sia stato pattuito il beneficio della divisione (cd. “beneficium divisionis”, ex artt. 1946-1947 c.c.) e il fideiussore, che ha pagato, ha regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva porzione (art. 1954 c.c.).
L’obbligazione del fideiussore si estingue:
- a causa dell’estinzione dell’obbligazione del debitore principale;
- attraverso i modi normali di estinzione delle obbligazioni;
- nelle fattispecie di cui agli artt. 1955-1957 c.c.
In forza di tali norme:
- la fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore (art. 1955 c.c.);
- il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione (art. 1956 c.c.);
- il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore, entro sei mesi da essa, abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale: in questo caso, però, l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi. L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore (art. 1957 c.c.).
La fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in questo ultimo caso, dell’importo massimo garantito (art. 1938 c.c.).
Particolare tipo di fideiussione per obbligazioni future è la cd. fideiussione omnibus, che ricorre quando un soggetto si obbliga a garantire (generalmente, nei confronti di una banca) l’adempimento di ogni obbligazione già sorta o che sorgerà a carico di un altro soggetto, senza la previsione di limiti né quantitativi, né di durata.
Mentre la giurisprudenza è generalmente orientata ad ammettere la validità di tale tipologia di fideiussione, la dottrina è ancora divisa tra chi nega totalmente valore a tale figura e chi invece la ammette, a condizione che il suo oggetto sia determinabile in base a precisi criteri prestabiliti, cosicché il garante possa controllare il comportamento del debitore principale.
E, in effetti, anche le banche tendono ad oggi ad operare in base a clausole prestabilite che limitino le possibilità di arbitrio e consentano al fideiussore la loro piena conoscibilità.
Così, ad esempio, l’art. 1938 c.c. è stato modificato dall’art. 10 Legge 17 febbraio 1992 n. 154, con l’introduzione della previsione “dell’importo massimo garantito”.
Residua unicamente il dubbio se la previsione di un massimale sproporzionato rispetto alle future e prevedibili obbligazioni del garantito possa eludere la norma, finendo per costituire una garanzia di fatto illimitata.
La medesima legge ha infine integrato anche l’art. 1956 c.c., stabilendo che non sia valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione prevista dal primo comma della suddetta norma.
La banca, quindi, non potrà più avvalersi di quella clausola che la esonerava dal richiedere al fideiussore la speciale autorizzazione, prescritta dall’art. 1956 c.c.