1. La nullità parziale.

Ricorre la figura della nullità parziale oggettiva tutte le volte in cui la nullità non colpisce l’intero contratto, ma soltanto una sua parte o singole clausole di esso.

L’art. 1419 c.c. stabilisce che la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole si estende all’intero contratto, solo qualora risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto, che è colpita dalla nullità.

Il giudice deve quindi valutare la volontà ipotetica delle parti, sulla base del concreto ed oggettivo assetto di interessi perseguito dalle stesse con il contratto: se quest’ultimo sarà giudicato in grado di realizzare l’interesse dei contraenti anche senza la parte colpita da nullità, allora dovrà essere giudicato solo parzialmente invalido; in caso contrario, sarà colpito da una nullità totale.

Il problema dell’estensione della nullità parziale all’intero contratto non si pone, quando la singola clausola nulla è sostituita di diritto da norme imperative. In questo caso, la volontà imperativa della legge si sostituisce a quella espressa invalidamente dalle parti (in forza del combinato disposto tra gli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.).  

Diviene quindi superflua l’indagine sulla volontà ipotetica delle parti e queste ultime devono “sottomettersi” al regolamento legale, anche se non avrebbero concluso il negozio senza quella parte del suo contenuto che è stata sostituita d’autorità.

Ciò è quanto avviene, ad esempio, nel caso in cui le parti abbiano previsto una durata del contratto di locazione di immobili urbani inferiore a quella stabilita dalle norme imperative di cui alla Legge 09.12.1998 n. 431 (per gli immobili urbani ad uso abitativo) e di cui alla Legge 27.07.1978 n. 392 (per quelli a carattere non abitativo): la relativa clausola è nulla e viene sostituita di diritto dalla durata minima ex lege, nonostante qualsiasi volontà contraria delle parti.

 

  1.  La nullità nel contratto plurilaterale.

Di nullità parziale può poi parlarsi in un significato diverso, ossia quando la nullità non colpisca una parte del contenuto del contratto, bensì il vincolo di una delle parti del contratto, nel caso di contratti plurilaterali, altresì detti contratti “con comunione di scopo” o contratti “a struttura associativa” (es.: contratto di associazione o contratto di società).

Si tratta di contratti nei quali le parti conferiscono beni o servizi per il conseguimento di uno scopo comune e nei quali, quindi, il vantaggio perseguito da ciascuna parte deriva non già dalla controprestazione dell’altra, ma dalla partecipazione ad un’utilità con profitto comune.

Essi si contrappongono quindi ai contratti di scambio, nei quali le parti perseguono interessi contrapposti e la prestazione di ciascuna realizza l’interesse dell’altra.

Quando il vincolo di una delle parti di un contratto plurilaterale (o “con comunione di scopo” o “a struttura associativa”) sia colpito da nullità, si realizza una fattispecie di nullità parziale soggettiva (detta così per distinguerla dalla “nullità parziale oggettiva”, che riguardi una clausola contrattuale o, comunque, una parte del contenuto del contratto).

L’art. 1420 c.c. stabilisce che, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.

 

  1. L’azione di nullità.

Con la nullità, il Legislatore intende tutelare interessi superindividuali: è questo il motivo per cui, ai sensi dell’art. 1421 c.c., salvo diverse disposizioni di legge, la legittimazione attiva a far valere la nullità del contratto (ossia ad agire in giudizio per sentir accertare tale forma di invalidità) spetta a chiunque ne abbia interesse.

Si parla, in proposito, di legittimazione assoluta.

Il soggetto agente, tuttavia, deve pur sempre avere un interesse qualificato a far valere la nullità, ossia non un interesse di mero fatto, bensì la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante che possa essere incisa dal contratto nullo.

L’ambito dei soggetti legittimati a far valere in giudizio la nullità del contratto non è quindi così ampio come potrebbe sembrare ad una prima lettura della norma in questione.

Inoltre, proprio perché posta a tutela di interessi superindividuali, la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1421 c.c.).

Il giudice, pertanto, a prescindere da un’espressa domanda di parte, può rilevare la nullità del contratto in ogni stato e grado del giudizio, incluso quello di legittimità, ma solo qualora si tratti di una controversia sorta per far valere diritti che hanno origine nel contratto nullo; inoltre, la nullità deve basarsi su presupposti che risultino agli atti di causa e che non richiedano indagini o accertamenti ulteriori da parte del giudice.

E’ esclusa, invece, la legittimazione a promuovere l’azione di nullità da parte del Pubblico Ministero, perché lo Stato si limita a non riconoscere valore al negozio nullo, ma non prevede interventi attuativi in tal senso.

Non mancano, peraltro, nell’ordinamento, fattispecie di nullità relativa (o cd. “nullità di protezione”), ossia che può essere fatta valere solo da soggetti determinati ed individuati (i.e.: generalmente identificabili nella cd. “parte debole” di un determinato rapporto contrattuale).

È il caso, ad esempio, dell’art. 36 D.lgs. 06.09.2005 n. 206 (cd. “Codice del Consumo”), che riserva al solo consumatore e al giudice, nell’interesse di quest’ultimo, la legittimazione a far valere la nullità delle clausole vessatorie nei contratti del consumatore.

Sempre sul presupposto del rilievo sovra-individuale degli interessi tutelati, l’azione di nullità è imprescrittibile. In particolare, l’art. 1422 c.c. stabilisce che l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizioni delle azioni di ripetizione.

La sentenza che dichiara la nullità del contratto ha natura dichiarativa (o di mero accertamento), essendo il contratto improduttivo di effetti ab origine.

Il contratto nullo, a differenza di quello annullabile, non può di regola essere sanato o convalidato (art. 1423 c.c.).

Essendo la nullità posta a protezione di interessi generali, non è nella disponibilità delle parti la decisione se rendere il contratto nullo produttivo di effetti che esso è, invece, del tutto inidoneo a produrre.

Tuttavia, esistono delle eccezioni a questo principio, o almeno degli istituti che pongono in dubbio la sua valenza assoluta (tanto che lo stesso art. 1423 c.c. stabilisce che “il contratto nullo non può essere convalidato”, ma solo “se la legge non dispone diversamente”).

Eccezioni a tale regola sono infatti previste dagli artt. 590 e 799 c.c., che disciplinano rispettivamente la conferma del testamento nullo e della donazione nulla.

Ai sensi della prima di tali norme, la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, dopo la morte del testatore ha confermato la disposizione o ha dato ad essa volontaria esecuzione.

Ai sensi della seconda, la nullità della donazione, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione.

Parte della dottrina evidenzia peraltro come entrambe le predette norme non prevedano vere e proprie fattispecie di convalida, ma piuttosto di conferma, in quanto essa non proviene da chi è stato parte del negozio nullo, bensì da un diverso soggetto (i.e.: erede o avente causa).

 

  1. La conversione del contratto nullo.

In ogni caso, ai sensi dell’art. 1424 c.c. il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora avuto riguardo allo scopo oggettivo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero concluso, se avessero conosciuto la nullità.

Si parla, in tale ipotesi, di conversione del contratto nullo.

La conversione può essere:

  • sostanziale, ossia operare con riferimento al contenuto del contratto (es.: un contratto è nullo come compravendita, ma ha i requisiti della permuta e si converte pertanto in quest’ultimo contratto);
  • formale, quando l’atto può rivestire una pluralità di forme (il testamento segreto, nullo per mancanza di alcuni requisiti propri di tale forma, può convertirsi in un testamento olografo, qualora abbia i requisiti di quest’ultimo, ex art. 607 c.c.).

La conversione opera in via automatica, senza che le parti debbano manifestare la loro volontà al riguardo, purché esse non fossero a conoscenza della nullità del contratto e purché il giudice valuti che esse, ove avessero conosciuto la nullità, avrebbero voluto il diverso contratto valido.

Il giudice deve quindi valutare la volontà ipotetica delle parti, sulla base di criteri oggettivi e salvo che le parti abbiano escluso espressamente la possibilità della conversione.