Il computo del tempo.
I fatti giuridici hanno il proprio svolgimento nello spazio e nel tempo.
Secondo parte della dottrina, il decorso del tempo è esso stesso un fatto giuridico, cui l’ordinamento ricollega determinate conseguenze.
Tuttavia, secondo la dottrina dominante, a produrre l’effetto giuridico non è mai il decorso del tempo in sé e per sé considerato, quanto piuttosto il comportamento omissivo umano (cd. “inerzia”) prolungato per un determinato tempo, di volta in volta fissato dalla legge.
Pertanto, tempo e spazio non sono di per sé fatti giuridici, ma attengono alla struttura e alle modalità di realizzazione del fatto.
Il computo del tempo avviene sulla base del calendario comune.
Per ciò che riguarda il giorno, si distinguono il giorno civile (che va da una mezzanotte all’altra) e il giorno naturale (che va dall’alba al tramonto).
Di regola, la computazione civile prevale su quella naturale.
L’anno decorre da un determinato giorno al giorno corrispondente dell’anno successivo, indipendentemente da eventuali bisestilità.
I mesi sono calcolati da un determinato giorno al giorno corrispondente del mese successivo, indipendentemente dal numero di giorni di ciascun mese (es.: 1° gennaio- 1° febbraio).
Di regola, nel computo non si calcola il giorno iniziale (dies a quo non computatur in termino), mentre si tiene conto del giorno finale (dies ad quem computatur in termino).
Ancora, si distinguono:
- il tempo utile, al di fuori del quale non è più possibile esercitare un determinato diritto o compiere un determinato atto giuridico. Esso costituisce la “regola” e in esso non si computano i giorni festivi. Se il termine scade in un giorno festivo, esso è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo (art. 2963 c.c.);
- il tempo continuo, che costituisce l’eccezione e che si computa per intero, includendo anche i giorni festivi.
La disciplina fondamentale degli istituti che, nell’ambito civilistico, si fondano sul decorso del tempo è contenuta agli artt. 2934-2969 c.c.80
Il decorso del tempo assume peraltro rilevanza anche in altri settori dell’ordinamento (si pensi, in ambito penale, all’estinzione del reato o della pena per prescrizione).
Nell’ambito dei diritto civile, il decorso di un determinato periodo di tempo, unito ad altri elementi, può dare luogo all’acquisto o all’estinzione del diritto.
Nel primo caso, l’istituto che viene in considerazione è quello dell’usucapione o prescrizione acquisitiva (per cui vedi capitolo 24).
Nel secondo caso, vengono invece in rilievo gli istituti della prescrizione e della decadenza.
La prescrizione.
La prescrizione è la perdita di un diritto soggettivo per effetto dell’inerzia o del non uso da parte del titolare protratto per un periodo determinato dalla legge.
Presupposti dell’istituto sono quindi:
- l’esistenza di un diritto soggettivo che può essere esercitato;
- il mancato esercizio di tale diritto;
- il decorso del tempo previsto dalla legge.
Il fondamento dell’istituto è solitamente ravvisato nell’esigenza di certezza delle situazioni e dei rapporti giuridici: il mancato esercizio del diritto, prolungato nel tempo, può infatti determinare nella generalità dei consociati la convinzione che esso non esiste o è stato abbandonato (TORRENTE).
In altri termini, il decorso del tempo determina una sfasatura tra la situazione di diritto e quella di fatto, che l’istituto della prescrizione mira a risolvere, adeguando opportunamente il diritto al fatto (GALGANO).
Secondo altri Autori, il fondamento della prescrizione deve più precisamente essere individuato nella tutela preferenziale di interessi individuali contrapposti a quelli del titolare del diritto inerte (BIGLIAZZI-GERI).
La prescrizione è un istituto di ordine pubblico: di conseguenza, la sua disciplina è inderogabile.
Da tale principio deriva che:
- è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione (art. 2936 c.c.);
- le parti non possono rinunciare alla prescrizione prima che la stessa si compia (art. 2937 c.c.).
Glieffettidel tempo sul negozio giuridico
Tuttavia, la rinuncia effettuata mentre è in corso il termine prescrizionale non è del tutto priva di rilevanza giuridica, in quanto vale come riconoscimento del diritto e comporta pertanto l’interruzione della prescrizione.
Dopo il compimento del termine prescrizionale, la prescrizione può invece essere oggetto di rinuncia, proveniente dalla parte interessata ad avvalersene.
Tale rinuncia può avvenire in forma espressa (ossia con un’esplicita dichiarazione di voler rinunciare alla prescrizione) o in forma tacita (ossia mediante un comportamento univocamente incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione, quali una promessa di pagamento o il pagamento di un acconto).
La prescrizione non opera automaticamente, ma al contrario deve essere opposta dalla parte interessata.
Il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta (art. 2938 c.c.).
L’eccezione di prescrizione deve essere sollevata prima del giudizio di Cassazione, in quanto il relativo accertamento presuppone indagini di fatto, che risultano precluse al giudice di legittimità.
Tale eccezione può essere opposta anche dai creditori e da chiunque vi abbia interesse, qualora la parte non la faccia valere o vi abbia rinunciato (art. 2939 c.c.): tale diritto potestativo presenta analogie con le azioni surrogatoria (se il debitore ha omesso di avvalersi della prescrizione) e revocatoria (nel caso di rinuncia da parte del debitore).
Non è ammessa la ripetizione di quanto spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto (art. 2940 c.c.).
Tale norma ha fatto sì che la dottrina tradizionale assimilasse l’adempimento del debito prescritto a quello dell’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.) per i caratteri della non coercibilità dell’adempimento e della mancata ripetibilità di quanto spontaneamente versato.
La dottrina più recente, al contrario, così come la prevalente giurisprudenza, ritiene che il pagamento del debito prescritto costituisca pur sempre adempimento di un’obbligazione civile, caratterizzata dalla rinuncia (presunta ex lege) a valersi della prescrizione già compiuta (Cass. civ., 08 agosto 1978 n. 3856).
Ogni diritto si estingue per prescrizione, ad eccezione dei diritti indisponibili e degli altri diritti indicati dalla legge (art. 2934 c.c.).
Sono quindi imprescrittibili:
- i diritti della personalità umana (es.: diritto al nome);
- i diritti di stato (es.: cittadinanza);
- le potestà di diritto familiare (es.: responsabilità genitoriale);
- il diritto di proprietà;
- alcuni particolari diritti indicati dalla legge, quali i diritti dello Stato sui beni demaniali, il diritto di esercitare l’azione di nullità di un contratto (art. 1422 c.c.), il diritto dell’erede di chiedere l’accertamento della propria qualità ereditaria contro chiunque possegga i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo (art. 533 c.c.).
La durata della prescrizione (ossia il periodo di tempo necessario affinché la prescrizione si compia) è stabilita dalla legge in maniera inderogabile.
In particolare, si distinguono:
- la prescrizione ordinaria, che opera in mancanza di una diversa previsione di legge e si realizza con il decorso di dieci anni (art. 2946 c.c.);
- le prescrizioni brevi, i cui termini più brevi si giustificano in ragione della peculiarità di alcuni rapporti.
Così, ad esempio, si prescrivono in cinque anni il diritto al risarcimento del danno (tranne quello derivante dalla circolazione dei veicoli, per cui il termine prescrizionale è di due anni) e le prestazioni periodiche, quali crediti per fitti, pigioni, annualità di rendite e pensioni, interessi, indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro (artt. 2947 e 2948 c.c.).
Ancora, si prescrivono in cinque anni l’azione di annullamento del contratto (art. 1442 c.c.), l’azione revocatoria (art. 2903 c.c.), i diritti che derivano da rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese, nonché l’azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge (art. 2949 c.c.).
Si prescrivono in un anno i diritti derivanti dal contratto di mediazione (art. 2950 c.c.), trasporto e spedizione (art. 2951 c.c.), nonché l’azione di rescissione del contratto (art. 1449 c.c.).
In materia di contatto di assicurazione, si prescrive in un anno dalle singole scadenze il diritto al pagamento delle rate di premio, mentre gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione e di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto posto a fondamento del diritto, ad esclusione del contratto di assicurazione sulla vita, i cui diritti si prescrivono in dieci anni (art. 2952 c.c.).
In ogni caso, se riguardo ai diritti che sono oggetto di una “prescrizione breve” interviene una sentenza passata in giudicato, l’azione diretta all’esecuzione del giudicato (cd. “actio judicati”) è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale (art. 2953 c.c.).
La sentenza passata in giudicato- cui la giurisprudenza ha equiparato altri titoli esecutivi di formazione giudiziale, quali il decreto ingiuntivo non opposto nei termini, e divenuto pertanto irrevocabile- ha quindi un’efficacia di novazione del titolo, rispetto al diritto dedotto in giudizio.83 Glieffettidel tempo sul negozio giuridico
La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.): tale norma deve intendersi come riferita alla possibilità legale di esercitare il diritto, mentre non assumono rilevanza gli impedimenti di mero fatto al suo esercizio.
L’ordinamento riconosce tuttavia rilevanza ad alcune cause, tipiche e tassative, di sospensione della prescrizione (artt. 2941-2942 c.c.).
Si tratta di fattispecie nelle quali l’inerzia del titolare esiste, ma è giustificata da particolari situazioni, previste dalla legge e riconducibili ai rapporti tra le parti o alla particolare condizione soggettiva del titolare.
L’effetto della sospensione è quello di operare come una parentesi nel corso della prescrizione: il periodo in cui sussiste la causa di sospensione non si calcola ai fini del periodo prescrizionale; cessata la causa di sospensione, la prescrizione riprende il suo corso ed il nuovo periodo si somma con quello maturato anteriormente al fatto sospensivo.
Diversa dalla sospensione è invece l’interruzione della prescrizione, che si verifica quando l’inerzia del titolare del diritto viene a mancare mediante un atto di esercizio del diritto stesso o mediante un riconoscimento del diritto ad opera del soggetto contro cui esso può essere fatto valere.
A differenza della sospensione, l’interruzione opera non già come una parentesi, bensì come una vera e propria frattura del periodo prescrizionale: dopo l’atto interruttivo della prescrizione, inizia quindi a decorrere un nuovo termine prescrizionale, che non va quindi a sommarsi al precedente, ma si computa ex novo.
Costituiscono atti interruttivi della prescrizione l’atto di messa in mora del debitore (art. 2943 c.c.), il riconoscimento del debito da parte di quest’ultimo (art. 2944 c.c.) ed ogni atto con cui venga iniziato un giudizio, sia esso di cognizione, conservativo o esecutivo, anche se proposto ad un giudice incompetente.
Interrompono la prescrizione anche la domanda proposta in corso di causa o la notifica dell’atto con cui la parte, in presenza di un compromesso o di una clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il giudizio arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.
L’interruzione della prescrizione effettuata mediante domanda giudiziale, sia iniziale che in corso di causa, determina altresì un effetto sospensivo della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Analogo effetto si produce anche in caso di giudizio arbitrale.
Se il giudizio si estingue prima di approdare ad una sentenza suscettibile di passare in giudicato, resta fermo solo l’effetto interruttivo della 84
prescrizione, ma non quello sospensivo, e dal momento della proposizione della domanda inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione (art. 2945 c.c.).
Dalle prescrizioni estintive, di cui si è parlato finora, devono essere tenute distinte le cd. “prescrizioni presuntive”, nelle quali il decorso del tempo determina la nascita, a favore del debitore, di una presunzione legale di pagamento, e quindi di estinzione delle obbligazioni.
Tali prescrizioni, che possono avere, a seconda dei casi, durata di sei mesi (art. 2954 c.c.), un anno (art. 2955 c.c.) o tre anni (art. 2956 c.c.), operano quindi non già sul piano sostanziale, ma su quello probatorio, dispensando il debitore dall’onere di provare il proprio adempimento, che viene appunto presunto.
L’unico rimedio offerto al creditore è la possibilità di deferire il giuramento decisorio al debitore, ossia di invitarlo a confermare sotto giuramento che l’obbligazione è stata estinta. Il giuramento può essere deferito anche al coniuge superstite del debitore, ai suoi eredi o ai loro legali rappresentanti per dichiarare se essi hanno notizia dell’estinzione del debito (art. 2960 c.c.).
La prescrizione presuntiva non opera inoltre quando il debitore abbia comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta (art. 2959 c.c.), ad esempio mediante confessione.
La decadenza.
Anche la decadenza (artt. 2964-2969 c.c.), così come la prescrizione, è un istituto legato al decorso del tempo.
Essa consiste nella perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento di un determinata attività, o di un determinato atto, nel termine perentorio prescritto dalla legge.
Il fondamento della decadenza risiede in un’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, le quali non sono suscettibili di un esercizio ripetuto, e per le quali è quindi opportuno circoscrivere l’incertezza in un periodo limitato.
Il presupposto della decadenza non consiste quindi nel fatto soggettivo dell’inerzia del titolare (a differenza di quanto avviene per la prescrizione), ma nel fatto oggettivo del mancato esperimento di un’attività strumentale all’acquisizione del diritto nel tempo stabilito.
Da tale definizione del concetto di decadenza derivano due fondamentali conseguenze:85 Glieffettidel tempo sul negozio giuridico
- in materia di decadenza non trovano applicazione la sospensione o l’interruzione, alla cui base stanno situazioni di carattere soggettivo (art. 2964 c.c.) Tutt’al più, determinate leggi speciali possono prevedere una proroga dei termini di decadenza per l’esercizio di atti civili o processuali, in occasione di eventi di eccezionale gravità, quali terremoti, inondazioni, disastri, ecc.;
- il solo modo per evitare la decadenza è il compimento dell’atto, previsto dalla legge o dal contratto, nel termine per esso prescritto. Tuttavia, se si tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può anche essere impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza (art. 2966 c.c.).
La decadenza può essere:
- legale, ossia prevista dalla legge o da un provvedimento amministrativo o giurisdizionale. Essa è un istituto di carattere eccezionale, perché deroga al principio generale secondo cui l’esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti di tempo.
La decadenza legale può essere stabilita nell’interesse generale, ossia in relazione a diritti indisponibili (quali quelli scaturenti dai rapporti familiari), oppure nell’interesse individuale di una delle parti (es.: ai sensi dell’art. 1495, comma 1, c.c., il compratore decade dal diritto alla garanzia per i vizi della cosa acquistata, se non denunzia i vizi stessi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. Analogamente, ai sensi dell’art. 1667, comma 2, c.c., il committente di un appalto decade dal diritto alla garanzia per le difformità o i vizi dell’opera, se non provvede alla loro denuncia all’appaltatore entro sessanta giorni dalla loro scoperta. In entrambi i predetti casi, il termine di decadenza è stabilito in favore della controparte contrattuale-rispettivamente, venditore e appaltatore).
La decadenza legale stabilita nell’interesse generale ha una disciplina inderogabile, è irrinunciabile dalle parti e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
La decadenza legale stabilita nell’interesse individuale di una delle parti ha una disciplina derogabile dalla volontà pattizia, è rinunciabile dalle parti e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita esclusivamente dalla parte interessata a farla valere. Inoltre, può essere impedita anche dal riconoscimento del soggetto contro cui il diritto viene fatto valere (art. 2966 c.c.).
Così, ad esempio, la denunzia non è necessaria “se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato”, ex art. 1495 c.c., o “se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati”, ex art. 1667 c.c.;86
- convenzionale o negoziale: anche la volontà privata può stabilire casi e termini di decadenza (mentre non può farlo per la prescrizione).
Condizioni indispensabili affinché ciò possa avvenire sono:
- che la decadenza convenzionale o negoziale sia prevista in materia di diritti disponibili;
- che il termine stabilito non renda eccessivamente gravoso e difficile l’esercizio del diritto (art. 2965 c.c.).
Parte della dottrina (GAZZONI) ha evidenziato come la decadenza convenzionale attribuisca alle parti la possibilità di prevedere un termine di decadenza breve, laddove la legge ha previsto un più lungo termine di prescrizione. Ciò, secondo l’Autore, può porsi in contrasto con la norma di cui all’art. 2936 c.c., che colpisce con la nullità i patti diretti a modificare la disciplina legale della prescrizione.
Al di là di tale aspetto, le differenze tra gli istituti della prescrizione e della decadenza fanno sì che uno stesso diritto possa essere soggetto ad entrambi gli istituti.
In tal senso dispone l’art. 2967 c.c., secondo cui “nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle norme che regolano la prescrizione”.
Così, ad esempio, l’art. 1495 c.c. dispone che il compratore debba denunciare al venditore i vizi della cosa acquistata entro otto giorni dalla scoperta (termine di decadenza).
Una volta evitata la decadenza, il compratore deve altresì esercitare l’azione di garanzia entro un anno dalla consegna della cosa (termine di prescrizione).
Analogamente, l’art. 1667 c.c. dispone che il committente debba denunciare all’appaltatore le difformità e i vizi dell’opera entro sessanta giorni dalla scoperta (termine di decadenza).
Il committente deve altresì esercitare l’azione di garanzia entro due anni dalla consegna dell’opera appaltata (termine di prescrizione).
Dalla decadenza in senso stretto, che è legata all’inosservanza di un termine, va tenuta distinta la decadenza a titolo di pena, che opera con intento sanzionatorio (es.: decadenza dalla responsabilità genitoriale). In tali casi, infatti, la decadenza non trova la propria causa nell’inosservanza di un termine perentorio, bensì nell’inosservanza di una o più norme imperative di legge.