[segue parte prima]
6. La capacità, gli stati soggettivi rilevanti e i vizi della volontà.
L’art. 1389 c.c. richiede che il rappresentato, che conferisce la procura, abbia la capacità legale di agire, da intendersi come attitudine ad acquistare ed esercitare diritti e ad assumere obblighi o, in altri termini, come attitudine a compiere manifestazioni di volontà idonee a modificare la propria situazione giuridica.
Ai sensi dell’art. 2 c.c., la capacità legale di agire si acquista con il compimento della maggiore età, ossia al compimento del diciottesimo anno, età in cui si presume che il soggetto abbia raggiunto un grado di maturità tale da consentirgli di curare consapevolmente i propri interessi.
Per il rappresentante è invece sufficiente la capacità naturale di intendere e volere, ossia l’attitudine psichica a conoscere il rapporto tra l’atto compiuto e la sfera di interessi (propria o altrui) da tutelare.
Poiché, infatti, gli effetti dell’atto stipulato dal rappresentante incidono direttamente sul patrimonio del rappresentato, l’ordinamento conferisce a quest’ultimo, purché legalmente capace di agire, la possibilità di affidare la cura dei propri interessi anche ad un soggetto legalmente incapace, purché naturalmente capace di rendersi conto del valore e del significato degli atti che compie: per tale motivo, la capacità naturale di intendere e volere del rappresentante deve essere valutata con riferimento alla natura e al contenuto del contratto che questi va in concreto a stipulare.
L’incapacità naturale del rappresentante comporta l’annullabilità del contratto ex art. 428 c.c. Il requisito del “grave pregiudizio”, richiesto dalla predetta norma, deve essere valutato con riguardo alla posizione del rappresentato, nella cui sfera giuridica si producono gli effetti del contratto.
In ogni caso, per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato (art. 1389, comma 2, c.c.).
Il successivo art. 1390 c.c. dispone che il contratto è annullabile, se è viziata (per errore, violenza o dolo) la volontà del rappresentante.
Quando, però, il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di quest’ultimo.
Allo stesso modo, gli stati soggettivi di buona o mala fede, conoscenza o ignoranza su determinate circostanze, devono essere valutati di regola in riferimento al rappresentante, salvo che si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato.
In nessun caso, tuttavia, il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato di ignoranza o di buona fede del rappresentante (art. 1391 c.c.).
- L’abuso del potere di rappresentanza, il conflitto di interessi e il contratto con se stesso.
Il rappresentante deve agire nell’interesse del rappresentato (art. 1388 c.c.).
Si configura abuso del potere di rappresentanza quando il rappresentante, pur dotato di potere rappresentativo, ne abbia fatto un cattivo uso, agendo per un fine diverso da quello per il quale tale potere gli era stato conferito, ossia per perseguire un interesse proprio o di terzi, che sia comunque in contrasto con l’interesse del rappresentato.
In proposito, si parla anche di “sviamento” nell’esercizio delle facoltà del rappresentante (in analogia alla figura dello “sviamento dei poteri”, che il diritto amministrativo qualifica come figura sintomatica dell’eccesso di potere, il quale costituisce un vizio dell’atto amministrativo).
Per configurare l’abuso, è necessario che il rappresentante abbia agito esclusivamente per l’interesse proprio o di terzi, in contrasto con quello del rappresentato. Non configura invece abuso il caso in cui l’interesse del rappresentante o del terzo concorra con quello del rappresentato.
Per poter configurare l’abuso non è tuttavia necessario che vi sia stato un danno patrimoniale attuale per il rappresentato, essendo invece sufficiente un mero danno potenziale, insito nel fatto che l’interesse perseguito dal rappresentante fosse in contrasto con quello del rappresentato stesso.
Si pensi alla fattispecie in cui il rappresentato abbia dato facoltà al rappresentante di vendere un bene immobile per una somma non inferiore a 500.000 euro. Il rappresentante, pur avendo ricevuto un’offerta di acquisto per 600.000 euro, preferisce stipulare il negozio con un proprio caro amico per il prezzo di 520.000 euro.
In tal caso, il rappresentante si è mantenuto nei limiti delle facoltà a lui conferite (poiché ha venduto ad una cifra addirittura superiore a quella che gli era stata posta come limite minimo), ma ha agito per soddisfare un interesse proprio o di un terzo, in conflitto con quello del rappresentato (il cui interesse era, ovviamente, quello di vendere il bene al miglior offerente e quindi, nel caso si specie, a chi aveva offerto 600.000,00 euro).
Il Codice civile non dà una qualifica dell’interesse in conflitto: pertanto, l’interesse perseguito dal rappresentante, che si pone in conflitto con quello del rappresentato, può essere anche di carattere non patrimoniale.
L’art. 1394 c.c. dispone che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato può essere annullato, su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Un limite all’annullabilità del contratto è dunque posto dalla necessità di tutela dell’affidamento incolpevole del terzo: se quest’ultimo non conosceva, né poteva conoscere mediante l’impiego dell’ordinaria diligenza, il conflitto del rappresentante con il rappresentato, il contratto resta valido.
L’azione di annullamento si prescrive in ogni caso nel termine di cinque anni dalla conclusione del contratto.
Se il conflitto si verifica nell’ambito della rappresentanza legale, è prevista la nomina di un curatore speciale per il minore in conflitto di interessi con i genitori (art. 320, comma 6, c.c.) o la sostituzione del tutore da parte del protutore (art. 360, comma 1, c.c.).
Un’ipotesi particolare di conflitto di interessi si ha nel caso del contratto che il rappresentante conclude con se stesso.
Stabilisce l’art. 1395 c.c. che il contratto, che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, è annullabile, salvo in due ipotesi:
- se il rappresentato lo ha autorizzato specificatamente a concludere il contratto;
- se il contenuto del contratto è determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi (es.: il commesso di vendita acquista per se stesso i prodotti del suo datore di lavoro, al medesimo prezzo di vendita praticato al pubblico).
Quando non ricorra alcuna delle due ipotesi di cui sopra, l’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato, anche in questo caso nel termine di prescrizione di cinque anni dalla conclusione del contratto.
- L’eccesso e il difetto del potere di rappresentanza.
L’art. 1388 c.c. dispone che il contratto concluso dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato vincola quest’ultimo soltanto nei limiti delle facoltà conferite al rappresentante.
Qualora il rappresentante oltrepassi tali limiti, si configura eccesso di potere (es.: la procura attribuisce al rappresentante il potere di vendere beni mobili, ma nonostante ciò il rappresentante vende un bene immobile).
Si configura invece difetto di potere nel caso in cui taluno agisca come rappresentante altrui senza averne i poteri (cd. “falsus procurator”).
Stabilisce l’art. 1398 c.c. che “colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto”.
Il contratto concluso dal falsus procurator è quindi inefficace sia nei confronti del rappresentato (perché il potere di rappresentanza non esisteva, e dunque il rappresentato, salva l’ipotesi della ratifica, non può essere vincolato), sia nei confronti del rappresentante (perché il terzo non può essere costretto ad instaurare un rapporto con un soggetto – i.e.: il rappresentante- diverso da quello con cui credeva di vincolarsi – i.e.: il rappresentato).
Il rappresentante senza potere è quindi tenuto a risarcire al terzo, che abbia fatto incolpevole affidamento sulla validità ed efficacia del contratto, il danno che egli abbia sofferto in conseguenza dell’inefficacia del contratto stesso.
Si tratta di una responsabilità precontrattuale, nell’ambito della quale il rappresentante senza potere è tenuto a risarcire al terzo incolpevole il cd. “interesse negativo”, ossia l’interesse del terzo (inteso sia come danno emergente, sia come lucro cessante) a non essere partecipe o destinatario di un atto inefficace, secondo quanto disposto dall’art. 1338 c.c.
Nessun risarcimento è invece dovuto al terzo che sia stato consapevole della carenza del potere rappresentativo, o che avrebbe potuto conoscerlo usando l’ordinaria diligenza, tenuto conto della tipologia di contratto stipulato.
- La ratifica.
L’art. 1399 c.c. stabilisce che, nell’ipotesi rappresentanza senza potere di cui all’art. 1398 c.c. (intesa sia come difetto, sia come eccesso di potere), il contratto può essere ratificato dall’interessato, con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso.
La ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi.
Il terzo e colui che ha contrattato come rappresentante possono d’accordo sciogliere il contratto prima della ratifica.
Il terzo contraente può invitare l’interessato a pronunciarsi sulla ratifica assegnandogli un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica si intende negata.
La facoltà di ratifica si trasmette agli eredi (in quanto costituisce una facoltà a contenuto patrimoniale, e dunque una “posta attiva” presente nel patrimonio del de cuius).
La ratifica rappresenta pertanto una sorta di “procura successiva”, ossia un negozio unilaterale recettizio mediante il quale il rappresentato conferisce ex post efficacia al contratto concluso dal rappresentante senza potere o dal rappresentante che abbia ecceduto i limiti della procura, sanando quindi l’originario difetto di legittimazione del rappresentante ed accettando gli effetti del contratto da lui concluso nella propria sfera giuridica.
Gli effetti della ratifica sono retroattivi, ma sono fatti salvi i diritti acquistati medio tempore dai terzi.
Tale norma non pone particolari problemi per ciò che riguarda il trasferimento di beni mobili, stante il principio per cui “possesso vale titolo” (art. 1153 c.c.).
Per i beni immobili, la norma dell’art. 1399, comma 2, c.c. va coordinata con quella dell’art. 2644 c.c., che regola gli effetti della trascrizione: il diritto del terzo acquirente è salvo, se egli ha trascritto il proprio acquisto prima della trascrizione della ratifica.
Come per la procura, anche per la ratifica valgono le disposizioni dell’art. 1392 c.c. in tema di forma: di regola, essa può essere sia espressa che tacita (ossia rilasciata per facta concludentia), tranne che il contratto, che deve essere ratificato, richieda particolari requisiti di forma ad substantiam o ad probationem. In tal caso, i medesimi requisiti di forma sono richiesti anche per la ratifica.
Secondo la prevalente giurisprudenza, l’istituto della ratifica è applicabile anche ai negozi unilaterali (es.: licenziamento), in virtù dell’art. 1324 c.c., che estende agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale le norme sui contratti, nei limiti della compatibilità (Cass. civ., Sezione Lavoro, 1° dicembre 2008 n. 28514).