- . 3 La risoluzione per inadempimento legale o di diritto: premessa.
Accanto alla risoluzione giudiziale, l’ordinamento italiano contempla alcuni casi di risoluzione per inadempimento legale o di diritto.
Si tratta di circostanze al verificarsi delle quali il contratto si risolve in via automatica, senza bisogno di una sentenza costitutiva del giudice.
In questi casi, qualora tra le parti sorga contestazione sulla avvenuta risoluzione contrattuale, la sentenza che sia chiamata a dirimere il conflitto avrà, eventualmente, natura dichiarativa, ossia si limiterà a “dichiarare” una risoluzione già verificatasi ex lege.
I casi di risoluzione di diritto sono riconducibili a tre fattispecie:
- la diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.);
- la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.);
- il termine essenziale (art. 1457 c.c.).
In tutte e tre tali ipotesi i contraenti, al fine di evitare un lungo giudizio di risoluzione, predispongono le condizioni affinché la risoluzione possa intervenire in maniera automatica, al realizzarsi di tali condizioni.
- . 4 La diffida ad adempiere.
La diffida ad adempiere è disciplinata dall’art. 1454 c.c.
Tale norma stabilisce che il creditore può intimare alla parte inadempiente, per iscritto, di adempiere in un congruo termine, dichiarando espressamente che, decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà senz’altro risolto.
La diffida è quindi un negozio unilaterale e recettizio posto in essere dal creditore, che necessita della forma scritta, pur non implicando l’utilizzo di formule sacramentali.
Con esso si intima al debitore di adempiere e gli si assegna un termine, decorso inutilmente il quale il contratto si risolve automaticamente e di diritto.
Per espressa disposizione normativa, il termine deve essere congruo e comunque non inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione tra le parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine inferiore.
Il termine inizia a decorrere dalla ricezione della diffida, o comunque dal momento in cui la stessa è giunta all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia (secondo la norma di cui all’art. 1335 c.c., applicabile agli atti unilaterali recettizi).
Inoltre, il creditore deve chiaramente intimare l’adempimento, non essendo sufficiente un generico invito o un vago auspicio; la diffida deve anche contenere l’espresso avvertimento che, in caso di mancato adempimento entro il termine, il contratto sarà risolto (non sarebbe sufficiente, ad esempio, la sola indicazione che, in caso di inadempimento, si agirà per le vie legali).
Sotto tale profilo, la diffida ad adempiere si distingue dalla semplice messa in mora (art. 1219 c.c.).
Quest’ultima si esaurisce in una mera intimazione o richiesta scritta di adempimento e costituisce pertanto un mero atto giuridico, per il quale è richiesta unicamente la volontà dell’atto, e non già quella degli effetti, i quali derivano direttamente dalla legge, indipendentemente dal fatto che l’intimante li abbia previsti e/o voluti.
Diversamente, la diffida ad adempiere richiede non solo l’intimazione scritta di adempimento, ma anche l’espressa dichiarazione che, decorso inutilmente il termine assegnato per l’adempimento, il contratto si risolverà automaticamente e di diritto. Essa costituisce pertanto un vero e proprio negozio giuridico, per il quale è richiesta non solo la volontà dell’atto, ma anche quella degli effetti (coincidenti con la risoluzione automatica del contratto, in caso di perdurante inadempimento).
In pendenza del termine fissato con la diffida, il creditore non può agire né per l’adempimento, né per la risoluzione, né con l’esecuzione forzata, tranne che, nel frattempo, la parte dichiari per iscritto di non volere adempiere.
La diffida ad adempiere, dunque, può essere utilizzata dalla parte creditrice che abbia comunque ancora un certo interesse all’adempimento tardivo, purché nel contenuto termine assegnato con la diffida, e non oltre.
- . 5 La clausola risolutiva espressa.
Mediante la clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) i contraenti possono convenire esplicitamente che il contratto si risolva in modo automatico, nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
E’ necessario che il contenuto della clausola sia sufficientemente preciso.
Non sarebbe pertanto una clausola risolutiva espressa quella che prevedesse, in via generale, che l’inadempimento dell’intero contratto comporterà risoluzione dello stesso.
La clausola può attenere anche all’inadempimento di molteplici prestazioni contrattuali, purché siano tutte specificamente indicate.
Normalmente, la clausola fa parte del contratto, ma potrebbe anche costituire un patto autonomo, che in tal caso dovrà rivestire la stessa forma del contratto cui si riferisce.
Nella fattispecie di cui all’art. 1456 c.c., l’inadempimento deve essere imputabile al debitore (analogamente a quanto avviene nella risoluzione per inadempimento giudiziale), ma (a differenza di essa) non deve necessariamente essere grave (i.e.: “di non scarsa importanza”).
Non trova infatti applicazione l’art. 1455 c.c., perché il giudizio sull’importanza dell’inadempimento della specifica obbligazione, in questa ipotesi, è stato già autonomamente compiuto dalle parti.
In tale fattispecie, la risoluzione del contratto non consegue automaticamente al verificarsi dell’inadempimento, dal momento che il secondo comma dell’art. 1456 c.c. stabilisce che “in questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.
Tale disposizione è posta nell’interesse della parte non inadempiente che, pur avendo previsto nel contratto la clausola risolutiva espressa, potrebbe, al momento dell’inadempimento della controparte, avere comunque interesse a mantenere in vita l’accordo.
Pertanto, lo scioglimento del vincolo non è automatico, ma subordinato al fatto che il creditore dichiari espressamente all’altra parte di volersi avvalere della clausola, risolvendo così il contratto di diritto.
La dichiarazione è unilaterale, recettizia e non formale, e costituisce espressione di un diritto potestativo della parte non inadempiente.
- . 6 Il termine essenziale.
L’art. 1457 c.c. stabilisce che: “Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto si intende risolto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.
Il termine essenziale non si identifica quindi con il mero termine di adempimento ex art. 1183 c.c., ma è quel termine di adempimento che abbia la qualifica di essenzialità per una delle parti, tanto che, trascorso tale termine, la stessa non abbia più interesse all’adempimento.
L’essenzialità del termine può innanzitutto essere stabilita in via espressa dalle parti, quando esse dichiarino che, trascorso un certo termine, il contratto dovrà intendersi risolto di diritto: si parla, in tal caso, di essenzialità soggettiva, che deve essere indicata in modo chiaro e preciso (non basterebbe la formula che la prestazione deve essere adempiuta entro e non oltre una certa data, poiché tale dicitura potrebbe costituire un ordinario termine di adempimento, ai sensi dell’art. 1183 c.c.).
L’essenzialità del termine può poi derivare dalla natura del contratto, quando quest’ultimo, scaduto il termine, non sia più in grado di soddisfare l’interesse della parte creditrice: si tratta della cd. essenzialità oggettiva.
L’esempio di scuola è quello del contratto con il sarto che deve confezionare l’abito da sposa: a prescindere da ogni espressa dichiarazione di essenzialità del termine da parte della sposa, la consegna dell’abito il giorno successivo a quello delle nozze sarà certamente inidonea a soddisfare l’interesse della creditrice, ed il contratto dovrà intendersi risolto di diritto scaduto il termine essenziale del giorno delle nozze.
Anche in questo caso, come in quello della clausola risolutiva espressa, non si applica l’art. 1455 c.c. e non deve pertanto svolgersi alcuna indagine sulla importanza dell’inadempimento, purché esso sia imputabile al debitore.
Nel caso del termine essenziale, la risoluzione contrattuale opera automaticamente allo scadere del termine, ma il creditore può impedirla; difatti, la norma gli assegna tre giorni di tempo per dichiarare espressamente (in forma libera) all’altra parte di volere comunque la prestazione.