- Gli effetti dell’annullabilità per le parti e per i terzi.
La sentenza di annullamento del contratto ha natura costitutiva, in quanto rimuove dall’ordinamento un contratto che, fino a quel momento, era stato del tutto in grado di produrre i propri effetti. Tale rimozione riveste tuttavia carattere retroattivo. Conseguentemente, rispetto alle parti, gli effetti delle sentenze di nullità e di annullamento contrattuale- di natura dichiarativa la prima, costitutiva la seconda- appaiono analoghi, in quanto destinati in entrambi i casi a retroagire fin dal momento della conclusione del contratto invalido.
A seguito dell’annullamento, gli effetti del contratto vengono meno retroattivamente.
Pertanto, il contratto annullato non costituisce titolo idoneo a pretendere l’adempimento delle prestazioni che non siano ancora state eseguite.
Nel caso in cui, invece, le prestazioni siano già state in tutto o in parte eseguite al momento della sentenza, quest’ultima fa sorgere l’obbligo per le parti di procedere alle restituzioni reciproche, secondo le norme dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.).
Una disposizione specifica riguarda la ripetizione contro il contraente incapace; ai sensi dell’art. 1443 c.c., se il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all’altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio.
Anche in caso di annullamento, una deroga parziale alla retroattività degli effetti della sentenza inter partes si ha nell’ambito dei cd. “rapporti contrattuali di fatto”: in particolare, per tutelare il lavoratore subordinato, quale “parte debole” del rapporto, l’art. 2126 c.c. prevede che la pronuncia giudiziale di annullamento del contratto di lavoro non produca effetto per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione. Anche in tal caso, dunque, così come in quello di nullità, il lavoratore subordinato avrà comunque diritto a percepire la retribuzione per il periodo in cui ha prestato la propria opera lavorativa, ancorché in forza di un contratto annullato.
Per quanto riguarda gli effetti della pronuncia di annullamento sui terzi sub-acquirenti, occorre innanzitutto distinguere a seconda che l’annullamento derivi da incapacità legale di una delle parti oppure da altra causa.
Se l’annullamento deriva da incapacità legale di una delle parti, l’acquisto del terzo è sempre pregiudicato (analogamente a quanto avviene nel caso di declaratoria di nullità dell’acquisto del suo dante causa). L’incapacità legale costituisce infatti una causa di annullabilità del contratto di cui chiunque (incluso, quindi, il terzo sub-acquirente) ha modo di prendere contezza, attraverso il sistema di pubblicità legale appositamente predisposto dall’ordinamento (i.e.: annotazione, a margine dell’atto di nascita dell’incapace legale, della sentenza che dichiara l’interdizione o l’inabilitazione o del decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno).
Pertanto, l’ordinamento non ritiene meritevole di tutela la posizione del terzo sub-acquirente che abbia omesso tale forma di diligenza, il cui acquisto risulta sempre pregiudicato dalla sentenza di annullamento del titolo di acquisto del proprio dante causa.
Se, invece, l’annullamento del contratto del dante causa deriva da una causa diversa dall’incapacità legale, occorre ulteriormente distinguere a seconda che il terzo sub-acquirente abbia acquistato a titolo gratuito oppure a titolo oneroso.
Se ha acquistato a titolo gratuito (es.: per donazione), il terzo sub-acquirente è sempre pregiudicato (analogamente a quanto avviene in caso di declaratoria di nullità dell’acquisto del suo dante causa). Il fondamento di tale disposizione risiede nel fatto che il terzo sub-acquirente a titolo gratuito non subisce alcun pregiudizio economico dalla retroattività degli effetti della sentenza di annullamento, non avendo adempiuto ad alcuna controprestazione.
Se ha acquistato a titolo oneroso (es.: per compravendita), il terzo sub-acquirente fa salvo il proprio acquisto se è stato in buona fede (intesa nel senso soggettivo di “ignoranza”, “non conoscenza” della causa di annullabilità che affliggeva l’acquisto del suo dante causa), mentre resta pregiudicato in caso di mala fede (poiché, in tal caso, l’ordinamento non lo ritiene meritevole di tutela).
In conclusione, quindi, l’acquisto del terzo non è tutelato se:
1) l’annullamento del titolo del suo dante causa dipende da incapacità legale;
2) l’acquisto del terzo è avvenuto a titolo gratuito;
3) l’acquisto del terzo, ancorché a titolo oneroso, è avvenuto in mala fede (ossia in una condizione di conoscenza dell’annullabilità del negozio del proprio dante causa).
Sono in ogni caso fatti salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento (art. 1445 c.c.).
Nei primi due casi, il regime degli effetti verso i terzi è identico a quello della nullità, e per il terzo non sarà sufficiente trascrivere il proprio acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’annullamento del contratto, ma dovrà aggiungersi il requisito del decorso di un tempo di almeno cinque anni (per gli acquisti di diritti immobiliari, ex art. 2652 n. 6 c.c.) o di tre anni (per gli acquisti di beni mobili registrati, ex art. 2690 n. 3 c.c.) tra la trascrizione dell’atto annullabile e la trascrizione della domanda giudiziale di annullamento.
Nel caso di acquisto in mala fede, il terzo non potrà fare salvo il proprio acquisto in nessun caso, a meno che non intervenga l’usucapione del diritto (fondata su ulteriori e specifici presupposti).
- L’annullabilità nel contratto plurilaterale.
Come la nullità, anche l’annullamento può colpire unicamente il vincolo di una delle parti del contratto, nel caso di contratti plurilaterali o “con comunione di scopo” (es.: contratto di associazione o contratto di società). In tali contratti, a differenza che nei cd. “contratti di scambio”, il vantaggio perseguito da ciascuna parte deriva non già dalla controprestazione dell’altra, ma dalla partecipazione ad un’utilità con profitto comune.
Quando il vincolo di una delle parti di un tale contratto sia colpito da annullamento, si realizza una fattispecie di annullamento parziale soggettivo.
L’art. 1446 c.c. stabilisce che, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, l’annullamento che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
La norma appare dunque del tutto analoga a quella dell’art. 1420 c.c., in materia di nullità parziale soggettiva.
Non è invece riprodotta, in materia di annullamento, la norma di cui all’art. 1419 c.c. in materia di nullità parziale oggettiva.
- L’azione di annullamento.
Ai sensi dell’art. 1441, comma 1, c.c. legittimata all’azione di annullamento del contratto è solo la parte nel cui interesse il rimedio è stato previsto (ad esempio, colui che ha commesso l’errore, o colui che ha subìto la violenza morale, o colui che è stato ingannato dal dolo altrui, o l’incapace una volta recuperata la capacità, o il rappresentato in conflitto di interessi con il rappresentante). È solo tale soggetto che, se lo ritiene opportuno, può decidere di agire in giudizio per ottenere l’annullamento del contratto.
La legittimazione è quindi relativa.
Sussistono però delle eccezioni, ossia dei casi di legittimazione assoluta a far valere l’annullabilità del contratto.
La prima è posta dallo stesso art. 1441, che, al comma 2, c.c. prescrive che l’incapacità del condannato in stato di interdizione legale può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse. In tale ipotesi, infatti, l’interdizione non è posta a tutela del soggetto incapace, ma rappresenta una sanzione accessoria per il condannato a determinate pene detentive, e ciò spiega anche la regola di legittimazione assoluta.
Sempre per il fatto di essere posta a presidio di interessi individuali, l’annullabilità del contratto non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Il contratto annullabile, a differenza del contratto nullo, produce i suoi effetti fin dal momento della sua conclusione; tali effetti che potranno venire meno, qualora la parte decida di agire con l’azione di annullamento, ma potranno anche consolidarsi qualora, al contrario, la parte ometta di agire (e nel frattempo l’azione si prescriva) o decida di convalidare il contratto, così conferendogli definitiva efficacia.
L’azione di annullabilità è, quindi, rinunciabile.
Parte della dottrina sottolinea come tale regola valga solo con riferimento agli effetti reali del contratto annullabile, ma non a quelli obbligatori. Infatti, la parte legittimata ad agire con l’azione di annullamento può far valere il vizio anche in via di eccezione: di conseguenza, essa non può ritenersi pienamente vincolata al contratto, perché, di fronte all’iniziativa della controparte che agisca per l’adempimento, può sempre sollevare l’eccezione di annullamento, anche oltre il decorso del termine prescrizionale dell’azione.
L’art. 1426 c.c. stabilisce che il contratto non è annullabile, se il minore ha con raggiri occultato la sua minore età; ma la semplice dichiarazione da lui fatta non è di ostacolo all’impugnazione del contratto. Anche questa norma si spiega nell’ottica della tutela di interessi individuali, perché, se si fosse trattato di proteggere interessi collettivi, non avrebbero potuto esservi eccezioni alla regola della invalidità in caso di incapacità. In tale ipotesi, invece, l’eccezione si spiega a sanzione del comportamento del minore che abbia, con consapevoli raggiri, occultato la propria minore età.
Ai sensi dell’art. 1442 c.c., l’azione di annullamento si prescrive nel termine breve di cinque anni, che decorrono:
- di regola, dalla conclusione del contratto;
- in caso di vizio della volontà, da quando è cessata la violenza o è stato scoperto l’errore o il dolo;
- in caso di incapacità legale, da quando è cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione o di amministrazione di sostegno o dal momento in cui il minore ha raggiunto la maggiore età.
Per interrompere il termine prescrizionale, il soggetto interessato deve necessariamente proporre una domanda giudiziale. Non è invece a tal fine sufficiente un mero atto di messa in mora stragiudiziale, non essendoci un soggetto obbligato cui chiedere l’adempimento di una prestazione.
In ogni caso, l’annullabilità può essere opposta in via di eccezione dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescritta l’azione per farla valere.
La sentenza di annullamento è una sentenza costitutiva ed elimina ex tunc gli effetti del contratto, fin dalla sua conclusione.
- La convalida del contratto annullabile.
A differenza di quanto avviene per il contratto nullo, il contratto annullabile può essere convalidato, ad opera del contraente legittimato all’azione di annullamento, il quale decida di conferire definitiva efficacia al contratto annullabile, e quindi di non far valere la sua annullabilità.
La convalida è quindi un atto unilaterale del soggetto a protezione del quale il sistema ha previsto il rimedio dell’annullabilità. Essa può essere espressa o tacita.
La convalida espressa deve contenere la menzione del contratto che si intende convalidare e del motivo di annullabilità, oltre alla dichiarazione esplicita che si intende convalidarlo. Si tratta, quindi, di un negozio unilaterale e a contenuto tipico.
Si discute in merito alla forma della convalida espressa; taluni ritengono che essa debba essere, per relationem, quella del contratto da convalidare, mentre altri optano per la forma libera, ed altri ancora per la forma scritta ad substantiam.
La soluzione da preferire dipende dall’inquadramento dell’istituto.
Se si ritiene che la convalida sia un atto accessorio di tipo integrativo, volto a sostituire il vizio del contratto, oppure un atto di rinnovazione unilaterale del contratto viziato, allora non potrà che avere la forma del contratto per relationem.
Se invece si ricostruisce la convalida come un atto di rinunzia all’azione di annullamento, allora si dovrà optare per la forma libera.
Coloro che sostengono, infine, la tesi della forma scritta a pena di invalidità fanno leva sull’argomento testuale e sottolineano come l’art. 1444 c.c. prescriva che la convalida deve contenere la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, così indicando, secondo tale tesi, che la forma debba necessariamente essere scritta.
Accanto alla convalida espressa, vi è poi la convalida tacita, che si configura quando il contraente al quale spettava l’azione di annullamento dà volontaria esecuzione al contratto, conoscendo il motivo di annullabilità (art. 1444, comma 2, c.c.).
L’esecuzione cui fa riferimento la norma è l’adempimento del contratto, ma anche, secondo la giurisprudenza, l’accettazione della altrui prestazione, e comunque il compimento di un atto incompatibile con la volontà di agire con l’azione di annullamento.
La convalida non può essere efficacemente posta in essere da chi non sia in condizione di concludere validamente il contratto, ossia, ad esempio, dal minore di età o dall’inabilitato.