Cass. civ., sez. V, ord., 23.12.2019 n. 34401
Svolgimento del processo
che:
- L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria regionale della Campania, n. 102/51/12, depositata in data 4 maggio 2012, che ha accolto l’appello del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta, che aveva respinto il ricorso della contribuente contro l’avviso con il quale l’Ufficio, relativamente all’anno d’imposta 2004, in materia di Ires, Irap ed Iva, all’esito di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 12 novembre 2009, aveva accertato maggiori ricavi e determinato, di conseguenza, maggiori imposte, con interessi e sanzioni.
La CTR, con la sentenza qui impugnata, ha infatti ritenuto assorbente la questione dell’inesistenza della notifica, a mezzo posta, dell’avviso d’accertamento de quo, sia perché sul frontespizio del relativo plico raccomandato non si rinvengono l’apposizione del numero di registro cronologico, la sottoscrizione dell’agente notificatore ed il sigillo dell’ufficio finanziario; sia perché l’Ufficio non ha prodotto l’avviso di ricevimento.
- La curatela fallimentare si è costituita con controricorso.
Motivi della decisione
che:
- Con il primo motivo, l’Ufficio ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 3; del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 20; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, e degli artt. 156 e 160, per avere il giudice a quo ritenuto inesistente la notifica a mezzo posta dell’accertamento per la mancanza della relata della notifica sulla copia dell’atto notificata alla curatela, sebbene tale adempimento non fosse previsto per la notifica postale spedita direttamente dall’Amministrazione, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario. Tanto più erronea, aggiunge la ricorrente Agenzia, si appalesa tale conclusione, laddove si consideri che, comunque, il preteso vizio configurerebbe al più una nullità, sanabile e sanata, nel caso di specie, dall’avvenuta proposizione del ricorso contro l’accertamento impugnato, proposto nei termini di decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo, raddoppiati D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 43, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972 ex art. 57, comma 3, come introdotti dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, commi 24-26, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248.
- Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il giudice a quo erroneamente imputato all’Amministrazione il mancato rinvenimento, nel fascicolo d’appello, dell’avviso di ricevimento della notifica a mezzo posta in questione, benché la sentenza di primo grado desse atto della relativa produzione, per cui la CTR avrebbe dovuto disporre la ricerca del documento da parte della cancelleria e, in caso di esito negativo, disporne la ricostruzione.
- Deve premettersi che la circostanza che la ricorrente Agenzia, nella rubrica del primo motivo, ha menzionato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in luogo dello stesso articolo, n. 3, non esclude l’ammissibilità della censura, il cui contenuto è inequivocabilmente diretto a criticare l’errore di diritto imputato alla CTR nel decidere in ordine alla disciplina della notifica dell’accertamento ed alle conseguenze che si riverberano su quest’ultimo, e sul rapporto tributario, dalla sua violazione.
Tanto premesso, i primi due motivi, per la loro connessione, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati, nei limiti che si diranno.
3.1. Infatti, costituisce un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che la natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento (Cass., Sez. U, 05/10/2004, n. 19854. Conforme, ex plurimis, Cass. Sez. 5, Sentenza 31/01/2011, n. 2272). Altrettanto consolidato è l’ulteriore sviluppo dello stesso principio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale l’effetto sanante derivante dal conseguimento dello scopo, avuto riguardo alla funzione della notifica dell’atto impositivo, sì verifica anche quando quest’ultima sia inesistente.
E’ stato infatti chiarito che, in tema di atti d’imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa d’efficacia, sicchè la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte dei contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio (Cass., 24/04/2015, n. 8374. Conforme, ex plurimis, Cass., 24/08/2018, n. 21071 e, con ulteriore specifico riferimento all’ipotesi nella quale la notifica dell’accertamento sia inesistente, Cass., 30/01/2018, n. 2203 del 30/01/2018).
Inoltre, con riferimento alla notifica degli atti processuali, è stato precisato (Cass., 20/07/2016, n. 14916) che l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
3.2. Tanto premesso, ha quindi errato il giudice a quo nel ritenere che “qualora sia accertata la giuridica inesistenza della notificazione di un atto (…) quest’ultimo, in quanto non notificato, è come se non esistesse ed è comunque privo di effetti giuridici nei confronti del contribuente.”.
Tale affermazione, infatti, si fonda su un preteso automatismo (tra vizio della notifica ed inesistenza dell’accertamento notificato) che non ha preso in considerazione il dato, oggettivo ed incontestato, della tempestiva proposizione, da parte dello stesso destinatario dell’atto, di ricorso giurisdizionale avverso quest’ultimo, da valutare, in punto di fatto, in termini di possibile conseguimento dello scopo, rilevante ove si collochi cronologicamente prima della decadenza dell’Amministrazione dal relativo potere impositivo.
Peraltro, come ha dedotto la ricorrente, al fine di determinare la scadenza del relativo termine decadenziale entro il quale l’Ufficio poteva esercitare il potere impositivo, non potrà omettersi di considerare, in fatto, la sussistenza, o meno, dei presupposti (violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) del raddoppio del medesimo termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, commi 24-26, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248.
Infatti, a differenza di quanto eccepito dalla parte controricorrente, la relativa questione non è emersa per la prima volta in questa sede, atteso che ad essa ha invece fatto riferimento espresso la stessa motivazione della sentenza impugnata, sebbene in una parte resa ad abundantiam, come infra si dirà. Tale riferimento alla questione, per quanto non configuri, per le ragioni che di seguito saranno esposte, una decisione sul punto, è infatti sintomatico della sua appartenenza già al giudizio di merito.
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai primi due motivi di ricorso accolti e la causa va rinviata al giudice a quo affinché, in diversa composizione, in ottemperanza ai principi già esposti, esegua gli accertamenti di fatto relativi alla verifica dell’avvenuto, o meno, utile conseguimento dello scopo della conoscenza dell’atto da parte del suo destinatario, attraverso la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso quest’ultimo, nei termini di decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, previo accertamento della ricorrenza o meno dei presupposti del loro raddoppio.
Nel caso di accertato conseguimento dello scopo, lo stesso giudice a quo dovrà quindi decidere, previo il compimento degli accertamenti in fatto eventualmente necessari, su tutte le altre questioni rimaste assorbite nella sentenza impugnata.
- Con il terzo motivo, l’Ufficio ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2012, n. 212, art. 12, comma 7, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che l’accertamento fosse invalido per essere stato emesso prima che maturasse il termine dilatorio disposto dalla norma citata (sessanta giorni dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, salvo casi di particolare e motivata urgenza).
Il motivo è inammissibile, atteso che la CTR, dopo aver deciso circa l’inesistenza dell’accertamento a causa dell’inesistenza della sua notifica, dando contemporaneamente atto della portata assorbente di tale statuizione rispetto ad ogni ulteriore questione, ha consumato il proprio potere decisorio.
Pertanto, ogni ulteriore statuizione, emessa ad abundantiam (dal penultimo capoverso di pag. 3 della sentenza sino al terzultimo capoverso di pag. 4) dalla CTR nella sentenza impugnata, non ha natura decisoria e non può essere legittimo oggetto di impugnazione (cfr. Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840 e succ. conf.).
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo, nei termini di cui in motivazione, e dichiara inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2019
COMMENTO
In accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, l’ordinanza in commento ribadisce il principio per cui la natura sostanziale e non processuale (né ad essa assimilabile) dell’avviso di accertamento tributario (atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’Amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria) non è di ostacolo all’applicazione di istituti propri del diritto processuale.
Tale principio vale soprattutto in materia di notificazioni, laddove la disciplina speciale tributaria (i.e.: art. 60 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) opera un espresso richiamo alle norme processuali in materia di notificazioni civili (artt. 137 e ss. c.p.c.). Tale richiamo comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per le notificazioni degli atti processuali civili, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.
L’effetto sanante, che deriva dal raggiungimento dello scopo, avuto riguardo alla funzione della notifica dell’atto impositivo, sì verifica anche quando quest’ultima sia inesistente.
La notificazione non è infatti un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, bensì una mera condizione integrativa dell’efficacia di quest’ultimo; di conseguenza, la sua inesistenza o invalidità non determina automaticamente l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti in maniera inequivocabile la piena conoscenza da parte dei contribuente.
Tanto in caso di notifica nulla, come in quello di notifica inesistente, la sanatoria per raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 3, c.p.c.) può peraltro operare solo se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento, previsto dalle singole leggi d’imposta (Cass. civ., Sezioni Unite, 05.10.2004 n. 19854 e successive conformi). L’onere probatorio di tale tempestività grava sull’Amministrazione finanziaria, titolare del potere di accertamento (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 27.02.2009 n. 4760; Cass. civ., sez. V, 09.06.2010 n. 13852; Cass. civ., sez. V, 24.04.2015 n. 8374; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 12.09.2016 n. 17941; Cass. civ., sez., 05.10.2016 n. 19841; Cass. civ., sez. V, 20.12.2017 n. 30563; Cass. civ., sez. V, ord., 25.05.2018 n. 13093; Cass. civ., sez. V, ord., 24.08.2018 n. 21071 e, con specifico riferimento alla notifica inesistente, Cass. civ., sez. VI-5, ord., 30.01.2018 n. 2203).
L’ordinanza in commento ribadisce in ogni caso l’assoluta eccezionalità del vizio di inesistenza della notifica la quale, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, è configurabile solo in caso di totale mancanza materiale dell’atto oppure nelle ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione. Tali elementi costitutivi essenziali consistono:
- nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato per legge della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato;
- nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi “ex lege” eseguita), restando esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, e quindi omessa.
Tutte le altre ipotesi di difformità dal modello legale devono invece essere ricondotti nella categoria della nullità.
In applicazione di tali principi, viene riformata la sentenza di secondo grado che, in presenza di un vizio di notifica, aveva comminato automaticamente la sanzione dell’inesistenza dell’accertamento notificato, senza considerare la tempestiva proposizione di ricorso giurisdizionale da parte del destinatario.
La Corte di Cassazione, tuttavia, dispone un annullamento con rinvio al giudice di merito, al fine di valutare, in punto di fatto, se la proposizione del ricorso sia avvenuta entro oppure oltre la scadenza del termine di decadenza dell’Agenzia delle Entrate dall’esercizio del proprio potere impositivo, previo accertamento della ricorrenza o meno dei presupposti per il raddoppio di tali termini.
Alla fattispecie in esame sono infatti applicabili, ratione temporis, l’art. 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e l’art. 57, comma 3, D.P.R. 633/1972, come introdotti dall’art. 37, commi 24-26, D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni in Legge 04 agosto 2006 n. 248 (che prevedevano entrambi il raddoppio dei termini di decadenza in caso di violazione che comportasse l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.lgs. 10 marzo 2000 n. 74). Sebbene tale previsione sia stata espunta dal testo attuale delle predette norme (così come modificate dall’art. 1, commi 130 e 131, Legge 28 dicembre 2015 n. 208), la stessa resta applicabile ratione temporis, stante quanto previsto dall’art. 1, comma 132, Legge 208/2015 (secondo cui “Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni”).
Nella fattispecie, diviene quindi rilevante accertare se la proposizione del ricorso sia avvenuta entro il termine di decadenza imposto all’Amministrazione finanziaria per l’esercizio del suo potere impositivo oppure oltre tale termine, potendo l’efficacia sanante del raggiungimento dello scopo operare unicamente nel primo caso. Onde compiere tale accertamento, diviene altresì necessario accertare preliminarmente se il predetto termine di decadenza sia raddoppiato oppure no, ai sensi della normativa sopra citata. Trattandosi di accertamenti di fatto, preclusi al Giudice di legittimità, la Corte di Cassazione dispone quindi un annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, affinché accerti l’effettiva sussistenza della sanatoria per raggiungimento dello scopo della notifica ed affinché, in caso affermativo, decida nel merito su tutte le altre questioni rimaste assorbite nella sentenza impugnata.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano-Roma