Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, sez. I, 26 gennaio 2023 n. 394


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con il gravame proposto in data 22/06/2020, il sig. F. I. C. ha impugnato la sentenza della C.T.P. di Roma – Sez. 20 n. 13124/20/2019 del 25/09 – 11/10/2019, che ha respinto (con condanna alle spese per euro 700,00, oltre accessori) il suo ricorso avverso il silenzio/rifiuto all’istanza di rimborso presentata per la restituzione delle imposte trattenute dalla società “M. F.”, suo datore di lavoro e sostituto di imposta, sulle somme pagate in ottemperanza delle sentenze emesse dal Tribunale di Tempio Pausania e dalla Corte di Appello di Cagliari, che condannavano il predetto sostituto di imposta al pagamento delle differenze retributive e contrattuali connesse alla ricostruzione di carriera e al pagamento dell’indennità ex art. 32 L. n. 183/2010per illegittima reiterazione dei contratti a termine.

Valore dichiarato della controversia: euro 5.909,00.

Il ricorrente ne aveva eccepita l’illegittimità, sostenendo il suo diritto al rimborso dell’IRPEF indebitamente trattenutagli e la non debenza di quella richiestagli a conguaglio per tassazione separata, perché l’indennità percepita ha natura di danno emergente, non assoggettabile ad imposizione fiscale.

  1. Con la sentenza impugnata, la C.T.P. ha respinto il ricorso, rilevando l’infondatezza dei motivi di gravame, in quanto l’indennità percepita, previa sua qualificazione in diritto del lavoro, ha natura di lucro cessante ed in quanto tale soggetta a tassazione (separata), perché – secondo giurisprudenza pacifica – somme che risarciscono il mancato guadagno e/o il danno meramente economico, anche in prospettiva futura (perdita di chance).
  2. Eccepisce l’appellante contribuente l’illegittimità della sentenza impugnata, sostenendo:

3.1) l’erronea qualificazione del danno da lui patito e la natura risarcitoria dell’indennità, come affermato dal giudice del lavoro, stabilendo che la somma a lui corrisposta ha natura di “indennità risarcitoria” (pag. 9 Sentenza Corte d’appello, riga 24 e ss.)” affermando altresì che “…va ritenuto che l’indennità di cui all’art. 32 Legge 183/2010 avendo natura risarcitoria debba essere corrisposta al netto della contribuzione…“;

3.2) la legge in materia di conversione dei contratti da determinato a indeterminato di cui all’art. 32 Legge 4 Novembre 2010 n. 183, comma 5 (modificata, a seguito dalla entrata in vigore della L. 183/2014, ed è attualmente disciplinata dall’art. 28, comma secondo, D.lgs.vo 81/2015), ha natura di legge speciale volta a risarcire il lavoratore del danno derivante dallo stato di grave precarietà occupazionale conseguente alla reiterata e indebita stipula di contratti a tempo determinato, protratto oltre i tassativi limiti e presupposti di legge;

3.3) in ordine alla natura del risarcimento, dirimente ai fini della risoluzione del caso di specie, risulta la circostanza che nel caso in esame sussiste la lesione del c.d. principio del “neminem laedere” di cui all’art 2043 c.c. per cui “qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno” che disciplina il c.d. danno extracontrattuale;

3.4) va sottolineato altresì come la Corte Cost. 303/2011 abbia affermato come il risarcimento in esame, quale quello riconosciuto all’attuale appellante, abbia natura sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro, tant’è che la corresponsione della stessa è dovuta anche qualora il lavoratore trovi altro impiego presso altro datore di lavoro e, quindi, altre fonti di reddito; appare evidente quindi la natura risarcitoria del danno da lui subito, mancando una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi.

Conclude chiedendo: di riformare la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato a pag. 3 riga 11 e 12: “… tale riferimento preciso non risulta nemmeno nella motivazione delle sentenze riferite all’odierno ricorrente”; sostituire la parte indicata con le seguente: “la Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari – all. 3 al ricorso di primo grado, ha esplicitato la natura della somma corrisposta al Sig. I. C. quale “indennità risarcitoria” (pag. 9 Sentenza, riga 24 e ss.)” affermando altresì che “…va ritenuto che l’indennità di cui all’art. 32 Legge 183/2010 avendo natura risarcitoria debba essere corrisposta al netto della contribuzione e pertanto avendo parte appellante subito un danno ingiusto ex art 2043 c.c. e attesa la natura sanzionatoria dell’indennità, le somme a lui corrisposte non dovevano essere assoggettate a tassazione alcuna, con conseguente diritto alla restituzione” e per l’effetto accogliere l’appello in quanto fondato in fatto e in diritto e pertanto condannare l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Roma, in persona del suo Direttore pro-tempore a rimborsare al sig. I. C. tutte le somme indebite trattenute, per un ammontare complessivo pari a euro 5.767,52, e, per l’effetto, annullare la comunicazione n. 0000531415201 del 10.10.2017 contenente la richiesta dell’ulteriore somma di euro 141,62 a titolo di imposta.

  1. Resiste l’appellata Agenzia delle Entrate con atto di controdeduzioni prodotto in data 15/07/2020, con il quale contrasta le avverse motivazioni, sostenendo la legittimità della sentenza impugnata, in quanto:

4.1) in via preliminare, occorre verificare la ritualità e tempestività del ricorso di parte e dichiararne l’inammissibilità qualora sia stato proposto in violazioni alle disposizioni di cui agli artt. 19, 20 e 21 del D. Lgs. 546/92;

4.2) nel merito, si osserva che il primo periodo del comma 2 dell’art. 6 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) stabilisce che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti; con riferimento alle indennità risarcitorie, la norma in esame prevede l’assoggettabilità a tassazione solo delle indennità dirette a sostituire un reddito non conseguito, quindi, dirette a risarcire il c.d. lucro cessante;

4.3) conformemente a giurisprudenza di legittimità (citata), si ritiene che l’indennità onnicomprensiva, aggiuntiva rispetto alla conversione del rapporto lavorativo, costituisca provento conseguito in sostituzione di redditi a titolo di risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi (le retribuzioni dovute e quantificate forfettariamente dal Giudice per il periodo intermedio) e, come tale, va inquadrata nella categoria dei redditi di lavoro dipendente (articoli 49 e 51 del TUIR);

4.4) posto che l’indennità percepita ai sensi dell’articolo 32, comma 5, della Legge n. 183 del 4 novembre 2010 è soggetta a tassazione, la stessa va assoggettata al regime di tassazione separata in base alle disposizioni recate dagli artt. 17, comma 1, lettera i), e 21 del T.U.I.R.

4.5) l’infondatezza delle contestazioni di controparte, rassegnate nel presente atto, giustifica, con tutta evidenza, la condanna del ricorrente alle spese.

Conclude chiedendo: respingere le richieste di parte confermando in toto la decisione impugnata, con la conseguente conferma dell’operato dell’Ufficio e condannare la parte appellante al pagamento delle spese di giudizio.

  1. Replica l’appellante con memoria prodotta in data 27/10/2021, con la quale ribadisce le proprie ragioni ed insiste nelle conclusioni già formulate.
  2. All’odierna pubblica udienza, dopo che le parti hanno precisato e confermato le proprie rispettive conclusioni, la causa è passata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. L’appello proposto dal contribuente è da ritenersi fondato e va quindi accolto nei limiti e per i motivi di seguito esposti.

La controversia concerne il silenzio/rifiuto su di una richiesta di rimborso, contestato dal ricorrente. Il primo giudice non ha condiviso le ragioni del contribuente; di ciò si duole l’interessato; resiste l’Agenzia delle Entrate.

La decisione della C.T.P. non è condivisibile e va quindi riformata.

  1. Il contribuente si duole che sia stata assoggettata a tassazione l’indennità risarcitoria riconosciutagli spettante dal giudice del lavoro per l’indebita reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato.

In effetti il giudice del lavoro ha sanzionato l’illegittimità del reiterato rapporto lavorativo subordinato a termine, intercorso con il datore di lavoro, in quanto i relativi contratti erano stati stipulati in violazione della normativa di settore che privilegia, in via di principio, la stabilità del rapporto connessa all’assunzione a tempo indeterminato, salvo eccezionali motivi non riconosciuti ricorrenti nella vicenda. Del resto, l’ordinamento giuridico non può tollerare prassi contrattuali pregiudizievoli dell’ordinato svolgimento del mercato del lavoro.

Come già ricordato supra, per effetto delle sentenze civili, è stata attribuita all’interessato (anche) l’indennità risarcitoria prevista dalla legge quale ristoro del danno patito (quantificata in sette mensilità della retribuzione globale di fatto). Quest’ultimo va qualificato quale danno emergente, concretizzandosi in una perdita di chance (la stabilizzazione invece della precarietà occupazionale sofferta), rivestendo quindi una natura risarcitoria (peraltro al netto della contribuzione, come precisato dal giudice del lavoro) ed in quanto tale non assoggettabile a tassazione, perché non costituente reddito, anche perché percepita in assenza di una corrispondente controprestazione lavorativa.

A tale conclusione si giunge facendo riferimento al fatto costitutivo dell’obbligazione risarcitoria da individuarsi nell’illegittima precarizzazione del rapporto, con la conseguenza che l’indennità che la risarcisce non può essere assoggettata a tassazione.

A nulla rileva, infine, la circostanza che l’indennità sia commisurata alla retribuzione, trattandosi di un criterio di quantificazione stabilito dal legislatore.

  1. Ne consegue, in definitiva, che l’appello proposto dal contribuente va accolto per quanto fin qui esposto e la decisione della C.T.P. impugnata va pertanto in tal senso riformata.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis per le affermazioni più risalenti Cass. Civile – Sezione II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. Civile – Sezione V 16 maggio 2012 n. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Ricorrono idonei motivi per disporre la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, considerati gli orientamenti giurisprudenziali finora contrastanti.

P.Q.M.

Accoglie l’appello del contribuente come in motivazione. Spese compensate del doppio grado di giudizio.

Così deciso nella Camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2022.


COMMENTO REDAZIONALE – In accoglimento dell’appello del contribuente, la pronuncia in commento esclude l’assoggettabilità a tassazione dell’indennità liquidata dal giudice in favore del lavoratore per l’illegittima reiterazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.

Il danno patito dal lavoratore per tale illegittima reiterazione deve infatti essere qualificato come un danno da perdita di chance (quest’ultima consistente nella stabilizzazione del rapporto lavorativo) e, quindi, come un danno emergente, poiché il fatto generatore dell’obbligazione risarcitoria consiste nell’illegittima precarizzazione del rapporto lavorativo.

Pertanto, la relativa indennità riveste natura risarcitoria e, come tale, non può essere assoggettata a tassazione, poiché non costituente reddito.

Conferma tale tesi la circostanza che la predetta indennità sia stata percepita in assenza di una corrispondente controprestazione lavorativa.

Non vale infine, in senso contrario, la circostanza che l’indennità sia commisurata alla retribuzione, trattandosi di un mero criterio di quantificazione stabilito dal Legislatore, che non esclude la natura risarcitoria dell’indennità medesima.