Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Napoli, sez. XXXVII, 23 gennaio 2023 n.515
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato il 28.7.2021 (e dep. in data 6.12.2021) T. L. proponeva opposizione avverso 2 Estratti di Ruolo datati 26.7.2021 rilasciati dal Concessionario del Servizio di Riscossione (Agenzia delle Entrate-Riscossione, già Equitalia Servizi di Riscossione spa) relativi alle seguenti 2 cartelle:
- (OMISSIS…) Irpef e Iva 2013
2 (OMISSIS…) Tarsu 2011 Comune Quarto
Assumeva a sostegno:
– l’assenza della notifica delle cartelle;
– l’intervenuta prescrizione/decadenza.
Si è costituita in giudizio la resistente Concessionaria (ADER) depositando fascicolo e controdeduzioni.
E’ intervenuta in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate, DP1 di Napoli.
All’udienza del 25.3.2022 la CTP evidenziava che ADER aveva chiesto la chiamata in causa degli Enti Impositori ed autorizzava la richiesta nei confronti del Comune di Quarto che (a differenza di DP1) non era intervenuto.
A seguito di ciò si costituiva anche il Comune di Quarto depositando controdeduzioni ed eccependo espressamente l’inammissibilità dell’impugnativa dell’estratto ruolo, alla luce altresì la più recente giurisprudenza delle SS.UU.
Fissata l’udienza per la trattazione (di cui è stato dato regolare avviso alle parti), sentita l’esposizione del relatore questa Commissione ritiene di dover sollevare:
questione di costituzionalità incidentale della norma di cui allo art. 12 comma 4 bis D.P.R. 602/73 così come modificato dall’art. 3 bis D.L. 21.10.2021 n. 146 (convertito nella legge 17.12.2021 n. 215) dal momento che esclude l’immediata impugnabilità del Ruolo/Cartella di Pagamento limitandola alle sole ipotesi in cui l’iscrizione a Ruolo determini uno dei seguenti pregiudizi:
– ostacolo alla partecipazione a una procedura di appalto (per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50);
– impedimento alla riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del Regolamento di cui al Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente Decreto;
– perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione—
(si dubita altresì della costituzionalità della stessa norma nella parte in cui – per le limitate ipotesi di immediata impugnabilità – richiede che il ricorrente/presunto debitore debba dimostrare l’attualità dei pregiudizi di cui sopra).
PREMESSA
Va innanzitutto evidenziato che nel caso in esame il ricorso non è diretto contro l’Estratto di Ruolo tout court (che in sé altro non è che una certificazione/rappresentazione del Ruolo-Titolo Esecutivo) bensì investe l’intera pretesa tributaria dell’Ente, che si chiede di annullare. Pertanto sussiste l’interesse ad agire dell’istante atteso che la domanda è relativa al merito della pretesa (nella specie si chiede dichiararsi l’intervenuta prescrizione).
Va ancora rilevato che la presente controversia risulta introdotta prima della novella di cui al D.L. 146/21.
Tuttavia, come ormai affermato costantemente in giurisprudenza essa costituisce norma processuale di immediata applicazione e pertanto ne va fatta applicazione anche nel presente giudizio (sul punto si v. infra Cass. SS.UU. 26283/22).
Infine va da subito evidenziato che la questione di legittimità costituzionale è rilevante solo per la cartella n. OMISSIS (Tarsu del 2011 pretesa dal Comune di Quarto).
Infatti per l’altra cartella (la n.ro OMISSIS avente ad oggetto Irpef ed Iva per il 2013) l’Agenzia della Riscossione, costituendosi in giudizio, ha esibito varie notifiche: sia la notifica della cartella (effettuata tramite deposito alla CCIA perché la casella PEC obbligatoria non risultava attiva), sia quella di una successiva INTIMAZIONE DI PAGAMENTO (n. OMISSIS relativa anche a molte altre cartelle) che risulta avvenuta a mezzo posta a mani della madre convivente e con il successivo invio della debita CAN.
Siccome avverso detti atti non risulta proposta nessuna impugnazione occorrerà valutare innanzitutto la sussistenza della giurisdizione del G.T. e successivamente la validità di dette notifiche e l’ammissibilità o meno della domanda. La questione di legittimità costituzionale che si solleva quindi con la presente ordinanza non incide affatto sulla decisione che deve assumersi su tale parte della domanda.
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Viceversa per la cartella in tema di Tarsu, ADER ha esibito una notifica che risulta effettuata il 20.10.2012 a familiare convivente (OMISSIS, che come si ricava dalle altre notifiche esibite è la mamma del ricorrente).
Tuttavia per tale notifica non risulta effettuata la debita CAN e comunque non risultano esibite notifiche di ulteriori atti che possano avere interrotto la prescrizione (è vero che ADER ha esibito una congerie di notifiche, fra cui è spesso difficile districarsi, ma le stesse sono in gran parte relative ad atti che non risultano qui impugnati ovvero sono relative ad avvisi di deposito/giacenza che non permettono di individuare l’atto a monte cui essi si riferiscono).
Nemmeno il Comune di Quarto ha esibito alcunché essendosi solo limitato a costituirsi e ad effettuare la generica impugnativa del ricorso, eccependo in particolare l’inammissibilità dello stesso in quanto diretto avverso Estratto di Ruolo.
Per tali motivi la notifica di tale cartella è nulla (ed improduttiva di effetti) e rende pertanto rilevante la questione dell’ammissibilità o meno dell’impugnativa immediata del Ruolo come meglio argomentato infra.
SULLA INTERPRETAZIONE DELLA NORMA
Com’è noto il processo tributario è strutturato come processo di tipo “impugnatorio” (con esclusione di azioni di mero accertamento) e la tutela dei diritti si attua attraverso il ricorso contro gli atti ritenuti lesivi degli stessi.
L’art. 19 del D. Lvo 546/92 (sul processo tributario) è espressione di tale principio ed al comma 3 prevede che gli atti non notificati possono essere impugnati unitamente all’atto successivo.
Dottrina e Giurisprudenza hanno discusso a lungo sulla possibilità di impugnare il Ruolo e di chiederne l’annullamento indipendentemente dalla notifica della Cartella (atto tipico che lo conteneva, almeno fino alla riforma dei c.d. accertamenti impo-esattivi).
In estrema sintesi: la Cass. a SS.UU. (sent. 19704/2015) ebbe a sancire l’immediata impugnabilità del Ruolo in mancanza di notifica della Cartella senza dover necessariamente attendere la notifica di un atto successivo, e ciò in base ad una lettura dell’art. 19 citato, orientata alla tutela del diritto di difesa previsto in Costituzione.
Infatti (a parte il rilievo che il Ruolo, sia pur dematerializzato e sia pure non notificato poteva essere sempre inteso come “atto” e quindi impugnabile) si metteva in luce che a causa dell’esecutività del Ruolo non impugnato il contribuente rischierebbe di vedersi esposto ad una procedura esecutiva con tutela solo risarcitoria e quindi “postuma” dei suoi diritti (e la giurisprudenza ha opportunamente chiarito che la mancanza/nullità della notifica non inficia di per sé il Ruolo e/o la Cartella, ma rende possibile l’esame del merito della pretesa, in funzione recuperatoria al fine di contestarne l’attualità ad es. per l’intervenuta prescrizione).
Dopo le SS.UU. del 2015 si è assistito ad una serie di ricorsi avverso il Ruolo (la cui esistenza viene documentata attraverso il rilascio di appositi “Estratti Ruolo”) sul presupposto della mancanza di notifica della cartella, cioè dell’atto impositivo che lo conteneva (ma ai fini del presente discorso è indifferente che si tratti di Ruolo/Cartella ovvero di accertamento impo-esattivo).
Per porre rimedio a tale proliferazione di ricorsi il Legislatore ha adottato la norma sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale (art. 3 bis D.L. 146/21 come modificato dalla L. di conversione 215/21) del seguente tenore:
- All’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:
«4-bis. L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
E la S.C. a SS.UU. (sent. 06/09/2022, n. 26283) con un ragionamento piuttosto complesso ed articolato ha sancito che tale norma si applica anche ai processi pendenti, qualificandola come una condizione dell’azione di natura “dinamica” e quindi con dimostrazione a carico della parte che deve così dar prova dell’attualità del suo interesse ad agire (e cioè della sussistenza delle ipotesi previste dalla norma stessa).
E sempre le SS.UU. hanno chiarito che i casi di impugnabilità diretta del Ruolo (previsti dalla norma qui in esame) sono tassativi e non suscettibili di allargamento da parte dell’interprete.
Le SS.UU. del 2022 hanno ritenuto di dover mutare l’orientamento espresso dalle SS.UU. del 2015 (concludendo per la non impugnabilità del c.d. Estratto Ruolo o meglio: per la non diretta impugnabilità del Ruolo – eccezion fatta per i casi tassativamente previsti dallo stesso comma 4 bis) evidenziando il mutato quadro normativo/giurisprudenziale, anche con riferimento alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018 (e segnatamente alla possibilità delle opposizioni ex art. 615 cpc – innanzi al GO – per tutte le questioni successive alla notifica della cartella).
Infine le SS.UU. hanno valutato le varie questioni di legittimità costituzionale della nuova norma, adombrate da più parti, ritenendole manifestamente infondate con articolati e dotti ragionamenti in cui hanno fatto spesso riferimento alla ratio della norma, tesa ad evitare giudizi pretestuosi.
SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE
Così precisato il quadro normativo risultante dall’interpretazione delle SS.UU. di cui sopra (cui questa Corte Tributaria deve necessariamente aderire) appare evidente la rilevanza della questione.
Infatti, applicando la norma, il ricorso (in parte qua) è destinato ad essere dichiarato inammissibile perché si tratta di impugnativa del c.d. Estratto di Ruolo (rectius: impugnativa immediata del Ruolo a prescindere dalla notifica di un atto) al di fuori delle ipotesi previste dal comma 4 bis.
Viceversa, laddove la norma dovesse essere ritenuta contraria alla Carta Costituzionale (nella parte in cui essa non consente l’impugnativa diretta al di fuori delle ipotesi da essa stessa previste) appare evidente che il ricorso dovrebbe essere accolto.
Infatti è pacifico che la prescrizione in tema di tributi locali è di 5 anni (sul punto la giurisprudenza ritiene applicabile la norma di cui all’art. 2948 cod. civ. per tutti quei tributi che devono “pagarsi periodicamente ad anno” e ciò senza valutare la decadenza del pari quinquennale a norma dell’art. 1 comma 161 L. Finanziaria 2007).
E poiché la Tarsu è relativa all’anno 2012 e non vi sono atti validi notificati la relativa pretesa dovrebbe essere dichiarata prescritta.
SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ E SULLE DISPOSIZIONI CHE SI RITENGONO VIOLATE
Questa Corte Tributaria dubita della legittimità della norma di cui sopra (sia come sospetto di illegittimità totale che di illegittimità parziale) in relazione alle disposizioni costituzionali e per i motivi appresso indicati.
Art. 3 della Costituzione
Sussiste il dubbio che la norma violi il principio di uguaglianza sotto più profili (si precisa che i rilievi che seguono sono in parte comuni anche alla ritenuta violazione del diritto di difesa di cui infra).
1) Innanzitutto la tutela avverso la pretesa tributaria è diversa (e deteriore) laddove sia competente il GT rispetto alla tutela accordata innanzi al G.O. per le medesime ipotesi e per le medesime ragioni.
Con l’importante sentenza 114/2018 la Corte Costituzionale ha sancito l’ammissibilità delle opposizioni ex art. 615 cpc (innanzi al G.O.) laddove esse non riguardino “contestazioni del titolo” che invece sono riservate al G.T.
Tale sentenza si inseriva nel solco delle SS.UU. del 2015 completando la tutela del contribuente. Il Ruolo risultava sempre impugnabile: innanzi al G.T. in mancanza di notifica di un atto (funzione recuperatoria) ed innanzi al G.O. per le questioni successive che non riguardavano più il titolo (in mancanza di impugnazioni l’avvenuta notifica cristallizzava la pretesa tributaria).
La riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle SS.UU. del 2022 hanno cambiato notevolmente il quadro e reso oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al G.T.
Si pensi ad es. alla prescrizione: laddove essa venga fatta valere contro una cartella che si assume non notificata l’impugnativa va fatta al G.T. ma non è più possibile in via immediata: occorrerà attendere la notifica di un atto successivo (magari esecutivo) per poter contestare la pretesa (con evidenti rischi di tutela meramente risarcitoria).
Viceversa, laddove si discuta di prescrizione successiva alla notifica della cartella (e non vi sia contestazione di tale notifica) la giurisdizione – come da insegnamento della stessa S.C. – spetta al G.O. In tal caso sarà possibile l’opposizione ex art. 615 cpc e la tutela sarà esperibile immediatamente indipendentemente dalla notifica di un ulteriore atto e sine die (e con tutti i poteri riconosciuti dal codice di rito al G.O.).
Ciò costituisce una disparità di trattamento, ma aggrava anche le possibilità di tutela effettiva (v. meglio infra).
2) Ma il dubbio di costituzionalità sussiste anche perché le ipotesi di cui al comma 4 bis non esauriscono tutti i possibili pregiudizi che si possono avere dal permanere di un’indebita iscrizione a Ruolo.
La norma ha il chiaro intento di salvaguardare il contribuente individuando i pregiudizi che potrebbero derivargli dall’impossibilità di procedere ad impugnazione immediata del Ruolo.
Tuttavia limita tale impugnabilità diretta a solo 3 ipotesi che sono relative ai seguenti pregiudizi: 1) mancata possibilità di partecipare ad una procedura d’appalto (esclusa per chi non sia in regola con gli obblighi fiscali) – 2) impossibilità di riscuotere somme dovute da soggetti pubblici (che sono tenuti a bloccarle laddove vi sia un debito verso una P.A.) – 3) perdita di un beneficio nei rapporti con la P.A. (in dipendenza della debitoria portata dal Ruolo).
Orbene vi sono ulteriori pregiudizi derivanti dall’iscrizione a Ruolo e che resterebbero fuori dalla tutela immediata:
– la stessa possibilità di subire l’esecuzione senza poter preventivamente paralizzare la pretesa (ma dovendosi necessariamente ad affidare ad una tutela di urgenza, in presenza magari di un pignoramento di uno stipendio) costituisce un pregiudizio ;
– una P.A. che fosse tenuta ad effettuare un rimborso od un versamento al contribuente potrebbe (e ciò si verifica spesso nella pratica quotidiana) tentare una compensazione col debito iscritto a Ruolo: ciò non costituisce una “impossibilità di riscuotere somme” (che rientrerebbe nelle ipotesi di cui al comma 4 bis) bensì una modalità di rimborso diversa, che comunque penalizza il contribuente che pur ritenendo di non essere debitore non può agire immediatamente contro il Ruolo;
– gli Istituti di Credito (pur non potendo accedere direttamente all’anagrafe tributaria) sono molto attenti ai debiti tributari ed un’impresa che esponesse debiti fiscali in bilancio (anche se risalenti e con indicazione della contestazione degli stessi) vedrebbe senza dubbio peggiorare il suo rating e avrebbe difficoltà per l’accesso al credito, almeno non a condizioni ottimali (senza contare che per concedere un finanziamento la Banca può tranquillamente pretendere un estratto della posizione fiscale del soggetto).
E tale pericolo sussiste per qualsiasi altro mutuo, anche in favore di soggetti non esercenti attività di impresa.
Si pensi ancora alle segnalazioni che a norma del Codice della Crisi d’Impresa le Agenzie Fiscali, l’Inps etc. sono obbligati ad inviare alle Imprese in mora con i pagamenti all’Erario (soprattutto al fine di valutare l’instaurazione di una procedura di Composizione Negoziata della Crisi): anche questo costituisce un campanello d’allarme che condiziona pesantemente l’accesso al credito (v. art. 25 novies C. Crisi Impresa che obbliga i “creditori qualificati” a segnalare l’esistenza di debiti anche di importo non elevato con comunicazione da inviare anche agli Organi di Controllo).
Tutti i casi di cui sopra evidenziano quindi l’esistenza di gravi pregiudizi per il contribuente che possono essere eliminati solamente con la definizione della posizione fiscale che però non è possibile ottenere in via giudiziale a differenza della tutela dai (soli) pregiudizi previsti dal comma 4 bis: cosa che integra disparità di trattamento (oltre a limitare il diritto di difesa).
Art. 24 e 113 della Costituzione
Si dubita che la norma in esame possa comprimere in maniera ingiustificata il diritto di difesa giurisdizionale, costituzionalmente garantito (anche a livello CEDU e di diritto dell’Unione) e che la norma abbia in effetti fatto regredire la possibilità di tutela che era stata sancita dalle SS.UU. del 2015 e dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018.
Ciò sotto diversi profili:
– valgono innanzitutto le motivazioni adottate dalla precedente sentenza delle SS.UU. (n. 19704/2015 poi superata dalle SS.UU. del 2022): nelle ipotesi non contemplate dal comma 4 bis per poter impugnare il Ruolo il contribuente è costretto ad attendere la notifica di un atto successivo che però spesso è un atto esecutivo (ad es. il pignoramento o comunque la minaccia di un atto esecutivo-cautelare come il preavviso di fermo o di ipoteca). In tali casi il contribuente subisce un danno immediato (mancanza di disponibilità del bene: ad es. blocco di parte del suo stipendio) che non può in alcun modo prevenire se non ricorrendo alla tutela cautelare dopo aver subito tale pregiudizio;
– si è già visto supra che la tutela è deteriore innanzi al GT rispetto quella innanzi al G.O. e ciò (oltre a disparità di trattamento) costituisce un indubbia compressione del diritto di difesa nelle ipotesi in questione.
– analoga ed ingiustificata compressione del diritto di difesa si rinviene nelle ipotesi (sempre viste sopra per la sospettata violazione dell’art. 3 Cost. ed a cui si rimanda) in cui non si tutelano tutti i possibili pregiudizi derivanti dall’iscrizione a Ruolo;
– ad aggravare il vulnus di cui sopra si aggiunge l’obbligo di dimostrazione del pregiudizio (previsto espressamente dal comma 4 bis) cui il contribuente è tenuto per ottenere qualsiasi tipo di tutela.
E’ evidente (così come risulta chiaramente dalla sentenza delle SS.UU. del 2022) che la dimostrazione deve riguardare la attualità del pregiudizio: cioè si deve dimostrare che la tutela immediata è necessaria in relazione ad una situazione concretamente in atto e non solo potenziale.
Ciò vale per le stesse ipotesi previste dal comma 4 bis (e il rilievo limitato a tali sole ipotesi integra sospetto di parziale illegittimità costituzionale della norma), ma si tratta chiaramente di un principio generale da applicare in tutti i casi di tutela immediata (laddove essi dovessero essere ipotizzabili).
Così ad es. la tutela immediata prevista per evitare il pregiudizio per la partecipazione ad un appalto è possibile solo laddove sia stata almeno bandita la gara ed il contribuente dimostri la seria possibilità di parteciparvi (impedita però dalla sussistenza del debito fiscale).
Orbene è evidente che – anche per le ipotesi espressamente consentite dal comma 4 bis – una tutela effettiva può essere solo quella cautelare (se si attendesse il giudizio ordinario è quasi certo che nelle more la gara verrebbe espletata ed aggiudicata).
Ma anche la tutela cautelare penalizzerebbe pesantemente il diritto di difesa effettiva del contribuente: e ciò non solo e non tanto per la delibazione sommaria che la tutela cautelare prevede, ma soprattutto perché è verosimile che possa non giungere in tempo per i motivi più disparati.
E’ vero che il contribuente potrebbe anche presentare domanda di partecipazione e poi impugnare l’esclusione, ma ciò presuppone una proliferazione di giudizi – amministrativo e tributario – ed oltre a gravare e ritardare la stessa azione della P.A. costituirebbe un modo davvero difficoltoso di esercizio del diritto di difesa.
ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA RATIO DELLA NORMA IN ESAME
Si è già visto che spesso il tema viene affrontato con riferimento alla necessità di evitare giudizi pretestuosi e tale ratio viene invocata ad adiuvandum per escludere la manifesta fondatezza di questioni di legittimità costituzionale della norma.
Ed in effetti, dal punto di vista esclusivamente “pratico” vanno considerate le (evidenti) ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio (e sul punto si v. la Relazione Finale della Commissione Interministeriale per la riforma della giustizia tributaria – del 30.6.21 – che proprio per i ricorsi avverso gli Estratti Ruolo parla espressamente di impugnazioni pretestuose).
Tuttavia desta perplessità il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio.
A parte il rilievo che per i giudizi pretestuosi esistono già rimedi (si pensi alla condanna alle spese – alla condanna per lite temeraria etc.) ed a parte la considerazione che se un ricorso viene accolto forse l’impugnazione non può essere qualificata pretestuosa, va evidenziato che l’azione del Fisco gode già – giustamente – di particolari tutele e privilegi, sia sostanziali che processuali, e che gli stessi non possono giungere sino a condizionare la possibilità stessa di far valutare l’operato della P.A. da un giudice.
Ed in concreto il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa.
A parte il rilievo che fino ad Euro 50.000 opera l’istituto del reclamo obbligatorio (art. 17 bis D. L.vo 546/92 in base al quale l’Ufficio ha ben 90 giorni per vagliare la fondatezza dell’impugnativa impedendo così l’iscrizione a Ruolo) si sarebbe ad es. potuto prevedere un obbligo di ricorso amministrativo imponendo quindi all’Amministrazione di esprimersi sull’attualità della pretesa (e magari prevedere un’ipotesi di silenzio-accoglimento) invece di comprimere ingiustificatamente il diritto di difesa – oppure si sarebbe potuto impedire per legge qualsiasi azione esecutiva o cautelare prima della notifica di un nuovo atto ricognitivo.
Viceversa non sembra corretto (dal punto di vista costituzionale) tutelare l’esigenza di evitare azioni pretestuose con limitare fortemente la stessa possibilità di adire la giustizia.
P.Q.M.
la Commissione, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 comma 4 bis D.P.R. 602/73 così come modificato dall’art. 3 bis D.L. 21.10.2021 n. 146 (convertito nella legge 17.12.2021 n. 215) nei termini di cui in motivazione.
Per l’effetto dichiara sospeso il presente giudizio.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di Cassazione ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
Manda altresì per la comunicazione della presente ordinanza (in forma integrale) ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Dispone conseguentemente l’immediata trasmissione degli atti (ivi inclusa la documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni) alla Corte costituzionale.
COMMENTO REDAZIONALE – Con l’ordinanza in commento, la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Napoli solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 12, comma 4-bis D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, così come aggiunto dall’art. 3-bis, comma 1, D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, convertito con modificazioni nella Legge 17 dicembre 2021 n. 215.
Tale norma esclude radicalmente l’impugnabilità dell’estratto di ruolo e limita l’impugnabilità del ruolo e della cartella di pagamento, che si assuma invalidamente notificata, ai soli casi nei quali il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio:
- per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici);
- per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 18 gennaio 2008 n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602;
- o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una Pubblica Amministrazione.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto la nuova disciplina ragionevole e non arbitraria, poiché diretta ad assecondare le esigenze di riduzione del contenzioso e di contrasto della prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’Agente per la riscossione. Ne hanno quindi esteso l’applicabilità anche ai processi in corso al 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della Legge di conversione (Cass. civ., Sezioni Unite, 06 settembre 2022 n. 26283, già commentata su questa Rivista).
La predetta pronuncia delle Sezioni Unite ha altresì stabilito la natura tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle tre fattispecie che, ai sensi dell’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. 602/1973, giustificano l’impugnazione diretta del ruolo e della cartella che si assume invalidamente notificata.
La ricorrenza di una di tali fattispecie deve essere dimostrata dal ricorrente, in quanto condizione dell’azione di natura “dinamica”, in assenza (o in caso di mancata prova) della quale il ricorso è radicalmente inammissibile.
Nel caso concreto, non ricorrendo alcuna delle tre fattispecie tipizzate dall’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. 602/1973, nel caso in cui tale norma venisse ritenuta legittima, il ricorso del contribuente risulterebbe inammissibile. Viceversa, qualora la predetta disposizione venisse ritenuta incostituzionale, il ricorso introduttivo non solo risulterebbe ammissibile “in rito”, ma dovrebbe anche trovare accoglimento nel merito, quanto meno rispetto ad una delle cartelle impugnate, relativa a TARSU, per la quale risulta maturata la prescrizione quinquennale propria dei tributi periodici (art. 2948, comma 1, numero 4) c.c.).
Ciò premesso in punto di rilevanza della questione, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli illustra le proprie perplessità in merito alla compatibilità dell’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. 602/1973 rispetto agli artt. 3 e 24 Costituzione.
In primo luogo, emerge una disparità di trattamento a seconda che il ruolo e la cartella, che si assume invalidamente notificata, debbano essere impugnati dinanzi al giudice ordinario oppure davanti al giudice tributario: mentre infatti, nel primo caso, l’impugnazione immediata risulterebbe possibile, nel secondo essa sarebbe preclusa.
In aggiunta a ciò, le tre situazioni, nelle quali la norma censurata autorizza eccezionalmente l’impugnazione diretta del ruolo e della cartella di pagamento invalidamente notificata, non esauriscono il novero dei pregiudizi che da tali atti possono derivare al contribuente.
Esistono infatti ulteriori pregiudizi che potrebbero derivare dall’iscrizione a ruolo illegittima e che resterebbero privi di tutela immediata, quali la stessa possibilità di subire l’esecuzione senza poter preventivamente paralizzare la pretesa, il rischio di veder compensare un rimborso o un altro versamento in proprio favore con il debito illegittimamente iscritto a ruolo, nonché le gravi difficoltà di accesso al credito per il soggetto che risultasse debitore del Fisco (a prescindere dalla sua qualità imprenditoriale).
I predetti pregiudizi per il contribuente potrebbero essere eliminati soltanto con la definizione della sua posizione fiscale che, però, ad oggi non è possibile ottenere in via giudiziale, stante l’estraneità di tali situazioni alle fattispecie contemplate dall’art. 12, comma 4-bis, DPR 602/1973, con conseguente disparità di trattamento tra i contribuenti (art. 3 Costituzione) e lesione del diritto di difesa (art. 24 Costituzione).
L’ordinanza di rimessione evidenzia ancora come l’introduzione nell’ordinamento della norma censurata abbia comportato una regressione del sistema di tutela (garantito anche a livello di Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e di diritto dell’Unione europea), che era stato assicurato dalle pronunce Cass. civ., Sezioni Unite, 02 ottobre 2015, n. 19704 e Corte Costituzionale, 31 maggio 2018 n. 114, senza che la dichiarata finalità perseguita dal Legislatore (i.e.: porre un freno al dilagante contenzioso tributario derivante dall’impugnazione degli estratti di ruolo, che la predetta pronuncia Cass. civ., Sezioni Unite, 02 ottobre 2015, n. 19704 aveva favorito) possa effettivamente giustificare tale regressione.
Tale esigenza, pur certamente meritevole di considerazione, non poteva infatti essere soddisfatta condizionando così “pesantemente” la possibilità per il contribuente di difendersi in giudizio, specie in considerazione del fatto che il Fisco gode già ad oggi di particolari tutele e privilegi, sia sostanziali che processuali.
Questi ultimi, seppure non in sé e per sé ingiustificati, alla luce del superiore interesse alla regolarità dell’esazione fiscale, necessaria per assicurare allo Stato le risorse necessarie per far fronte ai propri compiti istituzionali, non possono tuttavia “spingersi” fino a condizionare la stessa possibilità di far valutare l’operato dell’Amministrazione finanziaria da parte di un giudice.
Pertanto, ad avviso dell’ordinanza di rimessione in commento, il Legislatore avrebbe potuto perseguire tale finalità con soluzioni più snelle e dai costi contenuti, che risultassero rispettose del diritto di difesa, quali, ad esempio, il preventivo obbligo di un ricorso amministrativo, che imponesse all’Amministrazione di esprimersi sull’attualità della propria pretesa (eventualmente, anche mediante la previsione di un’ipotesi di silenzio-accoglimento) oppure la necessaria notifica di un nuovo atto ricognitivo prima di qualsiasi azione esecutiva o cautelare.
L’ordinanza di rimessione in commento solleva una serie di perplessità sulla legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, DPR 602/1973, già più volte espresse anche dalla dottrina e non “fugate” neppure a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno esteso l’ambito applicativo della norma, ritenuta ragionevole e non arbitraria, anche ai ricorsi presentati anteriormente alla data della sua entrata in vigore (21 dicembre 2021).
Spetterà quindi ora alla Corte Costituzionale esprimersi in via definitiva sulla legittimità della predetta disposizione rispetto ai canoni costituzionali di eguaglianza-ragionevolezza (art. 3 Costituzione) e di tutela del diritto di difesa (art. 24 Costituzione).
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano-Roma