Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 02 maggio 2024, n. 11853


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

riunita in camera di consiglio nella seguente composizione:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott.ssa BILLI Stefania – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 33644/2018 R.G., proposto

DA

la “… Srl”, con sede in …, in persona dell’amministratore unico prò tempore, rappresentata e difesa dall’Avv…, con studio in …, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;                        RICORRENTE

CONTRO

l’Unione Comuni dell’Alto Cilento, con sede in T (S), in persona del Presidente prò tempore;                                         INTIMATA

avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno il 4 maggio 2018, n. 4217/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo;

udito per la ricorrente l’Avv. …, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

  1. La “… Srl” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno il 4 maggio 2018, n. 4217/05/2017, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento per la TARSU relativa agli anni dal 2007 al 2012, per l’importo complessivo di Euro 104.319,00, con riferimento alla concessione demaniale di un pontile galleggiante per l’ormeggio e la manovra di imbarcazioni nello specchio d’acqua antistante la banchina del Porto turistico di A (S), ha accolto l’appello proposto in via principale dall’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento ed ha rigettato l’appello proposto in via incidentale dalla medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno il 5 maggio 2015, n. 2146/12/2015, con compensazione delle spese giudiziali.
  1. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario – nel senso di confermare la validità dell’atto impositivo sul presupposto: a) che l’ente impositore poteva vantare pretese anche per la TARSU relativa ad annate antecedenti l’affidamento del servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti, che risaliva all’anno 2010; b) che anche gli specchi d’acqua erano soggetti a TARSU sin da epoca antecedente l’espressa previsione di tale categoria nel regolamento unionale, che risaliva all’anno 2012.
  1. L’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento è rimasta intimata.
  1. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

1.1 Con il primo motivo (rubricato in ricorso con la lettera “A”), si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 68 e 69 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU relativa agli anni dal 2006 al 2009 poteva essere riscossa dall’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento, alla quale il servizio di raccolta, smaltimento e tassazione dei rifiuti urbani era stato trasferito soltanto con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 9 giugno 2010, n. 26.

1.2 Con il secondo motivo (rubricato in ricorso con la lettera “B”), si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, 69, comma 1, e 71, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la TARSU sugli specchi d’acqua poteva essere riscossa anche in epoca anteriore alla previsione della categoria specifica nel regolamento unionale, in conseguenza della deliberazione adottata dal Consiglio Unionale il 3 marzo 2012, n. 2, dal momento che tali spazi erano compresi, dapprima, nella previsione legislativa della categoria generale delle “aree scoperte” (terrestri e acquatiche) di cui all’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e, poi, nella previsione regolamentare della categoria specifica dei “pontili per ormeggio di imbarcazioni in concessione privata” di cui alla deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 7 febbraio 2009, n. 6.

1.3 Con il terzo motivo (rubricato in ricorso con la lettera “C”), si denuncia violazione degli artt. 59, comma 4, 60 e 68 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 21, comma 2, lett. g, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente presupposto dal giudice di secondo grado che gli specchi d’acqua – rientranti nelle aree portuali – erano ricompresi nel territorio comunale, ai fini della soggezione alla TARSU, senza tener conto che gli specchi d’acqua non costituivano aree idonee alla produzione di rifiuti urbani, là dove la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle imbarcazioni erano regolamentati dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, che costituiva una disciplina speciale alternativa a quella del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, anche al fine di evitare una doppia imposizione.

  1. I suddetti motivi – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta – sono infondati.

2.1 Secondo l’art. 32, commi 1, primo periodo, e 7, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267: “1. L’unione di Comuni è l’ente locale costituito da due o più Comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi”; “7. Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati”.

2.2 Alla luce di quest’ultima disposizione, che non pone discriminazioni tra gli introiti già maturati o ancora maturandi, postulando la successione nella totalità dei rapporti (amministrativi e fiscali) inerenti l’ambito dell’affidamento, il collegio ritiene che l’attribuzione del potere di imposizione e di riscossione per i tributi comunali non subisca limitazioni temporali (per il passato), in coerenza con la ratio legis di concentrare in capo all’Unione l’esercizio delle funzioni e dei servizi di cui i singoli Comuni si siano spogliati in modo definitivo ed integrale nella prospettiva di una migliore organizzazione e di una maggiore efficacia della gestione associativa.

2.3 Con particolare riguardo alla disciplina della gestione dei rifiuti urbani, è significativo in tal senso che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”), nel regolamentare l’organizzazione (art. 200) e l’affidamento (art. 202) del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, prevede che i soggetti che lo esercitano, anche in economia, continuano a gestirlo fino alla istituzione e all’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani (art. 204, comma 1), lasciando implicitamente intendere che, dopo l’affidamento, l’ente concedente si spoglia di ogni potestà anche sulla manutenzione e la gestione dei rapporti pregressi (ivi compresi i rapporti tributari).

2.4 Pertanto, posto che il servizio di conferimento del ciclo integrato dei rifiuti urbani era stato affidato all’Unione dei Comuni dell’Alto Cilento con la deliberazione adottata dal Consiglio Comunale del Comune di A (S) il 9 giugno 2010, n. 26, si può ritenere che il trasferimento delle relative competenze riguardasse anche l’accertamento, il controllo e l’esazione della TARSU per le annualità maturate in epoca anteriore.

2.5 Ne discende che la sentenza impugnata si è conformata a tale principio con la conclusione che: “Peraltro, la sussistenza, per le pregresse annualità, di tributi non evasi, per i quali il Comune interessato non era decaduto dalla relativa pretesa, non può essere equiparata ad un’automatica perdita, per soluzione di continuità, della relativa potestà impositiva: e ciò, in quanto, per un verso i rapporti tra Comuni ed Unione si strutturano nei termini di una successione a titolo particolare (che, come tale, lascia ferme le poste creditorie maturate, non riscosse e non prescritte) e, per altro verso, il trapasso di competenze non poteva che concernere il mero esercizio dei relativi poteri (nei concreti termini di riscossione dei tributi maturati). Opinare diversamente significherebbe creare un implausibile vuoto di competenze (di per sé contrario al canone di necessità, continuità ed indefettibilità dell’azione amministrativa: art. 97 Cost.), poiché il Comune risulterebbe impossibilitato a riscuotere i tributi già maturati (avendo trasferito le relative competenze) e l’Unione, per parte sua, non legittimata alla relativa attività impositiva (come, in effetti, hanno finito implausibilmente per ritenere i primi giudici)”.

2.6 Per costante giurisprudenza di questa Corte, in linea di principio, l’attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell’ambito delle aree portuali rientra nelle competenze dell’Autorità portuale. Ne consegue che, in relazione a tale attività, deve escludersi la competenza dei Comuni e, quindi, il potere impositivo degli stessi ai fini della TARSU; né alcun rilievo può attribuirsi, ai fini della sussistenza dell’obbligazione tributaria, alla circostanza che l’ente territoriale abbia svolto di fatto il servizio, giacché il potere impositivo deve trovare la sua fonte necessariamente nella legge e non può pertanto rinvenirsi in ragione dello svolgimento di una mera attività di fatto da parte di soggetto a cui la legge stessa non assegna la relativa competenza funzionale (Cass., Sez. 5°, 25 settembre 2009, n. Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583; Cass., Sez. 6°-5, 19 giugno 2012, n. 10104; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251; Cass., Sez. 6°-5, 26 gennaio 2022, n. 2242).

Difatti, nell’ambito dell’area portuale, intesa come spazio territoriale nel quale svolge i suoi compiti l’Autorità portuale, l’attività di gestione dei rifiuti appartiene alla competenza di quest’ultima, che non si limita al servizio di pulizia all’interno del porto, ma è tenuta, ai sensi dell’art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, dell’art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dell’art. 6, comma 1, lett. c, della legge 28 febbraio 1994, n. 84, ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne consegue che, in relazione a detta attività, deve escludersi la competenza dei Comuni, che sono pertanto privi di ogni potere impositivo ai fini della TARSU, non essendo detto potere configurabile in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583).

2.7 Come questa Corte ha già chiarito (in particolare: Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583), l’esame complessivo della disciplina normativa in materia conferma che il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani all’interno dell’area portuale, ove è pacificamente ubicata la superficie oggetto di tassazione, è sottratto alla competenza dei Comuni. In questo senso depongono le seguenti disposizioni: – l’art. 62, comma 5, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che dichiara “esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte per i quali non sussiste l’obbligo dell’ordinario conferimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale per effetto di norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati esteri”;

– l’art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nel disciplinare le competenze dei Comuni in materia di rifiuti, dichiara che: “Sono fatte salve le disposizioni di cui all’art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e relativi decreti attuativi”;

– l’art. 6, comma 1, lett. c, della Legge 28 febbraio 1994, n. 84, che istituisce le Autorità portuali nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia, con il compito, tra l’altro, di “affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all’art. 16, individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione (…)”;

– l’art. 1 del D.M. 14 novembre 1994, che precisa: “I servizi di interesse generale nei porti, di cui all’art. 6, comma 1, lettera c), della legge 28 gennaio 1994, n. 84, da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale sono così identificati: (…) B) Servizi di pulizia e raccolta rifiuti. Pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica relativa agli spazi, ai locali e alle infrastrutture comuni e presso i soggetti terzi (concessionari, utenti, imprese portuali, navi). Derattizzazione, disinfestazione e simili. Gestione della rete fognaria. Pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali”.

2.8 Dall’esame di tale quadro normativo emerge in modo univoco che l’attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell’ambito dell’area portuale – da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale – rientra nella competenza esclusiva di quest’ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che, invece, normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5°, 6 novembre 2009, n. 23583).

2.9 Il dato normativo configura la competenza delle Autorità portuali in totale e completa alternativa ai Comuni. In questo senso appaiono particolarmente significative le già richiamate disposizioni di cui all’art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che espressamente esclude dalla tassa le situazioni sottratte al regime di privativa comunale, ed all’art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, nell’indicare le competenze dei Comuni in materia, ribadisce che comunque sono mantenute le competenze in materia attribuite alle Autorità portuali.

A ciò si aggiunga che le norme precisano che il servizio che i suddetti enti sono chiamati a svolgere consiste, come si esprime il decreto ministeriale di attuazione, nella “pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica” degli stessi, cioè in una vera e propria attività di gestione dei rifiuti, a fronte della quale non si vede quali residui compiti i Comuni potrebbero espletare.

2.10 Come si è detto, l’art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, ha istituito le Autorità portuali nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savoia, Taranto, Trieste e Venezia. Successivamente sono state istituite le Autorità portuali di Piombino (d.P.R. 20 marzo 1996), Gioia Tauro (d.P.R. 16 luglio 1998), Salerno (d.P.R. 23 giugno 2000), Olbia e Golfo degli Aranci (d.P.R. 29 dicembre 2000), Augusta (d.P.R. 12 aprile 2001), Trapani (d.P.R. 2 aprile 2003) e Manfredonia (art. 4, comma 65, della Legge 24 dicembre 2003 n. 350).

Come è evidente, tale elenco non contempla il porto di A (S). Ne consegue che al momento dei fatti per cui si procede non era stata istituita l’Autorità portuale nel porto di A (S) e non si era, quindi, verificata la condizione che escluderebbe il potere impositivo del medesimo Comune.

2.11 Sulla base della delega conferita al Governo con la Legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), tale organizzazione è stata rivoluzionata dal D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169 (“Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla Legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f), della Legge 7 agosto 2015, n. 124”), il quale ha istituito le Autorità di sistema portuale (art. 1 della Legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 1 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169).

Si tratta di enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, che sono dotati di “autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria” (art. 6, comma 5, primo periodo, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169). Esse sono individuate in numero di quindici e preposte ad uno o più porti collocati all’interno della rispettiva circoscrizione territoriale (art. 6, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169).

2.12 La riorganizzazione dell’amministrazione portuale non ha, comunque, inciso sulle competenze spettanti in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, tenendo conto che l’art. 6, comma 4, lett. c, della Legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 7 del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, continua ad annoverare, tra i compiti delle Autorità di sistema portuale, “affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all’articolo 16, comma 1 (…)”.

2.13 In relazione alla disciplina vigente ratione temporis prima del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, se l’istituzione dell’Autorità portuale si pone, dunque, come causa di esclusione dalla tassa sui rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata dall’art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ne segue, per converso, che nelle zone portuali prive di tale Autorità riemerga la competenza e la privativa comunale in ordine all’istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana; e, correlativamente, trovi spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la tariffa, in base alle disposizioni ordinarie (da ultime: Cass., Sez. 5°, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695; Cass., Sez. 5°, 13 aprile 2023, n. 9887; Cass., Sez. 5°, 2 agosto 2023, nn. 23555, 23575 e 23584; Cass., Sez. 5°, 19 gennaio 2024, nn. 2055 e 2058).

In tal senso, del resto, questa Corte si era già espressa in una serie di arresti, che avevano riconosciuto al Comune la legittimazione a chiedere la riscossione della TARSU, a fronte dell’esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in un’area portuale, in ragione della mancata istituzione dell’Autorità portuale (in termini: Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251). Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, la TARSU è una tassa, ossia un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad una utilità che egli trae dallo svolgimento di una attività svolta da un ente pubblico. Come tale, il potere di imposizione non può connettersi ad un soggetto diverso da quello che espleta il servizio, in ottemperanza ad un espresso disposto legislativo. Ne consegue che avendo il Comune svolto il servizio di pulizia e raccolta dei rifiuti solidi urbani e assimilati anche nell’ambito portuale, in ragione della mancata istituzione della Autorità portuale, è autorizzato a chiedere il pagamento della TARSU ai contribuenti concessionari di aree demaniali destinate all’ormeggio di imbarcazioni (in termini: Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6°-5, 15 novembre 2021, n. 34251).

2.14 Diversa è, invece, la competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima in materia di operazioni portuali e servizi portuali ovvero di concessioni di aree demaniali e banchine nell’ambito portuale, trattandosi di attività amministrative relative alla gestione ed all’utilizzo degli spazi portuali che non comportano alcuna attribuzione in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, pertanto, non involgono la conseguenziale spettanza di una potestà impositiva.

Sotto il primo aspetto, l’art. 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora, alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite, alle Autorità marittime la disciplina e la vigilanza – attraverso il rilascio di apposite autorizzazioni ad imprese munite di specifici requisiti, iscritte in registri speciali, obbligate al pagamento di un canone annuale ed alla pubblicazione delle tariffe praticate alla clientela) sull’espletamento delle operazioni portuali (carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale) e dei servizi portuali (servizi riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali, individuati dalle autorità portuali, o, laddove non istituite, dalle autorità marittime, attraverso una specifica regolamentazione da emanare in conformità dei criteri vincolanti fissati con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione), nonché sull’applicazione delle tariffe indicate dalle imprese autorizzate per la prestazione alla clientela delle operazioni portuali e dei servizi portuali, riferendo periodicamente al Ministro dei trasporti e della navigazione.

Sotto il secondo aspetto, l’art. 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, demanda alle Autorità portuali (ora alle Autorità di sistema portuale) o, laddove non istituite ovvero non ancora insediate, alle Autorità marittime le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) di aree demaniali e banchine comprese nell’ambito portuale alle imprese autorizzate all’espletamento delle operazioni portuali (fatta salva l’utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali), nonché le concessioni (anche mediante accordi sostitutivi) per la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch’essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo.

Per cui, non si ravvisa alcuna competenza dell’Autorità marittima, in caso di mancata istituzione dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale), in materia di tassazione dei rifiuti urbani prodotti nell’ambito portuale, che resta riservata in regime di privativa al Comune interessato.

2.15 Viceversa, rientra nella competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima il diverso servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali, il quale è estraneo all’ambito del presente giudizio e per il quale, comunque, il Comune non ha alcuna potestà impositiva a norma degli artt. 8 e 10 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (in attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2000 in materia di impianti portuali di raccolta per i rifiuti delle navi e residui del carico) (Cass., Sez. 6°-5, 26 gennaio 2022, n. 2242).

Peraltro, secondo l’art. 208, comma 14, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il controllo e l’autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla Legge 28 gennaio 1994, n. 84, e di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, di attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente.

2.16 Anche questa disciplina è stata rivisitata con il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 182 (“Recepimento della direttiva (UE) 2019/883, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE”), che ha espressamente abrogato il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 (art. 19, comma 1), stabilendo che: “I costi degli impianti portuali per la raccolta e il trattamento dei rifiuti delle navi, diversi dai residui del carico, sono recuperati mediante la riscossione di tariffe a carico delle navi che approdano nel porto” (art. 8, comma 1). Tali tariffe sono determinate dall'”Autorità competente” (vale a dire, secondo l’art. 2, comma 1, lett. l, “l’Autorità di Sistema Portuale, ove istituita, o l’Autorità marittima di cui all’articolo 2, commi 2 e 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 84”) in base a criteri prestabiliti (art. 8, commi 2 – 5).

2.17 Per cui, si può ribadire che, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, nell’ambito delle aree portuali per le quali non sia stata istituita l’Autorità portuale ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 8, della Legge 28 gennaio 1994, n. 84, l’attività di gestione dei rifiuti ivi prodotti rientra nella competenza (secondo l’ordinario regime di privativa) dei Comuni, ai quali, pertanto, è riservato il potere impositivo ai fini del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi di cui all’art. 14, comma 3, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Pertanto, nessuna competenza al riguardo (neppure in via suppletiva) si può riconoscere all’Autorità marittima, alla quale è riservato soltanto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali a norma degli artt. 8 e 10 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182.

2.18 Ciò posto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di TARSU, la nozione di “aree scoperte”, utilizzata dall’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l’estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell’estensione (tra le tante: Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5°, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 5°, 30 giugno 2021, n. 18384; Cass., Sez. 5°, 29 novembre 2023, nn. 33326 e 33329; Cass., Sez. 5°, 5 dicembre 2023, n. 34021).

2.19 Ne discende che è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell’ambito portuale, l’omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei.

2.20 Peraltro, l’equiparazione degli spazi terrestri agli spazi acquei è stata condivisa dalla giurisprudenza euro-unitaria (Corte Giust., 3 marzo 2005, causa n. C-428/02, Fonden Marselisborg Lystbàdehavn vs. Skatteministeriet et alii), la quale, sia pure in relazione all’IVA, ha testualmente sancito che: “L’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE, deve essere interpretato nel senso che la nozione di locazione di beni immobili comprende la locazione di posti previsti per l’ormeggio di imbarcazioni, nonché di posti barca a terra per il rimessaggio di tali imbarcazioni nell’area portuale”.

Tanto sul presupposto che: “La locazione di posti barca non si limita, infatti, al solo diritto di occupare, in via esclusiva, la superficie dell’acqua, ma implica anche la messa a disposizione di varie attrezzature portuali, segnatamente per l’ormeggio dell’imbarcazione, delle strutture per lo sbarco e l’imbarco dell’equipaggio, nonché l’eventuale utilizzo da parte di quest’ultimo di vari servizi igienici o di altri servizi”.

Inoltre, tale pronuncia è in linea con i criteri impositivi della TARSU, in quanto il presupposto per la sua applicazione è l’occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti.

Aggiungasi che altra decisione – sia pure con riguardo, sempre ai fini dell’IVA, alla riconducibilità della locazione di una casa galleggiante nella nozione generale di “affitto e locazione di immobili” – ha ritenuto che il pontile e l’area per l’ormeggio delle imbarcazioni, attigue alla casa galleggiante, rientrassero nella categoria dei beni immobili ed integrassero una operazione unitaria ai fini dell’esenzione dall’IVA (Corte Giust., 15 novembre 2012, causa n. C-532/11, Susanne Leichenich vs. Ansbert Peffekoven et alii).

Né tale indirizzo può dirsi scalfito da una pronuncia più recente, che ha escluso l’applicabilità dell’aliquota ridotta dell’IVA per l’affitto di posti per campeggio e di posti per roulotte alla locazione di spazi per l’ormeggio di imbarcazioni, essendo stata motivata l’eterogeneità delle fattispecie non in relazione alla diversa natura, bensì in relazione alla diversa funzione dei beni interessati, dal momento che “(…) la concessione della facoltà di applicare un’aliquota IVA ridotta alle prestazioni di locazione di spazi di ormeggio per imbarcazioni non sarebbe manifestamente giustificata alla luce di un simile scopo di natura sociale, dal momento che le imbarcazioni a vela o a motore, come quelle di cui trattasi nella causa principale, non svolgono la funzione, o almeno non principalmente, di alloggio” (Corte Giust., 19 dicembre 2019, causa n. C-715/18, Segler-Vereinigung Cuxhaven eV. vs Finanzamt Cuxhaven).

2.21 Nello stesso senso, pronunziandosi in sede di impugnazione di un regolamento comunale in materia di IUC, anche il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. 1°, 4 novembre 2019, n. 2754) ha riconosciuto che: “(…) banchine, pontili galleggianti e ormeggi possono essere soggetti alla TARSU-TARI-TARES poiché, (…) secondo l’orientamento dei giudici di legittimità, vanno considerate aree scoperte tutte le estensioni spaziali utilizzate da una comunità umana, a prescindere dal supporto solido o liquido di cui la superficie è composta e del mezzo terrestre o navale di cui ci si avvale per effettuare l’occupazione. E le banchine e i pontili sono aree scoperte operative e non pertinenziali”. Ne discende che: “Sono, pertanto, tassabili in linea di principio sia le superfici liquide (i mezzi natanti che sostano su queste aree producono rifiuti che una volta riversati sulla terraferma, al momento della sosta nel porto, devono essere smaltiti dai Comuni) sia le superfici solide (banchine e pontili galleggianti in quanto aree scoperte idonee a produrre rifiuti)”.

2.22 Peraltro, a mera conferma della onnicomprensività della nozione di “aree scoperte”, questa Corte si è specificamente soffermata anche sulla questione dell’equiparazione tariffaria delle aree destinate ad ormeggi ai campeggi. Ora, l’art. 68, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, demanda l’applicazione della TARSU ai regolamenti comunali, i quali devono prevedere, tra l’altro: “a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria”.

Ciò posto, l’art. 68, comma 2, lett. b, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, prevede anche che: “L’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: (…) b) complessi commerciali all’ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati”.

Premesso che il soggetto che occupa o detiene un’area scoperta, quando produttrice, per presunzione di legge, di rifiuti solidi urbani, è tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente dalla individuazione dell’effettivo produttore del rifiuto, alla luce di tale previsione, questa Corte ha ritenuto – in relazione agli spazi destinati ad ormeggi – che la stipulazione del contratto di ormeggio con il diportista (in ipotesi equiparabile ad un contratto di locazione) non è circostanza idonea a sottrarre al “concedente” la detenzione dell’area concessa in uso alla controparte ed a trasferire, quindi, in capo a quest’ultima, l’obbligo tributario perché quel contratto, per sua natura, si risolve sempre e solo nell’attribuzione al diportista del diritto di utilizzare lo spazio ed i servizi connessi e non sottrae in alcun modo quello stesso spazio alla detenzione del concedente, al pari di quanto avviene nella gestione di campeggi o di attività ricettive (Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 22 giugno 2021, n. 17702). Né rileva che si tratti di aree in proprietà demaniale. Difatti, è pacifico che, in tema di TARSU, nell’ipotesi di concessione di area in proprietà demaniale, si presume che il soggetto tenuto al pagamento del tributo sia il concessionario, in quanto detentore, in virtù del titolo concessorio, di un’area scoperta sulla quale, ai sensi dell’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, si producono rifiuti solidi urbani, e detto obbligo non si trasferisce su coloro i quali, anche tramite contratti conclusi con il concessionario, abbiano concretamente prodotto detti rifiuti, avendo in tutto o in parte l’effettiva disponibilità dell’area, salvo che il contribuente indichi nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità della stessa, in ragione della detenzione da parte di terzi, ed assolva in giudizio al relativo onere probatorio a proprio carico (tra le tante: Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5°, 22 giugno 2021, n. 17702; Cass., Sez. 5°, 15 marzo 2022, n. 8296).

Per cui, senza escludere le differenze incidenti sulla concreta produttività di rifiuti urbani, la riconduzione delle aree adibite ad ormeggi nella categoria tariffaria dei campeggi è coerente con la classificazione legislativa e regolamentare delle attività professionali e commerciali per genera comprendenti una varietà di species eterogenee accomunate da caratteristiche similari sul piano dell’utilizzo degli spazi tassabili (come, nel caso di specie, la vocazione turistica, ricettiva o ricreativa o la concessione in godimento temporaneo e/o turnario a terzi di superfici scoperte).

Sicché, la previsione regolamentare in questione trova applicazione per categoria e non per analogia, ben potendo ricomprendere attività non espressamente classificate, ma comunque assimilabili a quelle tipizzate in relazione all’uso o alla destinazione degli spazi tassabili (in termini: Cass., Sez. 6°-5, 23 febbraio 2012, n. 2754; Cass., Sez. 6°-5, 16 giugno 2021, n. 17092).

Così, ad esempio, è stato osservato che la (eventuale) mancata occupazione (di fatto), anche se temporale, di tutto lo spazio acqueo in concessione da parte di natanti equivale, ai fini della TARSU, in tutto e per tutto, alla situazione data dalla mancata occupazione di stanze di albergo o di posti di campeggio da parte degli utenti delle relative strutture: la concreta utilizzazione, ad opera dei diportisti, solo di parte di tutto lo spazio acqueo in concessione, infatti, analogamente alle struttura alberghiera ed alle aree adibite a campeggio per i loro gestori, non esclude il permanere della detenzione in capo al concessionario comunque dell’intera superficie dell’area concessa (considerato il permanere dello ius escludendi omnes alios del concessionario gestore), con conseguente persistenza del presupposto legale sufficiente per affermare l’integrale debenza della tassa de qua da parte del concessionario stesso. (Cass., Sez. 5°, 18 febbraio 2009, n. 3829; Cass., Sez. 5°, 15 febbraio 2013, n. 3773; Cass., sez. 5°, 16 febbraio 2018, n. 3798).

2.23 In definitiva, si può ribadire che, in tema di TARSU, la nozione di “aree scoperte”, utilizzata dall’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l’estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell’estensione; pertanto, è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell’ambito portuale, l’omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei (Cass., Sez. 5°, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695).

  1. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
  1. Nulla deve essere disposto in ordine alla regolamentazione delle spese giudiziali, giacché la parte vittoriosa è rimasta intimata.
  1. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione

Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2024.


COMMENTO: In tema di TARI, la nozione di “aree scoperte”, utilizzata dall’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui l’estensione è composta e, dunque, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di quell’estensione; pertanto, è irrilevante, ai fini della tassazione delle aree comprese nell’ambito portuale, l’omessa previsione tra le superfici tassabili secondo il regolamento comunale di una specifica categoria comprendente gli ormeggi o gli spazi acquei.