Cass. Civ. sez. VI-5, ord. 01 dicembre 2022, n. 35412
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19637/2021 proposto da:
COMUNE DI (Omissis), (C.F.: (Omissis)), con sede in (Omissis), in persona del Dirigente dell’Avvocatura, Dott.ssa A.A., a ciò delegata con Decreto Sindacale n. 12 del 18/02/2020, rappresentato e difeso, giusta Det. Dirig. 26 gennaio 2021, n. 137, nonchè procura speciale posta in calce al ricorso, dall’Avv. …, (C.F.: …), del foro di Nola (Na) ed elettivamente domiciliato in …, alla Via …, presso lo studio dell’Avv. …, (C.F.: …); – ricorrente –
contro
… Snc DI …; – intimata –
avverso la sentenza n. 408/2021 emessa dalla CTR Campania il 14/01/2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.
Svolgimento del processo
- La … s.n.c. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’avviso di accertamento n. 10494 emesso dal Comune di (Omissis) di fini del recupero della Tari per l’anno 2014.
- La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso sulla base di altre sentenze della CTP di Napoli e della CTR Campania che si erano pronunciate nel senso della illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
- Sull’impugnazione principale del Comune di (Omissis), la CTR Campania rigettava il gravame, ritenendo che, essendo l’area per la quale era stato richiesto il pagamento della Tari per l’anno 2014 stata oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., tale provvedimento aveva reso inutilizzabile l’area da parte della contribuente, sicchè nessuna pretesa impositiva poteva essere esercitata dall’amministrazione finanziaria.
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di (Omissis) sulla base di quattro motivi. La … s.n.c. di … non ha svolto difese.
- Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Motivi della decisione
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, e art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che la omessa impugnativa dell’avviso (recte, sollecito) di pagamento rendeva impugnabile il successivo avviso di accertamento solo per “vizi propri”, e non anche per questioni di merito.
1.1. Il motivo è infondato.
L’atto amministrativo di sollecito di pagamento, pur distinguendosi dall’avviso di mora, per la sua natura ontologicamente non impositiva, è autonomamente impugnabile da parte del destinatario, davanti al giudice competente, quando, nonostante il carattere atipico derivante dalla diversa denominazione attribuitagli dall’Amministrazione, abbia lo stesso contenuto e funzione del provvedimento tipizzato impugnabile (Sez. U., Sentenza n. 12244 del 27/05/2009).
Al contribuente, avendone facoltà, non è precluso il diritto di impugnare l’atto di sollecito trasmesso prima dell’avviso di intimazione sotteso alla cartella di pagamento notificata oltre il termine quinquennale (Cass. n. 28890/2019).
Pertanto, premesso che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, elenca espressamente gli atti impugnabili, annoverando tra questi il ruolo e la cartella di pagamento, l’impugnazione del detto sollecito, rappresentando una facoltà e non un onere per il contribuente, non preclude, in caso di mancato esercizio, la possibilità di impugnazione con l’atto successivo.
Ragion per cui la contribuente avrebbe potuto impugnare il successivo avviso di accertamento, oltre che per vizi suoi propri, anche per profili attinenti al merito della pretesa fiscale.
- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.e D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto che la sottoposizione dell’area per la quale era stato richiesto il pagamento della Tari a sequestro preventivo penale precludesse in toto l’utilizzabilità giuridica della stessa.
- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, art. 70, commi 1 e 2, e art. 72, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che, anche a voler ritenere provata la indisponibilità del bene per effetto del provvedimento di sequestro, la contribuente avrebbe avuto l’onere di comunicare le condizioni di non utilizzabilità nella denuncia di variazione.
- I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono fondati.
In tema di TARSU, lo stabilimento balneare con annesso ristorante che sia stato sottoposto a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., avente quale unica finalità quella di limitare la libera disponibilità del bene per evitare l’aggravarsi o il protrarsi di reati già commessi o la commissioni di altri reati, non è perciò solo soggetto ai temperamenti previsti dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 66, per situazioni che comportano l’oggettiva minore utilizzazione del servizio (come in caso di uso stagionale), in quanto l’attuazione del provvedimento non determina automaticamente la perdita immediata della facoltà di continuare ad occupare o detenere il bene, essendo tale evenienza condizionata dalle modalità di esecuzione della misura; ne deriva che, essendo il presupposto impositivo costituito dalla mera disponibilità di area produttrice di rifiuti e sussistendo una presunzione iuris tantum di produttività dei medesimi, grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’avvenuta esecuzione del sequestro penale e le modalità di esecuzione dello stesso, la coincidenza delle aree sottoposte a sequestro con quelle oggetto dell’imposizione tributaria e la perdita di fatto della disponibilità di tali aree in conseguenza del provvedimento dell’autorità giudiziaria (Sez. 5, Ordinanza n. 6551 del 09/03/2020).
E’ stato, in particolare, statuito da questa Corte che “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’imposta è dovuta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2, della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66, non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti” (vedi Cass. n. 18054 del 2016). Laddove previsto, va infine precisato che i temperamenti dell’imposizione che il D.Lgs. n. 507 del 1993, contempla, all’art. 66, per le situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, come nel caso dell’uso stagionale, previsto del comma 3, lett. b), di tale disposizione, non sono automatici anche nel senso che, ponendo la norma una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione (vedi Cass. n. 19459 del 2003; Cass. n. 18862 e n. 19173 del 2004, n. 9633 del 2012 e da ultimo Cass. n. 1998 e n. 14037 del 2019). Si deve pertanto ritenere preclusa la possibilità di addurre la temporanea indisponibilità dell’attività in sede processuale, ove non preceduta da apposita denuncia di variazione al Comune.
Tanto premesso, va rilevato che il sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p., ha come unica finalità quella di limitare la libera disponibilità del bene al fine di evitare l’aggravarsi o il protrarsi di reati già commessi o la commissione di altri reati, la cui incidenza in fatto sull’utilizzabilità materiale del bene è tuttavia condizionata alle modalità di esecuzione dello stesso, non comportando l’attuazione del provvedimento necessariamente ed automaticamente la perdita immediata della facoltà di continuare ad occupare o detenere il bene oggetto dello stesso.
Permanendo, pertanto, la presunzione di produttività di rifiuti, incombeva sulla contribuente, e non sull’ente impositore, l’onere di provare l’avvenuta esecuzione del sequestro, le modalità di esecuzione dello stesso, la coincidenza delle aree sottoposte a sequestro penale con quella oggetto di imposizione tributaria e, soprattutto, la perdita di fatto della disponibilità del bene in conseguenza del provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Nella specie, la CTR non ha fatto corretta applicazione di tali principi in quanto, da un lato si è limitata a dare atto che l’area oggetto di imposizione era stata sottoposta a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 312 c.p., e da tanto ne ha dedotto una situazione di inutilizzabilità del bene; dall’altro, operando, di fatto, una illegittima inversione degli oneri probatori, in mancanza di elementi di prova circa la prosecuzione dell’attività in violazione del provvedimento dell’autorità giudiziaria, ha ritenuto provata la perdita di disponibilità dell’area e dunque il venir meno del presupposto impositivo, ed escluso la debenza temporanea del tributo, pur in assenza di specifica denuncia di variazione. Ciò nonostante il provvedimento di sequestro avesse riguardato un’area demaniale marittima di 4.500 mq, a fronte di una superficie complessiva, nella disponibilità della contribuente, di 6.419 mq..
- Con il quarto motivo la ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè dell’omessa pronuncia su un motivo di appello ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la CTR fondato la propria decisione rinviando per relationem alla motivazione dei giudici di primo grado, basata a sua volta sul richiamo ad altra sentenza, senza illustrare l’iter logico-giuridico seguito per giungere a tale conclusione e senza pronunciarsi sulle specifiche censure dedotte dal Comune in sede di appello.
5.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento dei precedenti secondo e terzo.
- In conclusione, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al secondo e al terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per le spese relative al presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo ed il terzo e dichiara assorbito il quarto;
cassa, con riferimento ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese relative al presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in differente composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata, il 13 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2022
COMMENTO REDAZIONALE: In tema di TARI, lo stabilimento balneare con annesso ristorante che sia stato sottoposto a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., avente quale unica finalità quella di limitare la libera disponibilità del bene per evitare l’aggravarsi o il protrarsi di reati già commessi o la commissioni di altri reati, non è perciò solo soggetto ai temperamenti previsti dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 66, per situazioni che comportano l’oggettiva minore utilizzazione del servizio (come in caso di uso stagionale), in quanto l’attuazione del provvedimento non determina automaticamente la perdita immediata della facoltà di continuare ad occupare o detenere il bene, essendo tale evenienza condizionata dalle modalità di esecuzione della misura; ne deriva che, essendo il presupposto impositivo costituito dalla mera disponibilità di area produttrice di rifiuti e sussistendo una presunzione iuris tantum di produttività dei medesimi, grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’avvenuta esecuzione del sequestro penale e le modalità di esecuzione dello stesso, la coincidenza delle aree sottoposte a sequestro con quelle oggetto dell’imposizione tributaria e la perdita di fatto della disponibilità di tali aree in conseguenza del provvedimento dell’autorità giudiziaria (Sez. 5, Ordinanza n. 6551 del 09/03/2020).
E’ stato, in particolare, statuito dalla Corte che “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, l’imposta è dovuta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2, della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66, non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti” (vedi Cass. n. 18054 del 2016).
Laddove previsto, è stato precisato che i temperamenti dell’imposizione che il D.Lgs. n. 507 del 1993 contempla, all’art. 66, per le situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, come nel caso dell’uso stagionale, previsto del comma 3, lett. b), di tale disposizione, non sono automatici anche nel senso che, ponendo la norma una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione (vedi Cass. n. 19459 del 2003; Cass. n. 18862 e n. 19173 del 2004, n. 9633 del 2012 e da ultimo Cass. n. 1998 e n. 14037 del 2019). Secondo la Corte è, quindi, preclusa la possibilità di addurre la temporanea indisponibilità dell’attività in sede processuale, ove non preceduta da apposita denuncia di variazione al Comune.