Cass.civ., sez.V, sent. 9 luglio 2024, n.18734


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere-Rel.

Dott. BILLI Stefania – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27533/2020 R.G. proposto da:

… Spa, rappresentata e difesa dall’avvocato … PEC: …

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SENNA COMASCO, rappresentato e difeso dall’avvocato … ((Omissis)) PEC. …

– controricorrente –

avverso SENTENZA della COMM. TRIB. REG. della LOMBARDIA n. 1726/2020 depositata il 03/08/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere FABIO DI PISA

Sentito il P.G. il quale ha chiesto l’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso.

Sentiti i difensori delle parti presenti i quali hanno concluso come da rispetti atti difensivi.

Svolgimento del processo

  1. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 1726/20/2020, depositata in data 3 agosto 2020 e non notificata, confermava la sentenza n. 21/1/2019 in forza della quale la Commissione Tributaria Provinciale di Como aveva rigettato il ricorso presentato dalla società … Spa avverso nove avvisi di pagamento emessi dal Comune di Senna Comasco con i quali era stato richiesto il pagamento della TARI, annualità dal 2014 al 2017.

2.1. I giudici di appello, nel rigettare le censure proposte dalla contribuente, rilevavano che per escludere la tassazione non era sufficiente che si trattasse di rifiuti speciali, essendo necessario che gli stessi non erano assimilati a quelli urbani in forza di una delibera comunale.

  1. La … Spa ricorre per cassazione avverso detta sentenza sulla base di sei motivi, illustrati con successiva memoria.
  2. Il Comune resiste con controricorso; successivamente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art.112 cod. proc. civ. in ragione del mancato esame dell’appello incidentale e del fatto che la decisione risultava fondata su di una eccezione non sollevata da Comune.
  2. Rileva che l’ente impositore, nei propri scritti difensivi, aveva opposto, come eccezione, esclusivamente la disposta riduzione della tariffa ai fini della domanda di rigetto dei ricorsi e che la C.T.R., sotto altro profilo, aveva omesso di pronunziarsi sull’appello incidentale con cui erano state reiterate tutte le questioni dedotte in primo grado relative a: nullità del provvedimento per violazione dell’art. 195, comma 2, lett. e) del D.Lgs. n. 152 del 2006; nullità del provvedimento per violazione della normativa circa la dichiarazione e assimilazione dei rifiuti; nullità del provvedimento per violazione dell’art. 1, commi 641, 642 e 649, della legge 147/2013; nullità del provvedimento per violazione dell’art. 3 della legge 241/1990 circa l’obbligo di motivazione di atti amministrativi.
  3. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla circostanza che dalla relazione giurata del Geom. Ruiz risultavano individuate e delimitate le aree per le quali andava esclusa la tassabilità sulla scorta della normativa di riferimento.
  4. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. nonché dell’art. 116, sesto comma, Cost. sotto il profilo della contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione laddove i giudici di appello avevano fondato la propria decisione unicamente sul dato per cui il Comune con il proprio regolamento aveva provveduto all’assimilazione di tutti i rifiuti speciali.
  5. Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art.1, comma 649 della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) così come modificato dalla legge n. 68/2014, dell’art. 43, comma 2, del c.d. Decreto Ronchi nonché dell’art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 546/1992 sotto il profilo della non assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali prodotti nelle superfici adibite agli impianti produttivi industriali ed ai magazzini di materie prime e di merci di esclusiva inerenza all’attività produttiva.
  6. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1, commi 641, 642 e 649, della legge 147/2013 nonché violazione dell’ art. 10 Regolamento TARI in ragione della mancata verifica circa la tassabilità di tutte le superfici di uno stabilimento industriale.
  7. Con il sesto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione alla ritenuta legittimità dei regolamenti comunali alla luce della normativa sugli imballaggi terziari di cui alla Direttiva Europea 2004/2/CE recepita dal D.L. 152/2006, art. 218.
  8. Prima di procedere all’ esame dei singoli motivi di ricorso si rende opportuno un rapido excursus sull’evoluzione storica della disciplina settoriale.

7.1. Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla TARSU, prevista dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Codice dell’Ambiente). Nell’ambito di tale successione di norme, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha inciso in modo significativo sui criteri di tassazione dei rifiuti in quanto ha introdotto un nuovo sistema incentrato sulla tariffa (TIA 1), in sostituzione di quello precedente incentrato sul tributo. L’art. 238 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha, poi, previsto, al comma 1, che: “La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 10 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11”, il quale recita che: “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”. Poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, alla quale, per effetto dell’art. 1, commi 183 e 184, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU. L’art. 5, comma 2-quater, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, ha, quindi, disposto che, “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i Comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”. Dunque, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, è stata prevista la facoltà per gli enti locali di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011 (su tale evoluzione normativa, ex multis, vedi: Cass., Sez. 5, 3 novembre 2016, n. 22223; Cass., Sez. 5, 19 aprile 2019, n. 11035; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2021, n. 17032). In seguito l’art. 14, comma 7, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha disposto che: “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”. Da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione, – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di TARSU e TIA 1, – ma non anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme di prelievo in difetto della (compiuta) realizzazione della TIA 2 (istituita col D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) (Cass., Sez. 5, 13 luglio 2017, n. 17271; Cass., Sez. 5, 4 dicembre 2018, n. 31286; Cass., Sez. 5, 28 marzo 2019, n. 8650; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2019, n. 33224; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2019, nn. 34283, 34284, 34285, 34286 e 34287; Cass., Sez. 5, 16 aprile 2020, n. 7849; Cass., Sez. 6-5, 26 ottobre 2021, n. 30120; Cass., Sez. 6-5, 14 giugno 2022, n. 19110).

7.3. Occorre, quindi, evidenziare che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 1, commi 641, 642 e 649, legge 147/2013, che dispone che: – “Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva” (c. 641); – “La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani…” (c. 642); – “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione…” (c. 649); al regolamento, adottato dall’Ente locale, viene, poi, demandato di articolare riduzioni ed esenzioni tariffarie (art. 1, cc. 659 e 682) mentre a carico del contribuente è posto l’obbligo procedurale della dichiarazione (originaria o di variazione; art. 1, cc. 684 e ss.).

Le disposizioni normative da ultimo richiamate relative alla TARI sono intervenute in sostanziale continuità con i preesistenti tributi (TARSU e TIA) dovuti da cittadini, enti e imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conservandone la medesima natura, sicché ai fini qui considerati valgono per tutti i tributi oggetto di causa i principi di seguito riportati.

7.4. Questa Corte ha già avuto modo di esaminare (vedi Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032) il suindicato quadro normativo, reputandolo sostanzialmente omogeneo a quello che connotava la disciplina della TARSU ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della TARI rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459, tutte citate da Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490).

7.5. In tale contesto, la Corte ha ritenuto – per quanto più direttamente occupa – che la pertinente disposizione di cui all’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 esprime sulla questione dirimente “una sostanziale continuità regolativa” rispetto alla disciplina della TARSU, come affermato, in modo espresso, dalla pronuncia di questa Corte del 7 luglio 2022, n. 21490 e come già ritenuto nelle menzionate due pronunce del 23 aprile 2020, n. 8088 e 8089, che hanno esteso “alla TARI l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU con riguardo all’art. 62, comma 3, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507” (così alle pagine n. 7 delle citate sentenze); analogamente, ancor più di recente, la pronuncia della Corte di cassazione dell’8 febbraio 2023, n. 3818 ha ribadito che “questa Corte ha più volte già ritenuto che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (cfr. Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019).

7.6. Nelle sentenze di questa Corte nn. 8205 e 8222 del 14 marzo 2022 è stato anche chiarito che la “riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari… non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari”, affermandosi che “agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, terzo comma cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formino i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art. 21 co. 7 D.Lgs. 22/1997”, precisandosi, ancora, che “La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/19; 703/19; 4960/18; 4793/16 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)” (così Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n, 8205 e nello stesso senso, Cass. Sez. T, 14 marzo 2022, n. 8222).

7.7. In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del cd. decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012, Rv. 621368 – 01, n. 4793/16, Rv. 639127 – 01, n. 703/2019, Rv. 652499 – 01; 4960/2018, Rv. 649761 – 01; da ultimo Cass. n. 10010/2019, Rv. 653536 – 01, Cass. n. 22980/2021 nonchè Cass. 5580/23).

7.8. Si è, ancora, precisato che la tassa in questione è doppiamente strutturata: a. in una parte variabile, non dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; b. in una parte fissa, sempre dovuta invece per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto astrattamente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività e dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività (v. Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222, che richiama Cass. 15 marzo 2021, n. 7187; Cass. 23 maggio 2019, n. 14038 e Cass., Sez. T., 27 febbraio 2020, n. 5360).

  1. Ciò premesso deve chiarirsi che riduzione della superficie tassabile muove non dalla generica destinazione dell’immobile ad attività industriale, ma dalla specifica indicazione e dimostrazione delle aree che, all’interno dello stabilimento, producono prevalentemente rifiuti (speciali) esenti da privativa comunale, perché non assimilati né assimilabili ai rifiuti urbani e, come tali, assoggettati ad autosmaltimento. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare l’attribuzione in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie ex art.62 cit. (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento). In particolare, Cass. n.16235/15 ha osservato che “l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato D.Lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale”. Si legge in Cass. n. 7187/21 (con principio estensibile anche alla TARES/TARI) che: “Va, poi, osservato che questa Corte (ex plurimis Cass. n. 12979 del 2019, n. 10634 del 2019) ha affermato che è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali… e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA.”
  2. Rileva, quindi, questa Corte che il primo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo – i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto si ricollegano tutti ad aspetti e profili logici comuni – appaiono fondati, rimanendo assorbito il secondo.

9.1. Occorre precisare, quanto al primo motivo con il quale risultano sostanzialmente proposte due censure, che appare infondata seconda censura – ove si assume che la decisione sarebbe errata in quanto stata fondata su di una eccezione “in senso stretto” non sollevata da Comune – atteso che la questione relativa alla non debenza del tributo in difetto di prova dei presupposti di legge è stata rilevata dal giudice d’appello sulla scorta delle semplici allegazioni operate dalle parti.

9.2. Risulta, tuttavia, che sebbene parte contribuente avesse contestato la legittimità – anche sotto il profilo del difetto di motivazione degli atti impositivi – e specificato ed individuato (anche a mezzo produzione documentale analiticamente indicata in ricorso) le zone ove erano prodotti rifiuti speciali pericolosi e le zone ove erano impiegati imballaggi terziari di legno e ferro, del tutto laconicamente la Commissione regionale, senza in alcun modo confrontarsi con le eccezioni dedotte dalla contribuente e con i principi sopra richiamati, ha affermato che non era sufficiente dimostrare la produzione di rifiuti speciali per beneficiare dell’ esenzione essendo necessario che gli stessi non erano assimilati a quelli urbani in forza di una delibera comunale, senza, peraltro, verificare – profilo oggetto di specifica contestazione – la legittimità di detti regolamenti sulla scorta della normativa vigente.

  1. Si impone, pertanto, sulla scorta dei richiamati principi, una rinnovata valutazione circa la legittimità degli atti impositivi de quibus da parte dei giudici di appello, in sede di rinvio, i quali verificata la legittimità degli atti impositivi sotto il profilo formale dovranno:
  2. valutare se risultino adeguatamente individuate e comprovate, tenuto conto degli oneri probatori incombenti sulle parti, aree che, all’interno dello stabilimento, producano esclusivamente e/o prevalentemente rifiuti (speciali) esenti da privativa comunale, perché non assimilati né assimilabili ai rifiuti urbani e, come tali, assoggettati ad autosmaltimento;
  3. tenere conto che quanto ai “magazzini” che questa Corte ha chiarito che “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi” (così, Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032);
  4. individuare, quindi, (ove comprovate) le specifiche zone con diritto all’esenzione (limitata alla sola quota variabile e non anche alla quota fissa) tenuto conto del Regolamento comunale TARI, accertando se sussistono i presupposti per una sua (eventuale) disapplicazione in parte qua;
  5. stabilire il quantum dovuto.
  6. Tali profili dovranno essere tutti accertati dal Giudice regionale tenuto conto della natura (di impugnazione – merito) del giudizio

tributario (cfr. le tante le citate Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n. 8205 e 8222), il che giustifica l’accoglimento del primo, del terzo, del quarto, del quinto e del sesto motivo (assorbito il secondo) e la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà alle valutazioni sopra indicate, nonché a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie per quanto di ragione il primo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 24 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2024


MASSIMA: È onere del contribuente dimostrare che determinate superfici producono esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, al fine di ottenere la riduzione della superficie tassabile o l’esenzione dalla TARI.