Cass.civ., sez.V, sent. 17 giugno 2024, n. 16701


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere

Dott. BILLI Stefania – Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

OMISSIS

Svolgimento del processo

La controversia ha ad oggetto l’impugnazione avverso un avviso di accertamento (n. omissis) riguardante il versamento della Tarsu/Tia per l’anno 2012, con cui il comune di Caserta, per mezzo della … Srl (d’ora in poi intimata) ha contestato alla … (d’ora in poi ricorrente) l’omessa presentazione della denuncia Tarsu.

L’oggetto della contestazione riguarda un’area, sita in Caserta, adibita a parcheggio scoperto a pagamento, a uso esclusivo dell’ospedale civile della città, e data in concessione all’odierna ricorrente, a cui l’ente impositore aveva attribuito la categoria A 4, riferita a depositi, magazzini, autorimesse, autolavaggi, garages per un valore complessivo di Euro 23.668,00.

La CTP ha accolto parzialmente il ricorso, dichiarando illegittimo l’avviso di accertamento, invitando il comune a riformulare una tariffa inferiore tenendo conto della capacità di produzione di rifiuti dell’area oggetto del giudizio.

La CTR ha riformato la pronuncia di primo grado e accolto l’appello dell’odierna controricorrente, sulla base delle seguenti ragioni:

  • è logica l’equiparazione dei parcheggi scoperti ad autorimesse e garages, in quanto si tratta di immobili simili; non si ravvisano, quindi, i motivi per ritenere che i parcheggi scoperti producano rifiuti di natura o di quantità differente;
  • la giurisprudenza di legittimità ha affermato la soggettività passiva di colui che occupi o detenga un’area per la gestione di un parcheggio affidatogli in concessione;
  • il presupposto per le riduzioni o le deroghe tariffarie devono essere provati dal ricorrente, ipotesi che non si è verificata nel caso di specie.

La ricorrente propone ricorso fondato su tre motivi, le altre parti sono rimaste intimate.

All’udienza del 19 ottobre 2023 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

All’odierna udienza il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 65 e 68 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507. Ad avviso della ricorrente, sulla base delle disposizioni ora richiamate, nonché del principio di diritto comunitario per cui “chi inquina paga”, il regolamento comunale in questione avrebbe dovuto prevedere un’apposita sottocategoria per le aree scoperte adibite a parcheggio pubblico, essendo queste caratterizzate da una peculiare potenzialità di produzione di rifiuti. Secondo l’impostazione della ricorrente, sarebbe stato necessario operare una distinzione in base al tipo d’uso, non essendo possibile equiparare i parcheggi al chiuso con le aree scoperte adibite a parcheggio. La mancanza di tale previsione avrebbe comportato la violazione delle norme sopra richiamate.
  2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta in relazione all’art.

360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1 e 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 112 e 132, n.

4 cod. proc. civ. Sostiene che la motivazione con cui la sentenza ha negato la distinzione tra parcheggio coperto e parcheggio scoperto sia sostanzialmente inesistente.

  1. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con riferimento all’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui l’omessa previsione di una categoria specifica per i parcheggi non assume carattere decisivo, in quanto ciò non vuole dire che essi siano esenti dal pagamento del tributo. Si duole, dunque, della forzata assimilazione dell’area in oggetto alla categoria A 4.
  2. L’ordinanza di rinvio in pubblica udienza ha posto la necessità della risoluzione dei seguenti quesiti di diritto:

a) se, in materia di Tarsu/Tari, il potere giudiziale di disapplicazione degli atti regolamentari, riconosciuto dall’art. 7, comma 5, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, trova applicazione in relazione alla scelta tecnica amministrativa del comune relativa alla classificazione delle categorie con omogenea potenzialità di rifiuti di cui all’art. 68, comma 2, D.Lgs. 15 novembre n. 507;

b) se il concetto di omogeneità dei beni inclusi nelle diverse categorie in cui sono raggruppate le tipologie di rifiuti, che non è sinonimo di identità, deve essere verificato in astratto o in concreto;

c) quali sono, di conseguenza, gli elementi necessari nella censura del vizio di regolamento, al fine di richiederne la disapplicazione”.

I motivi primo e terzo, che possono essere trattati congiuntamente tenuto conto della loro stretta connessione, sono infondati. Essi ruotano, per un verso, attorno alla questione circa l’illegittimità del regolamento comunale in oggetto che avrebbe dovuto prevedere un’apposita sottocategoria per le aree scoperte adibite a parcheggio pubblico, essendo queste caratterizzate da una peculiare potenzialità di produzione di rifiuti. Per altro verso, contestano l’esistenza di una discrezionalità degli enti comunali nell’individuare gli immobili che abbiano una certa omogeneità nella potenzialità di produzione di rifiuti e l’affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto logica l’equiparazione dei parcheggi scoperti ad autorimesse e garages.

4.1. Deve preliminarmente essere respinta l’eccezione di giudicato (nella specie sent. CTR Campania n. 9752 del 2017), in quanto il Collegio condivide e intende ribadire il consolidato principio di legittimità per il quale: a) l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta; b) l’efficacia del giudicato rileva, tuttavia, solo rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente; c) l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica, quindi, soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo.

Tali principi sono stati riaffermati nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. U, n. 13916/2006, Rv. 589696-01 e tra le tante in termini Sez. 5, n. 09512/2009, Rv. 607614-01, Sez. 5, n. 24433/2013, Rv. 628862-01, Sez. 5, n. 13498/2015, Rv. 635809-01, Sez. 5, n. 00003/2019, Rv. 653736-01, Sez. 5, n. 13152/2019, Rv. 653736-01). Nel caso in esame la potenzialità di produzione di rifiuti e, in particolar modo, la sussistenza di cause di esonero o di riduzione è suscettibile di variazioni e, pertanto, il giudicato intercorso tra le parti per un’annualità precedente è irrilevante in questo giudizio.

4.2. Nel merito è infondata la censura riguardante la necessità che il regolamento comunale in questione avrebbe dovuto prevedere un’apposita sottocategoria per le aree scoperte adibite a parcheggio pubblico, non essendo possibile equiparare i parcheggi al chiuso con le aree scoperte adibite a parcheggio, per cui sarebbe stato necessario operare una distinzione in base al tipo d’uso.

Nella specie il regolamento Tarsu del comune di Caserta ha previsto l’applicazione, di un’unica tariffa per le aree di cui alla categoria A4, in cui sono state fatte confluire, non solo, l’area oggetto del presente giudizio ma anche i depositi, i magazzini, le autorimesse, gli autolavaggi e i garages.

Come affermato in più occasioni in sede di legittimità, si ribadisce qui che il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) (Cass., Sez. U, n. 6265/2006, Rv. 589553 – 01, Sez. 5, n. 7044 del 26/03/2014, Rv. 629885 – 01, successivamente anche Cass. n. 20965 del 2019 che distingue opportunamente tra disapplicazione e potere di annullamento del giudice amministrativo).

Sul tema dell’istituzione di tariffe differenziate la giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, ha avuto occasione di pronunciarsi escludendo il vizio di illegittimità, ai fini della disapplicazione, nei casi in cui il comune preveda l’applicazione di specifiche tariffe per alcune tipologie di immobili o, viceversa, della medesima tariffa per determinate categorie di immobili. In proposito è stato riconosciuto che la determinazione della tariffa da applicare, ai fini Tarsu, costituisce una scelta discrezionale che rientra nei limiti della potestà impositiva attribuita al comune dall’ordinamento, non vietata da alcuna norma statale (Cass. n. 5358 del 2020, nell’ipotesi di delibere di equiparazione tra strutture alberghiere e B&B; Sez. 6 – 5, n. 33545/2019, Rv. 656430 – 01 con riferimento alla tariffa della Tarsu da applicare negli istituti penitenziari).

Applicando tale principio nella specie, la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria. A tal fine, non è ritenuta sufficiente la generica contestazione della validità dei criteri seguiti dal comune nell’adottare la delibera stessa (in motivazione Cass. Sez. 5, n. 7044 del 26/03/2014, Rv. 629885 – 01, cit., Sez. 5, n. 7437 del 15/03/2019, Rv. 653050 – 01; nello stesso senso sempre in motivazione Cass. Sez. 5, n. 13848/2004, Rv. 574914 – 01).

Si deve, quindi, concludere che la semplice contestazione per cui le aree scoperte adibite a parcheggio produrrebbero meno rifiuti dei garages coperti, è irrilevante, ai fini della disapplicazione, poiché così non si è evidenziato un vizio di legittimità delle delibere, ma si è solo contestato il merito della scelta sotto il profilo tecnico-amministrativo.

Come verrà ulteriormente chiarito più avanti e come anche affermato a suo tempo da questa Corte sulla presente questione nelle pronunce richiamate dall’ordinanza interlocutoria, la legge non obbliga l’ente impositore a determinare in maniera rigorosamente omogenea e paritaria le tariffe in relazione agli immobili cui si riferisce il tributo, essendo l’amministrazione comunale titolare di un potere tecnico-discrezionale che deve necessariamente tenere conto delle peculiarità delle varie possibili fattispecie oggetto di regolamentazione in ragione delle caratteristiche del suo territorio e della produzione di rifiuti; ma una tale valutazione non può giungere a contraddire le finalità stesse e la ratio del tributo. Quest’ultima è strumentale alle finalità, consistenti nell’idoneità e necessità del gettito tributario a coprire i costi complessivi del servizio erogato, ripartendone ragionevolmente gli oneri in coerenza alla natura di tassa e con la quantità di rifiuti potenzialmente producibili dalle varie tipologie di beni e della rispettiva capacità inquinante. La discrezionalità dell’ente territoriale nell’assumere le determinazioni al riguardo, in particolare, nello stimare in astratto la capacità media di produzione di rifiuti per tipologie, ha natura eminentemente tecnica, non “politica”. Come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione delle caratteristiche proprie dell’imposizione; deve insomma concretamente rispettare, nell’esercizio di siffatta discrezionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzionalità, incluse adeguatezza e necessarietà (Cass., Sez. 6 – 5, n. 16686 del 2019, Sez. 6 – 5, n. 14385 del 2020, Sez. 6 -5, n. 25244 del 2020, Cass. Sez. 6 – 5, n. 5744 del 2023; ma in questo senso già Sez. 6 – 5, n. 2754 del 23/02/2012, Rv. 621980 – 01, la quale ha ritenuto assoggettata ad imposta l’area adibita a depositeria giudiziaria di autoveicoli a cielo aperto ed a lunga giacenza, potendo essa essere qualificata come rimessa di autoveicoli, con rapporto di species a genus e dovendosi escludere l’esimente di cui all’art. 62, comma 2, del d.P.R. 15 novembre 1993, n. 507 per inidoneità dell’area a produrre rifiuti, essendo la stessa luogo frequentato da veicoli e persone, situazione questa ultima potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti).

Sulla base di quanto finora esposto, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto legittima la riconducibilità dell’area in oggetto, adibita a parcheggio all’aperto nella categoria A 4 in cui sono inclusi anche i depositi, le autorimesse e i garages.

Per quanto riguarda la censurata applicazione indistinta della tariffa unitaria al metro quadro agli immobili inclusi nella categoria A 4 e a quelli ricompresi nella categoria E 4, si ricorda, inoltre, che l’imposta è dovuta, ai sensi dell’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 507 del 1993, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (Cass. Sez. 5, n. 18054/2016, Rv. 640961 – 01, Sez. 5, n. 1179/2004, Rv. 569609 – 01).

Tale orientamento si pone in linea con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (Cass., Sez. 5, n. 17703

del 2004, Rv. 576645 – 01, Sez. 5, n. 13086/2006, Rv. 590438 – 01, Sez. 5, n. 17599/2009, Rv. 609065 – 01, Sez. 5, n. 775/2011, Rv. 616349 – 01, Sez. 5, n. 627/2012, Rv. 621368 – 01, Sez. 5, n. 11351/2012, Rv. 623228 – 01, Sez. 5, n. 16235/2015, Rv. 636107 – 01, Sez. 5, n. 10787/2016, Rv. 639990 – 01, Sez. 5, n. 21250/2017, Rv. 645459 – 01, Sez. 5, n. 21011/2021, Rv. 662045 – 02, Sez. 5, n. 2623/2023, Rv. 666760 – 01).

Nel caso di specie i rilievi circa la mancata o ridottissima produzione di rifiuti sono rimasti a livello di generiche allegazioni non supportate da specifici elementi di prova.

Sotto un diverso profilo si ricorda che, ai sensi dell’art. 68 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n 507: “1. Per l’applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere:

  1. a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria;
  2. b) le modalità di applicazione dei parametri di cui all’art. 65;
  3. c) la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni di uso di cui all’art. 66, commi 3 e 4;
  4. d) la individuazione delle fattispecie agevolative, delle relative condizioni e modalità di richiesta documentata e delle cause di decadenza.
  5. L’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione:
  6. a) locali ed aree adibiti a musei, archivi, biblioteche, ad attività di istituzioni culturali, politiche e religiose, sale teatrali e cinematografiche, scuole pubbliche e private, palestre, autonomi depositi di stoccaggio e depositi di macchine e materiale militari;
  7. b) complessi commerciali all’ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati;
  8. c) locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri;
  9. d) locali adibiti ad attività terziarie e direzionali diverse da quelle di cui alle lettere b), e) ed f), circoli sportivi e ricreativi;
  10. e) locali ed aree ad uso di produzione artigianale o industriale, o di commercio al dettaglio di beni non deperibili, ferma restando l’intassabilità delle superfici di lavorazione industriale e di quelle produttive di rifiuti non dichiarati assimilabili agli urbani;
  11. f) locali ed aree adibite a pubblici esercizi o esercizi di vendita al dettaglio di beni alimentari o deperibili, ferma restando l’intassabilità delle superfici produttive di rifiuti non dichiarati assimilabili agli urbani.
  12. I regolamenti, divenuti esecutivi a norma di legge, sono trasmessi entro trenta giorni alla direzione centrale per la fiscalità locale del Ministero delle finanze che formula eventuali rilievi di legittimità entro sei mesi dalla ricezione del provvedimento. In caso di rilievi formulati tardivamente il comune non è obbligato ad adeguarsi agli effetti dei rimborsi e degli accertamenti integrativi”.

Ritiene in proposito il Collegio, diversamente da quanto sostenuto nei precedenti resi da questa Corte tra le medesime parti (Cass., Sez. 6-5, n. 16686/2019 TARSU per l’anno 2008, Cass., Sez. 65, n. 14385/2020 TARSU per l’anno 2015, Cass., Sez. 6-5, n. 25244/2020 TARI per l’anno 2016, Cass., Sez. 6-5, n. 5744/2023 TARI per l’anno 2017), che il primo comma della disposizione ora riportata riconosce, dunque, ai comuni il potere regolamentare di procedere alla classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e di renderli tassabili con la medesima misura tariffaria. L’indicazione legislativa è che la classificazione deve essere fatta per beni omogenei, termine questo da intendere nel senso di beni aventi una simile capacità di produzione di rifiuti. Certamente è da escludere, quindi, che il legislatore abbia imposto un raggruppamento in categorie con beni che abbiano un’identica capacità di produzione di rifiuti.

Nel caso di specie, si osserva che, sotto il profilo della produzione di rifiuti, l’attività svolta all’interno delle aree scoperte adibite a parcheggio è del tutto sovrapponibile a quella svolta negli immobili adibiti ad autorimesse o a garages. Si tratta sempre di prestazioni di servizi, nella specie attività di parcheggio o ricovero di beni o mezzi, a fronte della prestazione di un corrispettivo. Nella verifica del criterio dell’omogeneità circa la potenzialità di produzione di rifiuti ben poco cambia se l’attività sia svolta al coperto o al chiuso.

Il secondo comma precisa, poi, che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione compativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, di gruppi di attività o di utilizzazione che di seguito provvede a elencare individuando sei macro-aree.

La precisazione che la classificazione debba tenere conto “in via di massima” di gruppi di attività o di utilizzazione depone ancora nel senso che il legislatore ammette e presuppone che le categorie includano beni che abbiano una simile capacità produttiva di rifiuti.

A tale proposito la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata ha richiamato un proprio principio già affermato in precedenza (Cass. civ. Sez. 5, n. 28676/2018; Cass. civ. Sez. 5 n. 2202/2011), secondo cui: “in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”.

È stato già osservato (Cass. n. 7437 del 2019, cit.), infatti, che le pronunce da ultimo richiamate hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16.7.09 in causa C-254/08 (Quest’ultima aveva ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla TARSU, con riferimento alle imprese alberghiere).

Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia rispetto al principio evincibile dall’art.15 lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall’art.11 della direttiva 75/442), la CGUE ha affermato che: “è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; – nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”.

Sulla base di quanto finora esposto si può affermare, con riferimento al secondo quesito posto dall’ordinanza di rinvio all’udienza pubblica, che il concetto di omogeneità dei beni inclusi nelle diverse categorie in cui sono raggruppate le tipologie di rifiuti, come elaborate dai comuni, postula una verifica in astratto, riferita alla simile potenzialità di produzione dei rifiuti. Una volta che l’ente comunale abbia fissato la tariffa per la categoria omogenea, spetta al contribuente dare prova dell’eventuale diverso utilizzo dell’immobile, tale da non essere oggettivamente tassabile ovvero del diverso valore che la zona detiene, ai fini della minore tassabilità.

Resta, in linea con le indicazioni Euro unitarie, sempre salva la possibilità della prova contraria a carico del contribuente e, quindi, di dimostrare in concreto che l’imposizione manifestamente non sia commisurata ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili.

La circostanza relativa all’inferiore capacità produttiva di rifiuti dell’area scoperta adibita a parcheggio, rispetto agli altri beni, compresi nella medesima categoria, ad esempio i garages, nel caso concreto è stata dedotta solo genericamente, come si è già detto, dalla ricorrente, e neanche articolata in una richiesta di prova nel corso del giudizio.

Da quanto esposto segue il rigetto del primo e del terzo motivo del ricorso con l’elaborazione del seguente principio di diritto: “In materia di Tarsu/Tari, il potere giudiziale di disapplicazione degli atti regolamentari, riconosciuto dall’art. 7, comma 5, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non trova applicazione in relazione alla scelta tecnica amministrativa del comune relativa alla classificazione delle categorie con omogenea potenzialità di rifiuti di cui all’art. 68, comma 2, del D.Lgs. 15 novembre n. 507, essendo ammessa, viceversa, la disapplicazione solo in presenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere.

Il concetto di omogeneità, di cui all’art. 68 del citato D.Lgs., dei beni inclusi nelle diverse categorie in cui sono raggruppate le tipologie di rifiuti deve essere verificato in astratto, fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di dimostrare in concreto che l’imposizione manifestamente non sia commisurata ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili, posto che le deroghe indicate dall’art. 62, comma 2, e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 del medesimo D.Lgs. non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti”.

  1. Il secondo motivo, incentrato sulla motivazione sostanzialmente apparente della sentenza nella parte in cui ha negato la distinzione tra parcheggio coperto e parcheggio scoperto, è infondato. Contrariamente a quanto lamentato, la sentenza impugnata ha esplicitato la ragione per cui non ha ritenuto illegittima l’equiparazione nella potenzialità di produzione di rifiuti dell’area per cui è causa con quella degli altri beni compresi nella categoria A 4 del regolamento comunale (penultima pagina della sentenza). Essa, sia pure sinteticamente, ha fatto riferimento al concetto di omogeneità della potenzialità di produzione di rifiuti e ai presupposti dell’imposta, laddove ha esplicitamente escluso la violazione delle disposizioni che prevedono che le aree incluse in una determinata categoria siano omogenee.

In proposito si ricorda che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. Ipotesi, non verificatasi nella specie, che si realizza quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’effettiva disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. 6 -5, n. 9105/2017, Rv. 643793 – 01, Sez. L, n. 3819/2020, Rv. 656925 – 02, Sez. 1, n. 13248/2020, Rv. 658088 – 01).

  1. Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio vanno compensate atteso il mutamento della giurisprudenza di legittimità sulla questione.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

unificato dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese dell’intero giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.

Conclusione

Così deciso il 30 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2024.


MASSIMA: Il concetto di omogeneità dei beni inclusi nelle diverse categorie in cui sono raggruppate le tipologie di rifiuti deve essere verificato in astratto e fatta sempre salva la possibilità per il contribuente dimostrare che l’imposizione manifestamente non sia commisurata ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili; una volta che l’ente comunale abbia fissato la tariffa per la categoria omogenea spetta al contribuente dare prova dell’eventuale diverso utilizzo dell’immobile tale da non essere oggettivamente tassabile ovvero del diverso valore che la zona detiene ai fini della minore tassabilità.