Cass. civ., sez. V, ord. 26 gennaio 2024, n. 2512
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere Rel.
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16370-2021 R.G. proposto da:
… Srl, elettivamente domiciliato in …, presso lo studio dell’avvocato … (Omissis) che lo rappresenta e difende – ricorrente –
contro
AUTOSTRADE PER L’ITALIA Spa, elettivamente domiciliato in …, presso lo studio dell’avvocato … (Omissis) rappresentato e difeso dagli avvocati … (Omissis), … (Omissis), …. (Omissis) – contro ricorrente –
nonchè contro
COMUNE AVELLINO, IN PERSONA DEL SINDACO PRO TEMPORE
– intimato –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 6493-2020 depositata il 22-12-2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16-01-2024 dal Consigliere MILENA BALSAMO.
Svolgimento del processo
1.La società … Srl, concessionaria del servizio di riscossione dei tributi per conto del Comune di Avellino, notificava alla Società Autostrade per l’Italia l’avviso di accertamento con il quale le intimava il pagamento della Tosap dovuta per l’occupazione di aree nel comune di Avellino da parte di taluni cavalcavia autostradali di sovrastanti via Pe. per le annualità 2013-2018.
La società impugnava detto avviso innanzi alla CTP di Avellino.
La CTP adita accoglieva il ricorso applicando l’esenzione di cui all’invocato art. 49, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in ragione della demanialità dell’autostrada sottratta al potere impositivo del Comune. Proposto appello da parte della società di riscossione, la CTR della Campania lo respingeva sul rilievo che il Comune può applicare la Tosap in proporzione dell’area sottratta all’uso pubblico, ritenendo che l’uso pubblico dell’autostrada sia di più ampia natura, per cui il Comune deve portarvi rispetto, astenendosi da pretese impositive, in ragione dell’esenzione di cui al disposto di cui al cit. art. 49, lett. a).
Avverso la sentenza indicata in epigrafe propone ricorso per cassazione la società Assoservizi Srl affidato a sei motivi.
Si è costituita con controricorso la società Autostrade per l’Italia, depositando memorie difensive in prossimità dell’udienza.
Motivi della decisione
- Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex artt. 112 e 277 cod. proc. civ. per statuizione in fattispecie diversa da quella oggetto della controversia; per avere la Commissione regionale considerato non l’uso pubblico delle superfici comunali occupate, ma l’uso pubblico delle autostrade.
- La seconda censura prospetta nullità della sentenza ex articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. in relazione all’articolo 132, numero 4, cod. proc. civ. per omessa ovvero apparente motivazione; per avere il decidente confermato la statuizione di primo grado “in ragion dell’uso pubblico dell’autostrada”, considerando dunque l’imponibilità di un bene diverso da quello oggetto dell’accertamento.
- La terza doglianza denuncia si lamenta la violazione dell’articolo 49 lettera a) del decreto legislativo 507-1993; per avere la CTR immotivatamente applicato ad una società di capitali l’esenzione di cui all’articolo 49 citato.
Evidenzia la ricorrente che si tratta di norma agevolatrice di stretta interpretazione, non applicabile ad ipotesi non ricadenti nella elencazione tassativa di cui all’articolo 7 del cit. D.Lgs., con la conseguenza che non può dedursi una automaticità di estensione a terzi della ragione di esenzione dall’imposta. Sostiene sul punto che in tema di Tosap, l’esenzione prevista per lo Stato e per gli altri enti dall’articolo 49 citato, postula che l’occupazione quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello stato da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è di questa la gestione economica e funzionale annulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione solo al termine della concessione.
5.Con la quarta censura attinge la sentenza gravata per motivazione apparente, in relazione al titolo di concessionaria ed all’uso del bene autostradale ed alla determinazione del corrispettivo tariffario; per avere i giudici territoriali affermato che, contrariamente a quanto statuito dalla Suprema Corte, la natura di concessionario la rende priva di autonomia gestionale non potendo determinare o modificare il corrispettivo tariffario.
Si obietta che la società Autostrade è una società che svolge tipica attività di impresa con fine di lucro e che la gestione in concessione della rete autostradale non annulla il perseguimento del profitto tipico dell’impresa ASPI, la CTR ha omesso di valutare dette argomentazioni.
- Il quinto mezzo del ricorso deduce violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex articoli 112 e 277 cod. proc. civ., per omessa pronuncia in ordine all’applicazione degli artt. 38 e 39 D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 cit.
La concessionaria sostiene di aver invocato il disposto dell’articolo 38 citato in rubrica secondo il quale “sono soggetti alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura effettuate anche senza titolo nelle strade, nei corsi, nelle piazze e comunque sui beni appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province”, “sono parimenti soggetti alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico di cui al comma uno con esclusione dei balconi…, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa”, sia il comma quattro “le occupazioni realizzate su tratti di aree stradali o provinciali che attraversano il centro abitato di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti sono soggetti ad imposizione da parte dei comuni medesimi”, concludendo che nel caso in esame vi era stata sottrazione o limitazione dell’uso pubblico da parte della società autostrada a mezzo di viadotto autostradale sopra il levato in assenza di concessione. Aggiunge che, tuttavia, la CTR non ha pronunciato sulla normativa applicabile alla fattispecie.
- L’ultimo strumento di ricorso prospetta violazione degli artt. 38 e 39 D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 cit., ex art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ. Sostiene la ricorrente che, per effetto della concessione rilasciata dallo Stato, si era realizzata una occupazione dello spazio pubblico comunale che era soggetta a tassazione a norma dell’articolo 38, comma 2, del decreto legislativo 507-93 cit. e non era applicabile l’esenzione di cui all’articolo 49, lettera a, del citato decreto legislativo poiché la norma esonerativa è limitata al caso in cui l’occupazione sia effettuata direttamente dallo Stato, con esclusione delle opere, ancorché di proprietà dello Stato, realizzate e gestite in regime di concessione amministrativa, considerato che in tal caso la tassa è dovuta a norma del citato articolo 38, comma 2.
- I primi cinque motivi da esaminare preliminarmente, per ragioni di ordine logico-giuridico, vanno disattesi.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017). In tale grave forma di vizio non incorre, dunque, la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello incentrati sulla fondatezza della pretesa fiscale, hanno affermato che non ricorreva “una ipotesi in cui sorge l’obbligo del concessionario Autostrade per l’Italia Spa di corrispondere la TOSAP per le occupazioni effettuate” non ricorrendo né il presupposto soggettivo trattandosi di bene di natura demaniale oggetto di concessione statuale. Non sussiste, del pari, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che ricorre quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione, o quando sostituisca d’ufficio un’azione ad un’altra, a causa del travisamento dell’effettivo contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 19214 del 06-07-2023); tale vizio riguarda, dunque, soltanto la decisione della controversia e non anche le ragioni di fatto e di diritto che vengono assunte a sostegno della decisione, ed è escluso quindi che ricorra laddove, come nel caso in esame, la pronuncia giudiziale sia rimasta nell’ambito della res in iudicium deducta, ovvero della fattispecie prospettata dalle parti in causa, rimanendo irrilevante, in relazione alla violazione del suddetto principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ogni censura circa la pretesa erroneità del ragionamento decisorio logico-giuridico.
- L’ultima censura del ricorso principale merita accoglimento.
Richiamando i principi di diritto affermati da questa Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente (cfr. Cass. n. 385 del 10-01-2022), il Collegio osserva che in sede di legittimità (cfr. Cass. nn 20974-2020, 18385-2019, 19693-2018, 11886-2017, 11689-2017) è già stato statuito che il presupposto impositivo della TOSAP è costituito – ai sensi degli artt. 38 e 39 del D.Lgs. n. 507 del 1993 – dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni o delle Province (circostanza riconosciuta dalla stessa ricorrente, alla pag. 1 del ricorso in cassazione, laddove fa riferimento al “cavalcavia autostradale soprastante la Strada Comunale sita in via Ta. in A”), che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico; pertanto, ai fini della Tosap, rileva il fatto in sé della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione (cfr. Cass. nn. 11553-2003, 2555-2002), salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 D.Lgs. 507 del 1993.
Nel caso in esame vi è la sottrazione o la limitazione dell’uso del suolo pubblico da parte della società Autostrade per l’Italia Spa a mezzo del viadotto autostradale sopraelevato in assenza della concessione od autorizzazione comunale prevista dall’art. 39 D.Lgs. 507 del 1993 e si è realizzata, perciò, un’occupazione di fatto che è comunque tassabile, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione.
Va rilevato, invero, che non può esservi dubbio alcuno sul fatto che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante, né sulla scorta di quanto precede assume rilievo la sua eventuale appartenenza al Demanio statale, come invece argomentato nella recente giurisprudenza amministrativa, citata dalla ricorrente nella memoria difensiva. Inoltre, va considerato che l’art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993 prevede che “sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa”. Detta norma non può che essere interpretata nel senso che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta alla tassa sia che si tratti di spazi sottostanti che sovrastanti lo spazio pubblico, ben potendo esistere impianti che si sviluppano sopra il suolo per i quali non si giustificherebbe un diverso trattamento normativa. Infine, non può revocarsi in dubbio che il viadotto autostradale costituisca un impianto ai fini della norma di che trattasi in quanto esso è costituito da una costruzione completata da strutture, quali gli impianti segnaletici e di illuminazione, che ne aumentano l’utilità.
Con riguardo poi all’eventuale esenzione per l’occupazione effettuata dall’impresa che ha provveduto, in forza di concessione conferita dallo Stato, all’esecuzione del lavoro pubblico costituito dalla rete autostradale di cui fa parte il viadotto in questione, questa Corte ritiene che l’occupazione medesima debba considerarsi propria dell’ente concessionario e vada, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell’art. 38, comma 2, del D.Lgs. n.507 del 1993, in quanto la società concessionaria è l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica (art. 143, comma 1, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143, comma 6) ed a nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni; ne deriva che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a, del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato. Infine, come già evidenziato da questa Corte (cfr. Cass. n. 10351 del 18-4-2023 in motiv. relativamente alla COSAP, ma sulla base di principi applicabili anche all’odierna fattispecie) inconferente è anche il riferimento all’asserita appartenenza dell’autostrada al demanio statale ex art. 822 c.c. (come invece argomentato dalla ricorrente mediante richiamo anche a recente giurisprudenza amministrativa) ed è altresì marginale e priva di decisività l’indagine sulla effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante, atteso che la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza – integrativa del presupposto di applicazione del TOSAP da parte del Comune di Avellino – secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di “occupazione” del sottostante suolo provinciale.
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va, dunque, accolto limitatamente all’ultimo motivo, respinti i restanti; l’impugnata sentenza cassata; inoltre, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., e il ricorso originario della contribuente va rigettato.
Le spese di lite dei gradi di merito sono compensate tra le parti in ragione del progressivo consolidarsi dei principi giurisprudenziali nella fattispecie applicati, mentre le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della ricorrente, liquidate in misura pari ad Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 16 gennaio 2024
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2024.
MASSIMA: Il viadotto autostradale, essendo costituito da una costruzione completata da strutture, quali gli impianti segnaletici e di illuminazione che ne aumentano l’utilità, costituisce un impianto tassabile ai fini della Tosap.