Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2024, n. 13615


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere – Rel.

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. BILLI Stefania – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15530/2017 R.G. proposto da:

COMUNE DI I, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI, 267, presso lo studio dell’avvocato … (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato … (omissis),                                                                                                                                                                      – ricorrente –

contro

A.A..                                                                                                                                                                                                        – intimato –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 432/2017, depositata il 20/01/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere ORONZO DE MASI.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 432/2017, depositata il 20/1/2017, la CTR della Campania ha accolto, in parte, l’appello di A.A. e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha rideterminato la superficie tassabile, ai fini TARSU, in mq. 297, pari all’80 per cento della superficie di mq. 371 riportata nella planimetria catastale prodotta in giudizio, in tal modo riducendo quella riportata nell’avviso di accertamento impugnato, per l’anno d’imposta 2008, riguardo ad un immobile adibito a ristorazione.

Il Comune di I, con l’avviso di accertamento impugnato aveva rettificato, alla luce delle risultanze catastali, il dato relativo alla superficie tassabile della predetta unità immobiliare, elevandola a mq. 390 (80 per cento di mq. 487), rispetto a quella della superficie (mq. 220) dichiarata dal contribuente nella denuncia di cui all’art. 70, comma 1, D.Lgs. n. 507 del 1997.

Avverso la sentenza di appello, il Comune di I ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso è dedotta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, costituito dalla superficie catastale risultante dal DOCFA presentato dal contribuente all’Agenzia del Territorio, per non avere la CTR ritenuto rilevanti i dati ivi dichiarati, al fine di determinare correttamente quali fossero le superfici del locale principale, dei locali accessori, delle dipendenze e delle aree scoperte in uso esclusivo.

Con il secondo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62, comma 1, 70, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, del D.P.R. n. 138 del 1998 e degli artt. 49 – 51, D.P.R. n. 1142 del 1949, per avere la CTR erroneamente ritenuto determinante, ai sensi dell’art. 70, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, il dato della consistenza catastale, pari a mq. 371, e calcolato, sulla base di esso, la superficie ai fini TARSU tassabile.

Con il terzo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 36, D.Lgs. n. 546 del 1992, 156, comma 2, cod. proc. civ., per avere la CTR affermato, in sentenza, che la planimetria catastale versata in atti reca la superficie di mq. 371, dato quest’ultimo, in realtà, riferibile alla consistenza catastale dell’immobile mentre il DOCFA del 3/6/2013, redatto dal Geom. B.B., riporta una superficie catastale di mq. 487.

Deduce, quindi, la parte ricorrente che tutto ciò ingenera incertezza sull’iter logico seguito dal giudice di appello, atteso che il contribuente aveva sostenuto che l’unità immobiliare era composta da un unico locale di mq. 301, oltre un wc, un disimpegno, una cella frigorifera, un locale deposito e aree esterne non utilizzate e, che, però, non tutti gli spazi dovevano essere considerati ai fini del calcolo della superficie imponibile.

Con il quarto motivo è dedotta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 7, D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR erroneamente richiamato un giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 8397/1/2015 della CTP di Napoli, sulle medesime questioni di fatto e di diritto, relativamente all’annualità d’imposta 2011, in base ad una semplice copia del provvedimento giudiziario, priva di alcuna attestazione, sentenza, in effetti, divenuta definitiva (7/2/2017) soltanto in epoca successiva alla data (13/12/2016) di tenuta della pubblica udienza di discussione del giudizio di gravame.

I primi tre motivi di ricorso, scrutinagli congiuntamente, sono fondati nei termini di seguito evidenziati.

L’art. 62, D.Lgs. n. 507 del 1993, nell’individuare i presupposti del tributo per cui è causa, fa riferimento a una generica superficie tassabile, stabilendone i casi di esclusione dei metri quadrati ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti.

Ai fini della determinazione della predetta superficie, viene anche consentito ai Comuni di individuare, nel regolamento, categorie di attività produttive di rifiuti speciali, tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta.

Il successivo art. 70, D.Lgs. cit., comma 3, come modificato dall’art. 1, comma 340, L. n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), nel disciplinare la presentazione della denuncia ai fini dell’applicazione del tributo, ha stabilito che essa “… deve contenere l’indicazione … omissis… dell’ubicazione, superficie e destinazione dei singoli locali ed aree denunciati e delle loro ripartizioni interne, nonché della data di inizio dell’occupazione o 2 detenzione”, altresì, precisando che “A decorrere dal 1 gennaio 2005, per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano, la superficie di riferimento non può in ogni caso essere inferiore all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138;

per gli immobili già denunciati, i comuni modificano d’ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superfici che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito di incrocio dei dati comunali, comprensivi della toponomastica, con quelli dell’Agenzia del territorio, secondo modalità di interscambio stabilite con provvedimento del direttore della predetta Agenzia, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Nel caso in cui manchino, negli atti catastali, gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale, i soggetti privati intestatari catastali, provvedono, a richiesta del comune, a presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio la planimetria catastale del relativo immobile, secondo le modalità stabilite dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, per l’eventuale conseguente modifica, presso il comune, della consistenza di riferimento.”

Il D.P.R. n. 138 del 1998, appena menzionato, reca disposizioni per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri, nonché delle commissioni censuarie, come previsto dall’articolo 3, commi 154 e 155, L. n. 662 del 1996, e, per la parte che qui interessa, nell’ “Allegato C” contiene le norme tecniche per la determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari a destinazione ordinaria.

Appare, dunque, evidente che l’art. 70, comma 3, D.Lgs. 507 del 1993, fornisce un parametro di riferimento per l’individuazione della superficie tassabile, rivolto ai contribuenti che presentano la dichiarazione di inizio occupazione o di variazione, i quali non possono indicare un’estensione inferiore a quella derivante dal computo sopra menzionato (80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al D.P.R. n. 138 del 1998), ed anche all’Amministrazione, la quale è chiamata a adeguare d’ufficio le superfici indicate nelle dichiarazioni rese, qualora risultino inferiori a tale parametro.

La norma, comunque, non dispone che la superficie tassabile debba necessariamente corrispondere al risultato di tale conteggio, ma si limita a fornire un limite al di sotto del quale non si può scendere nel determinare la menzionata superficie tassabile.

Orbene, per il Comune di I la superficie tassabile doveva essere determinata in ragione dell’80 per cento della superficie catastale, pari a mq. 487, dato quest’ultimo ricavabile dal DOCFA e rispondente ai criteri generali di cui alle “NORME TECNICHE PER LA DETERMINAZIONE DELLA SUPERFICIE CATASTALE DELLE UNITÀ IMMOBILIARI A DESTINAZIONE ORDINARIA” di cui Allegato C del D.P.R. n. 138 del 1998, non già in ragione dell’80 per cento della (minore) superficie di mq. 371, riferibile alla consistenza catastale dell’immobile, dato quest’ultimo ricavabile dalla planimetria catastale versata in atti e ritenuta non rilevante ai fini del calcolo della base imponibile TARSU.

La tesi dell’ente impositore appare corretta e condivisibile in quanto, come già detto, l’art. 1, comma 340, L. n. 311 del 2004 (Legge Finanziaria 2005) ha stabilito che la superficie di riferimento, ai fini della determinazione della Tarsu, non può essere inferiore all’ 80 per cento della superficie catastale (per le unità immobiliari urbane di proprietà privata a destinazione ordinaria) e previsto che i Comuni modifichino d’ufficio le superfici denunciate dai contribuenti ai fini della tassazione, che risultino inferiori alla predetta percentuale.

Con provvedimento Direttore dell’Agenzia del Territorio, in data 9 agosto 2005, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 340, della L. n. 311 del 2004, sono state disciplinate le modalità d’interscambio, incrocio e allineamento dei dati relativi alla superficie, all’ubicazione, all’identificativo catastale, all’indirizzo, ai dati metrici ed agli intestatari catastali di ciascuna unità immobiliare urbana (u.i.u.).

L’Agenzia del Territorio, con la Circolare n. 13 del 7 dicembre 2005, ha fornito indicazioni operative ai Comuni per la determinazione della superficie di riferimento delle unità immobiliari, da assumere quale base imponibile ai fini della Tarsu e, quindi, a far data dal 1° gennaio 2005 i contribuenti dovevano dichiarare almeno l’80 per cento della superficie catastale di cui al D.P.R. n. 138 del 1998, salva la possibilità di dichiarare una superficie inferiore, documentando adeguatamente la diversa misurazione dichiarata.

Il A.A. non si è avvalso di tale possibilità data al contribuente essendosi limitato a contestare il metodo di calcolo della maggiore superficie tassabile eseguito dal Comune di I e la stessa base documentale presupposta dall’avviso di accertamento, ma non ha fornito alcuna prova della diversa (mq. 297) superficie imponibile dichiarata.

Il quarto motivo di ricorso investe l’affermazione del giudice di appello circa l’esistenza di un giudicato esterno favorevole alla tesi del contribuente, formatosi sulle medesime questioni di fatto e di diritto, tra le stesse parti, per l’annualità d’imposta 2011, si tratta della sentenza n. 8379/1/15 della CTP di Napoli, “passata in giudicato”, prodotta nel giudizio d’appello dal contribuente in semplice copia.

Il Comune ricorrente invoca, altresì, altra pronuncia di segno diverso, per l’annualità d’imposta 2009, intervenuta sempre tra le stesse parti; si tratta della sentenza n. 7745/28/2016 della CTR della Campania, depositata il 7/9/206 e divenuta definitiva in data 7/2/2017.

Questa Corte con giurisprudenza oramai consolidata è ferma nel ritenere che la parte non può far valere, quale giudicato, la decisione definitiva, adottata in un altro giudizio, riguardante lo stesso tributo, ma riferito a diverse annualità, poiché, in relazione alle imposte periodiche, come è la TARSU, l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato ai casi in cui vengano in esame fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che si estendono a una pluralità di periodi di imposta, avendo carattere tendenzialmente permanente o pluriennale, non anche quando il precedente risolva la controversia guardando a vizi formali dell’atto o valutando elementi variabili e suscettibili di cambiare nel corso del tempo (v. da ultimo Sez. 5, n. 5766 del 03/03/2021 e Sez. 5, n. 25516 del 10/10/2019).

Nel caso di specie si verifica proprio quest’ultima ipotesi, tenuto conto che la superficie tassabile può subire variazioni da un anno all’altro, ad esempio, a seguito di lavori edili che portino cambiamenti nella estensione e nella destinazione dei diversi vani occupati.

  1. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e, respinto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dell’accoglimento operato.

Tenuto conto delle censure sin dall’origine formulate (v. p. 2 del ricorso per cassazione e p. 2 della sentenza impugnata), non risulta la necessità di ulteriori accertamenti in fatto.

È, pertanto, possibile decidere nel merito la vertenza con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente (art. 384, comma 2, c.p.c.).

Le spese dei gradi di merito devono essere interamente compensate, tenuto conto della peculiare materia del contendere e delle difese assunte dalle parti.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza e gravano, pertanto, sul contribuente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primi tre motivi di ricorso, rigetta il quarto, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; compensa tra le parti le spese di lite dei gradi di merito; condanna il contribuente alla rifusione delle spese di lite del Comune di I, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2024.


MASSIMA: In tema di tributi locali, l’art. 70, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, fornisce un parametro di riferimento per l’individuazione della superficie tassabile, rivolto tanto ai contribuenti che presentano la dichiarazione di inizio occupazione o di variazione, i quali non possono indicare un’estensione inferiore all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al D.P.R. n. 138 del 1998, quanto anche all’Amministrazione, la quale è chiamata a adeguare d’ufficio le superfici indicate nelle dichiarazioni rese, qualora risultino inferiori a tale parametro. La norma, dunque, non dispone che la superficie tassabile debba necessariamente corrispondere al risultato di tale conteggio, ma si limita a fornire un limite al di sotto del quale non si può scendere nel determinare la menzionata superficie tassabile.